Arturo Soliani

Tematiche: Biografie

GARDONE RIVIERA, CORSO ZANARDELLI, 7

QUI ABITAVA

ARTURO SOLIANI

NATO NEL 1912 ARRESTATO IL 4.2.1944 DEPORTATO AD AUSCHWITZ ASSASSINATO A FLOSSENBÜRG NEL 1945

La tragica vicenda dei fratelli Arturo e Umberto Soliani si svolge tra Gardone Riviera, Roma e Auschwitz, ed è emblematica delle responsabilità del fascismo nella realizzazione del progetto di distruzione degli ebrei. L’episodio sarà anche al centro di un caso diplomatico per le pro- teste suscitate dalla violazione della extra territorialità del Monastero e della Basilica di San Paolo fuori le Mura, luogo della loro cattura da parte delle forze della polizia repubblichina.

Anche in questo caso dunque il rintraccio, la cattura, la detenzione, le indagini volte alla confisca dei beni è tutta opera di italiani. Nella ricostruzione della biografia delle vittime spesso, oltre ai documenti di archivio e a brevi riferimenti in pubblicazioni specifiche, nulla o quasi è possibile cogliere del lato umano della persona e del suo mondo. In questo caso però esiste la preziosa testimonianza di Lina Soliani Terracina, vedova di Arturo, rilasciata a Roma nel marzo del 1998a Grazia Di Veroli.

In essa Lina ripercorre le tappe della tragedia che ha segnato la vita sua e della sorella Elvira (le due sorelle avevano sposato i due fratelli), ha strappato Arturo ed Umberto ai loro cari coinvolgendo anche i figli, all’epoca dei fatti piccolissimi e la parentela allargata. Tutti hanno dovuto fare i conti con il dramma di un’attesa e di una perdita indicibili. Di Arturo e Umberto rimangono varie fotografie e cartoline indirizzate (attraverso conoscenti e amici) ai familiari dai diversi luoghi di detenzione e perfino un biglietto lasciato cadere dal treno diretto ad Auschwitz.

Nel 1938 (anno dell’approvazione e dell’entrata in vigore delle leggi razziali) a Gardone Riviera, in Corso Zanardelli 7, Arturo e Umberto Soliani, iscritti all’anagrafe del comune gardesano come provenienti da Roma e appartenenti alla “razza ebraica” gestivano un negozio di bigiotteria, pelletterie e oggetti da regalo, Alla bomboniera.

I due fratelli, figli di Isacco e di Italia Caviglia erano nati a Lugano: Arturo il 9 luglio 1912, Umberto il 7 febbraio 1916, parlavano fluentemente il tedesco e il negozio, stagionale, si rivolgeva prevalentemente alla ricca clientela straniera che frequentava il Lago di Garda.

La scheda anagrafica di Arturo Soliani rilasciata dal Comune di Gardone Riviera indica tre indirizzi di abitazione: via Roma 91 (dove probabilmente dimorava il padre, Isacco, almeno fino al 1939), Lungolago G. d’Annunzio 70 e Corso Zanardelli 7; quest’ultimo indirizzo corrispondeva al negozio che gestiva col fratello.

Arturo Soliani nel 1938 sposa a Roma Lina Terracina, pure di razza ebraica e dal matrimonio nascono nel 1939 Sandro e nel 1942 Angelo. Il fratello Umberto (che a Gardone risiede nell’allora Corso Vittorio Emanuele 51, oggi Corso della Repubblica) si sposa nel 1940 con la sorella di Lina, Elvira Terracina; dal matrimonio nasce nel 1941 Alessandro Massimo e, al tempo della tragica vicenda, la moglie è incinta del secondogenito Angelo che nascerà a Roma nel maggio 1944.

I due nuclei familiari sono molto uniti, le due sorelle legatissime alla famiglia d’origine e la loro vita si svolge in una sorta di andirivieni tra Gardone e la capitale. Durante il periodo badogliano, in data imprecisata, abbandonano Gardone Riviera per riparare nella capitale, anche nella convinzione di portarsi in prossimità del fronte e quindi della liberazione (gli alleati erano sbarcati in Sicilia il 19 luglio e a Salerno il 9 settembre). In data 31 agosto 1943 il negozio di Gardone aveva cessato l’attività ed era stato venduto. A Roma le due famiglie risiedono in via Galvani 33B. Dall’11 settembre la città viene occupata dai tedeschi ed è quindi soggetta alle leggi di guerra. L’apparato militare nazista si avvale della collaborazione della polizia fascista. Le condizioni di vita diventano sempre più precarie e la situazione precipita con il rastrellamento e la deportazione degli ebrei del ghetto avvenuta all’alba del 16 ottobre 1943 ad opera delle SS.

