Coscienza cristiana e nazismo ne "La via tedesca" di Muckermann

Due anni dopo il pauroso crollo del Terzo Reich, Mario Bendiscioli faceva conoscere agli italiani La via tedesca («Der deutsche Weg»), cioè la testimonianza diretta, estremamente sobria, del protagonista del più combattivo tra i movimenti di resistenza cattolica al nazismo, quello che precedette ogni altro e operò ininterrottamente dal 1930 al 1945. Il prezioso volumetto riappare ora nei «Reprints Morcelliana», a Brescia, e il passare del tempo accresce lo straordinario valore di quel documento, facendoci apprezzare altresì il profondo senso storico del suo Autore, Friedrich Muckermann. Di Friedrich Muckermann in italiano fu tradotto, oltre La via tedesca, un libro scritto in Francia, nella clandestinità, nel 1942: L’uomo nell’età della tecnica (Morcelliana, Brescia, 1950). In Germania nel 1953 apparve il volume di Nanda Herberman, F. Muckermann ein Apostel unserer Zeit (Paderbon, Verlag Schöning); nel 1971 vide finalmente la luce il volume Kamf zwischenzwei Epochen (Mainz, pp. XVIII – 665), principale fonte di documentazione dell’opera dell’illustre padre gesuita.
Nato nel 1883 in Vestfalia, s’era fatto gesuita. Nel primo conflitto mondiale aveva sperimentato gli orrori della guerra moderna e delle prigioni comuniste, a Minsk e Smolensk. Conoscitore della lingua e del pensiero russo, fu uno dei primi a capire la grandezza speculativa e le potenzialità ecumeniche dl Vladimir Solovev, a cui, appena restituito alla vita civile, dedicò un importante saggio. Alla sua sagace analisi, nella crisi del dopoguerra, non sfuggirono le cause di svuotamento interiore e di imbarbarimento delle coscienze operanti nel XX secolo: lo scientismo, il razzismo, il totalitarismo, l’idolatria del produttivismo con le suggestioni tecnologiche e consumistiche che l’accompagnano. prima che l’opera di seduzione politica della sua patria fosse compiuta e il potere passasse a Hitler, Muckermann individuò nel materialismo razzistico dell’ideologia nazionalsocialista la seconda forma di ateismo di massa, dopo il comunismo, e di rifiuto violento del messaggio cristiano.
Dall’«Ufficio di informazioni per la stampa», appositamente installato a Münster, Muckermann riuscì a fornire documenti di prima mano e articoli di analisi del nazismo a tutti i bollettini parrocchiali, ed a oltre quattrocento giornali e riviste in Germania e a molti periodici all’estero. Il gesuita poté constatare, nel vivo contatto con le persone, «il sicuro giudizio del semplice popolo cattolico, il quale – più chiaramente degli intellettuali e prima ancora delle classi dirigenti – seppe prevedere lo spaventoso pericolo».
Nel 1933 trionfò «il demagogo che domina il popolo frustandolo», il più tipico rappresentante della demagogia sadica, e con l’avvento di Hitler vennero, una dopo l’altra, la censura sulla stampa, la soppressione di tutte le riviste cattoliche (Der Gral, la rivista di Muckermann, fu tra le prime) e delle associazioni di ogni tipo. Il gesuita fondò allora una «Nuova agenzia di informazioni», diffondendo a parecchie migliaia di abbonati un foglio che pubblicava, paradossalmente, solo estratti dell’organo delle SS, lo Schwarzen Korps, e dello Stürmer, il giornale del radicalismo antisemita, per palesare nel modo più impressionante le reali direttive del movimento nazista. I capi nazisti ne furono esasperati. Hitler e Goering lo invitarono ad un incontro, lasciandogli la scelta del luogo. «Rifiutai decisamente – racconta il gesuita – e feci loro sapere che non intendevo trattare con delinquenti». Il concordato con il Reich avrebbe dovuto avere la funzione, per la Chiesa Cattolica, di offrire un minimo di garanzie giuridiche in uno Stato ormai avviato alla dittatura più spietata; ma nel giugno del 1934 vennero uccisi alcuni tra i più prestigiosi leaders del movimento cattolico. Muckermann doveva essere tra le vittime, ma sfuggì agli assassini nascondendosi in casa di amici e persino in ospedale. Fu in quella sosta forzata che scrisse Vom Rätsel unserer Beit (Kösel, Prestat, München), la prima ampia esposizione critica dell’ideologia nazista. Ormai era urgente abbandonare la Germania ed espatriare clandestinamente. Muckermann aveva appena varcato il confine olandese, che i banditi in camicia bruna distruggevano la sede dell’«Agenzia» di Münster e davano al rogo in tutta la Germania le opere dell’odiato gesuita.
