Bendiscioli, maestro della ricerca storica

Mario Bendiscioli non ha nessuna delle qualità esteriori da general manager dell’industria culturale odierna. E’ un uomo serio che ha sempre detestato la vacuità delle etichette generalizzanti, la propaganda, le apologie interessate. E’ uno storico di razza che ama i fatti, li ricerca con ardore inesausto e ragiona sui fatti, il cui controllo critico costituisce anche una valutazione ed una interpretazione sulla base del confronto. Per lo storico bresciano il valore di una ricostruzione storica sta primariamente e precipuamente nella quantità e qualità delle fonti criticamente valorizzate, nella sua aderenza alle testimonianze, nella sua capacità di rendere fedelmente lo spirito di un’epoca, una mentalità. Egli ci ha insegnato che in molti casi quello che è proclamato come certezza apodittica è invece un problema tutt’altro che risolto, perché si constatano divergenti le fonti o discussa la loro attendibilità. La cautela critica può infastidire chi vuol correre subito alle conclusioni e imporre determinati giudizi, ma è un obbligo a cui ogni spirito onesto non deve sottrarsi. Proprio perché nelle scuole secondarie italiane e perfino all’università l’insegnamento della storia è diventato il “cavallo di Troia” delle passioni più aberranti, proprio per questo il rigore scientifico appare strettamente congiunto all’autenticità della persona, all’impegno morale dello storiografo e del professore.
Contro il riduttivismo imperante, che tutto contrae nel letto di Procuste della “storia di parte” e della “ideologia”, Mario Bendiscioli ha sempre protestato con la sua stessa opera di storico, mostrando come si possano indagare gli avvenimenti di un’epoca “in spirito e verità”. La causa unica non esiste: un dato avvenimento o il comportamento di singoli o di gruppi, di popoli, di Stati non si spiega con un solo motivo. Il “monismo metodologico” è una menzogna. Vi può essere un motivo dominante sugli altri, ma le decisioni e le azioni non sono mai determinate da un unico movente. Le vicende umane non possono ricondursi a un solo fattore economico o religioso, o culturale: i diversi fattori si influenzano a vicenda, sono molteplici, irriducibili, interagenti.
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L’opera storiografica di Mario Bendiscioli ha essenzialmente due grandi centri di interesse: l’età delle riforme cattolica e protestante e l’età contemporanea. “L’età moderna” (ed. De Agostani), “La Riforma cattolica”, “La Riforma protestante”, (ed. Studium) e il vigoroso saggio “Dalla Riforma alla Controriforma” (ed. Il Mulino) sono opere vive che hanno contribuito a mutare il clima culturale italiano e la valutazione di quell’epoca. L’età contemporanea è indagata soprattutto in due momenti cruciali: il nazismo e la coscienza religiosa, la Resistenza. Ma il Bendiscioli ci ha dato pure un’opera di alta sintesi ne “L’età contemporanea” ( ed. De Agostini) e in un corso di storia edito da Mursia. Né si deve dimenticare che il volume, agile e denso, “Antifascismo e Resistenza” (ed. Studium) è ormai un classico per chi vuol conoscere la storia politica di quella tremenda e mirabile stagione della nostra patria.
Un discorso a parte va fatto per “Germania religiosa nel III Reich”, che è insieme l’opera prima e l’opera più recente del Nostro. Infatti nella prima parte si ripubblica il celebre libro che con lo stesso titolo apparve nel 1936, a meno di tre anni dall’ascesa del nazismo al potere, con due significative aggiunte scritte nel 1939 e nel 1946. La ripubblicazione è integrale, senza ritocchi, e ciò attesta, a quarant’anni di distanza, la validità e l’adeguatezza di un documento coraggioso e spietato. La sagacia dell’autore nel reperire e nel verificare ogni possibile informazione è stata veramente grande e lo ha esposto a grandi rischi, anche perché i suoi rapporti non erano solo con i resistenti, ma anche con i filo-nazisti e con gli ultra-nazisti (circoli di SS, librerie naziste, ecc.). Una parte del manoscritto del libro si salvò dal sequestro operato su altro materiale perché le SS non esaminarono il cofanetto della signora Bendiscioli al passaggio dall’Austria in Germania nel 1935. Il console d’Italia a Monaco, informato della vicenda, trasferì in Italia il manoscritto con la valigia diplomatica. La seconda parte, non meno affascinante e impegnativa, è una rassegna critica della storiografia europea apparsa nel trentennio 1946-1976, quando il bisogno di giudicare e di condannare ha esposto non pochi studiosi – privi dell’esperienza diretta del conflitto – a interpretazioni tendenziose, spesso molto discutibili. La lotta delle chiese cristiane contro il nazismo, il Kirchenkampf, non riguarda solo la Germania e il passato. Essa ha un significato universale ponendo in primo piano un impegno di coscienza, il no all’assoluto terreno del totalitarismo in quanto tale, il dovere di essere limpidamente cristiani in situazioni di disorientamento, di confusione, di equivoci.

Giornale di Brescia, 28.10.1977. Articolo scritto in occasione della presentazione del volume “Germania religiosa nel III Reich” da parte della Ccdc.