Nei giorni immediatamente precedenti Arturo aveva aiutato la comunità a raccogliere i 50 chili di oro richiesti da Kappler che avrebbero dovuto garantire la salvezza degli ebrei romani. All’alba del 16 ottobre invece avviene l’irruzione: i mariti fuggono attraverso i tetti mentre le donne con i figli scendono in strada, vagando nella città percorsa dalle camionette delle SS che, con gli elenchi degli ebrei forniti dai fascisti, rastrellano le vie del centro.

Le famiglie Soliani-Terracina lasciano precipitosamente Roma e per alcuni giorni trovano un rifugio precario nelle campagne di Aprilia; ben presto però i soldi finiscono e sono costrette a tornare nella capitale. Lina ed Elvira con i bambini si nascondono, dietro pagamento della retta, in un convento femminile in via Merulana dove rimarranno fino all’arrivo degli alleati il 4 giugno 1944. Arturo e Umberto invece, muniti anche di una falsa tessera che li identifica quali giornalisti dell’«Osservatore Romano», trovano ospitalità nell’Abbazia benedettina di San Paolo, luogo sicuro in quanto gode dell’extra territorialità garantita dai Patti Lateranensi. Non si incontreranno più.

La condizione degli ebrei si inasprisce dopo la nascita della Repubblica Sociale; considerati come “appartenenti a nazionalità nemica”, con la circolare di polizia N° 5 del 30 novembre 1943 viene decretato per loro l’arresto e l’internamento: inizia la persecuzione della persona.

A Brescia il nominativo di Umberto Soliani e della sua famiglia compare nell’elenco degli ebrei bresciani consegnato ai tedeschi il 3 novembre del 1943. In data 3 gennaio 1944, il questore Manlio Candrilli si occupa di Umberto Soliani, il quale “si era allontanato per ignota direzione da Gardone unitamente alla moglie Terracina Elvira, anche ebrea, dopo aver venduto a certo Ferrario Paolo di Pasquale nato a Milano il 10 dicembre 1903, domiciliato a Cernobbio, villa Sorriso, il suo negozio di pelletteria e di regalo valente £ 250 mila circa. Poiché non è da escludersi che il Soliani sia ricorso ad una vendita fittizia per sottrarre le sue attività ad una procedura di confisca, reputo opportuno segnalare quanto sopra all’Ecc. V. [capo della Provincia] per gli eventuali provvedimenti che si riterranno opportuni”.

Un’informativa della compagnia dei carabinieri di Salò del 7 gennaio conferma che “gli ebrei in oggetto hanno lasciato Gardone Riviera verso la fine di luglio u.s., a quanto pare diretti a Roma, via Galvani 33 B”. La segnalazione permettere di attivare le prefetture di Roma, Milano e Como cui vengono trasmesse le informazioni e il recapito romano. Successivamente, in data 29 febbraio 1944 (quando ormai i due fratelli sono stati catturati) l’Intendenza di Finanza di Brescia comunica al capo della Provincia che al nome di Soliani Umberto presso la sede di Brescia della Banca Cassa Depositi e Prestiti risulta una polizza di Lire 500 che viene subito bloccata e successivamente confiscata (decreto del 31 gennaio 1945).

I due fratelli dovrebbero trovarsi al sicuro nel monastero di San Paolo fuori le Mura. Nella notte fra il 3 e il 4 febbraio 1944, sotto la guida di Pietro Koch, con il benestare del questore di Roma Pietro Caruso, reparti della polizia italiana (al suo interno risultano inquadrati numerosi fascisti con funzioni di comando) danno l’assalto alla Basilica di San Paolo. L’operazione conduce all’arresto di un generale (Adriano Monti), di altri quattro alti ufficiali, di due agenti di polizia, di quarantotto giovani renitenti alla leva e di nove ebrei; tra questi Arturo e Umberto Soliani e il cugino Aurelio Spagnoletto.