In Olanda Muckermann si mise subito a ritessere la tela, stabilendo ben presto un filo diretto tra il suo rifugio e «il nido di resistenza» che era sorto a Münster. Giovani cooperatori, tutti accomunati dalla stessa fede religiosa, portavano a turno in Olanda materiale di documentazione e pensavano a smistare in Germania, con loro grave rischio, le pubblicazioni approntate quasi per intero da padre Muckermann. I fogli della Patria («Heimatblätter») dell’indomito gesuita trovarono un’affettuosa, grata accoglienza proprio in Germania, com’è provato dal fatto che gli abbonati a quel piccolo giornale clandestino furono tanti da garantirne finanziariamente la vita e l’autonomia più piena. I «militi ignoti» della lunga, eroica, rischiosissima lotta erano assai numerosi in Germania e in primo luogo nella «centrale» di Münster, la città di cui era vescovo Clemens Augustinus von Galen. «Vorrei erigere a tutti – scrive con forza Muckermann – un monumento per dire alla gioventù: è una menzogna negare l’esistenza di un’altra Germania ed è iniquo chi condanna tutto il popolo tedesco». Occorre però ricordare che il padre gesuita tenne in scacco gli agenti nazisti incaricati di assassinarlo non solo perché abilissimo negli spostamenti e sempre consapevole di essere in grave pericolo; ma anche per l’aiuto generoso e appassionato dei cattolici olandesi, che con la loro copertura gli resero possibile continuare la sua battaglia senza soste e senza ristagni. Fu in quegli anni che I fogli della Patria si trasformarono nel settimanale La via tedesca, il titolo che Muckermann ha voluto dare anche al suo libro di memorie, che è anche il suo testamento, essendo morto nel 1946, al concludersi dell’impari lotta. Quel periodico, oltre che in Germania per via clandestina, divenne presso quaranta nazioni «l’espressione dei sentimenti di milioni di cristiani, non solo cattolici, ma anche protestanti ed in genere di tutti i tedeschi condannati ad un lungo silenzio». Ed è commovente vedere con quanta particolarissima attenzione Muckermann seguisse i missionari tedeschi, cercando di raggiungerli uno per uno con i suoi scritti e con le sue lettere: gli pareva, infatti, mostruoso che proprio gli avamposti della fraternità cristiana e dell’universalismo cattolico cadessero, in buona fede, nella trappola dell’abile e spregiudicata propaganda nazista in nome di un malinteso amor patrio. Agli occhi di Muckermann appariva però «una puerile ingenuità» credere il razzismo un problema esclusivamente tedesco, che sarebbe stato risolto con la sconfitta di Hitler.
Verso la fine del 1937 Muckermann sfuggì a Roma all’arresto della polizia italiana, che doveva poi consegnarlo alla Gestapo. Ma ecco che pochi mesi dopo si porta in Austria per suscitare la resistenza all’incombente minaccia dell’Anschluss e la sua campagna disperata raggiunge quasi tutti i centri della piccola nazione. Dai suoi superiori romani, evidentemente informati di ciò che stava par accadere, giunse «l’ordine perentorio» di lasciare l’Austria e recarsi a Basilea per un’importante conferenza. Il giorno seguente ci fu l’invasione nazista. Pur rimanendo affidato agli amici olandesi il lavoro di stampa e di spedizione, la relazione de La via tedesca si installò a Parigi, in una casa dove aveva abitato Voltaire, potendo contare sull’aiuto dei padri gesuiti di Action populaire e di alcuni fuorusciti tedeschi. Ma nel giugno del 1940 i tedeschi avanzavano su Parigi.
«La domenica prima dell’entrata delle truppe naziste – scrive padre Muckermann – dovevo parlare alla radio e non volli mancare. Il grande edificio offriva uno spettacolo di desolazione e di sfacelo. Il personale si era disperso. Erano rimasti solo gli addetti indispensabili al funzionamento degli apparecchi. Scendemmo nelle piccole cabine sotterranee dalle quali si doveva parlare. Parlai con tutta chiarezza». E così fu lui, un tedesco, l’ultimo a parlare contro l’invasore da radio Parigi, il primo europeo a lanciare l’appello alla resistenza al nemico provvisoriamente vittorioso, mentre la bandiera della croce uncinata sventolava nella capitale francese.
La lotta resistenziale di padre Muckermann non fu certo una «guerra privata». Egli rischiò sempre di persona e fu geniale, instancabile, coraggiosissimo; ma nella sua azione egli fu in continuo collegamento con l’ordine religioso a cui apparteneva e, per suo tramite, con la stessa Santa Sede. «Il generale dell’ordine, il saggio padre Wlodomiro Ledochowski mi dimostrò sempre – scrive Muckermann – una grande benevolenza e una profonda comprensione. Soprattutto ci sentivamo forti dell’appoggio dei sommi pontefici Pio XI e Pio XII, che furono ambedue bene informati delle nostre attività. Benché nelle diverse regioni, per le diverse necessità della lotta, ci fosse qualche discordanza non solo nei metodi pratici, ma talvolta nelle opinioni, le direttive chiare ed inequivocabili della grande enciclica Mit brennender Sorge e di altri documenti pontifici in materia di razzismo, rappresentavano per noi un programma che nei suoi capisaldi impegnava su una linea ben determinata l’azione di ogni cattolico in ogni paese del mondo. Noi abbiamo constatato personalmente cosa significhi il papato nelle ore della miseria e dello smarrimento. È stata per noi una grande consolazione essere assicurati che il cammino del papato nella storia era anche la nostra via, quella che noi avevamo chiamato Der deutsche Weg».
 

L’Osservatore Romano, 16 settembre 1987.