La gravità dell’accaduto suscita l’indignazione della Santa Sede che protesta con forza presso le autorità competenti italiane e tedesche, pubblicando anche un circostanziato fondo sull’«Osservatore Romano» del 10 febbraio. La smentita dei nazisti su un loro coinvolgimento non basta a placare le gerarchie vaticane tanto che, tramite il nunzio a Berna, Mussolini viene invitato a prendere gli opportuni provvedimenti. Le mogli intervengono non appena apprendono l’accaduto ed Elvira, agli ultimi mesi di gravidanza, si reca personalmente dal direttore di Regina Coeli, Donato Carretta, per chiedere il rilascio dei loro cari. Il funzionario lascia intuire la possibilità di liberare il marito e il cognato dietro ricompensa: consapevole che ci sarebbe stata presto una resa dei conti pensa a procurarsi un lasciapassare per il “dopo”. Le due donne non sono però in grado di raggranellare la somma richiesta; Elvira fa un ultimo tentativo presso il questore Caruso. Ma l’alto funzionario le intima di andarsene altrimenti l’avrebbe fatta arrestare perché ebrea, aggiungendo che doveva ringraziare la creatura che portava in grembo se non aveva già dato disposizioni in tal senso.

Non c’è più nulla da fare. Verso la metà di febbraio da Regina Coeli Arturo e Umberto sono trasferiti a Verona, in una struttura militare situata tra il Volto Cittadella e via Pallone. Da qui, in vista della deportazione, passano nel campo di Fossoli e infine, il 16 maggio 1944 partono con destinazione Auschwitz. Roma viene liberata il 4 giugno del 1944; grazie a un decreto del governo militare alleato anche le sorelle Terracina-Soliani riescono a rientrare in possesso nell’appartamento confiscato. Il sollievo per la liberazione non addolcisce però la tragedia che stanno vivendo: sole, con i figli piccoli e problemi di salute, ignorano la sorte dei genitori e dei fratelli rimasti ad Aprilia. Il ricongiungimento della famiglia Terracina avverrà solo nel 1945. Manca invece ogni notizia dei mariti. L’attesa è straziante e dolorosa, mitigata solo in parte dall’affetto e dall’aiuto dei parenti; solo nel 1965 la Croce Rossa sarà in grado di documentare con certezza il decesso di Umberto a Dachau e la data di registrazione di Arturo a Flossenbürg. Solo allora Lina ed Elvira perdono la speranza di rivederli. Alcuni sopravvissuti dichiararono di averli incontrati nel campo di Auschwitz; probabilmente assegnati al “Kanada” grazie alla conoscenza del tedesco e quindi soggetti a un miglior trattamento, riuscirono a sopravvivere alle marce della morte dei primi mesi del ’45. Attraversarono l’orrore dei campi e delle marce ma solo per morire poco prima della liberazione: Umberto risulta deceduto a Dachau il 15 marzo 1945, sei settimane prima dell’arrivo degli americani. La sorte di Arturo è incerta: dopo l’abbandono di Auschwitz risulta registrato con sicurezza prima a Gross Rosen e in data 25 febbraio 1945 a Flossenbürg. Secondo alcune fonti sarebbe passato successivamente al campo di Buchenwald e infine a quello di Bergen-Belsen, il 20 marzo. Poche settimane dopo i lager saranno liberati, ma per Arturo è troppo tardi. I figli più grandi avranno la possibilità di studiare a Ostia in un collegio istituito per i figli degli ebrei deportati. La mancanza dei padri sarà in parte attenuata dalla presenza delle figure maschili del nonno e degli zii. Lina ha sentito il dovere di raccontare la propria storia anche ai nipoti e crede nell’importanza della trasmissione della memoria, i suoi figli invece hanno reagito in modo diverso alla tragedia: Sandro, il maggiore che aveva tre anni quando il padre fu deportato, preferisce non parlare del passato; il secondogenito Angelo, invece, non ha mai smesso di raccogliere informazioni, di leggere libri, incontrare i sopravvissuti e ricostruire le tappe della vicenda del padre.

I nipoti di Arturo e Umberto Soliani vivono oggi a Roma, alcuni di loro hanno continuato la tradizione famigliare e gestiscono negozi di pelletteria.