Sintesi:
La decisione di revoca del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul, pronunciata il 21 marzo 2025, rappresenta un precedente di estrema gravità per l’indipendenza degli ordini forensi in Turchia. Essa testimonia un utilizzo strumentale del diritto a fini politici e solleva interrogativi fondamentali sul rispetto degli impegni europei della Repubblica di Turchia. In qualità di presidente dell’Ordine colpito da questa misura, intendo qui testimoniare, analizzare e lanciare un allarme.
Un ordine sanzionato per aver adempiuto alla sua missione
La missione degli ordini forensi non è quella di tacere, bensì, al contrario, di difendere lo Stato di diritto e i diritti fondamentali. Chiedendo l’apertura di un’inchiesta sulla morte di giornalisti in territorio siriano, l’Ordine degli Avvocati di Istanbul non si è discostato dai suoi obiettivi, ne ha anzi incarnato pienamente l’essenza. Tuttavia, è proprio questo atto — perfettamente conforme al nostro mandato costituzionale — ad averci condotto davanti a un tribunale civile, su richiesta del pubblico ministero. La sentenza, pronunciata in due udienze senza che i vizi procedurali fossero sanati, ha decretato la nostra revoca. Resta comunque aperta la via del ricorso: continueremo a svolgere le nostre funzioni fino alla pronuncia definitiva. L’articolo 77/5 della legge sull’avvocatura, fondamento giuridico del procedimento, è stato denunciato per incostituzionalità. Tuttavia, il tribunale ha rifiutato, senza fornire motivazioni, di sottoporre la questione alla Corte costituzionale, come invece previsto dall’articolo 152 della nostra Carta fondamentale.
Una disposizione contraria ai principi costituzionali ed europei
Il testo della Costituzione della Repubblica di Turchia la colloca tra le più garantiste d’Europa: Stato di diritto (art. 2), prevalenza dei diritti fondamentali (art. 13), rispetto degli obblighi internazionali (art. 90) ne costituiscono i principi essenziali. Questo articolo 77/5, la cui formulazione ambigua permette interpretazioni arbitrarie e la revoca di un ordine mediante procedura semplificata, viola diversi principi fondamentali: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, il principio di uguaglianza e l’autonomia degli istituti professionali (art. 135). Un’eccezione di incostituzionalità era stata sollevata contro questo articolo. Il rifiuto di trasmettere la questione alla Corte costituzionale rivela una giustizia assoggettata. Il paradosso tra norma e prassi mostra una crescente strumentalizzazione del diritto a fini politici. Ma oltre alla norma nazionale, è anche quella europea a essere compromessa. La revoca di un organo eletto, senza garanzie procedurali, viola l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto a un processo equo) e l’articolo 11 (libertà di associazione). È inoltre incompatibile con i Principi dell’Avana sul ruolo degli avvocati e con la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione della professione forense.
Una procedura sommaria che rivela una strategia di neutralizzazione
Il 21 marzo abbiamo assistito a una serie di violazioni procedurali: registrazioni di udienze non trascritte, verbali mancanti, rifiuto di ascoltare esperti, interruzione brusca dei dibattiti. L’uscita precipitosa del giudice che ha ordinato l’evacuazione della sala, ha sancito un’udienza compromessa già nella sua stessa forma. L’atto di giudicare si è ridotto a una mera esecuzione sommaria delle richieste del pubblico ministero.
La criminalizzazione dell’Ordine
Questa vicenda non si limita al piano civile. È in corso anche un procedimento penale sugli stessi fatti. Una prima udienza è prevista a Silivri il 28 e 29 maggio prossimi, mentre un membro del Consiglio, l’avvocato Fırat Epözdemir, è già detenuto, con un’udienza separata prevista nelle stesse date presso il Palazzo di Giustizia di Çağlayan. Questa fretta giudiziaria, prima ancora di qualsiasi decisione penale, solleva interrogativi sulla presunzione d’innocenza e sull’indipendenza della magistratura. Ci si potrebbe chiedere se si tratta di una strategia per delegittimarci ancor prima che venga stabilita una verità penale? La contemporanea pendenza di un procedimento penale non ancora concluso avrebbe dovuto imporre maggiore prudenza. Ma così non è stato.
Un clima di repressione generalizzata
Questa campagna di accanimento istituzionale si inserisce in un contesto di repressione generalizzata: centinaia di manifestanti fermati, avvocati, studenti e giornalisti incarcerati, manifestazioni vietate. Questo clima repressivo mira a soffocare le voci dissidenti, siano esse municipali, mediatiche o professionali. La revoca del Consiglio dell’Ordine si inserisce in questa volontà di eliminare ogni forma di contropotere per ostacolare qualsiasi possibilità di alternanza politica in una società democratica.
L’appello all’Europa del diritto
Ciò che è in gioco va ben oltre i nostri mandati personali. Si tratta del ruolo degli ordini forensi nella costruzione di un ordine giuridico fondato sulle libertà, così come concepito in Europa dopo il 1945. L’Europa non può restare spettatrice. Il Consiglio d’Europa, di cui la Turchia è membro fondatore, deve reagire con fermezza. Anche l’Unione europea ha il dovere di assumere una posizione chiara. La questione va oltre il caso turco: riguarda l’idea stessa di uno spazio europeo fondato sulla libertà, la supremazia del diritto e la democrazia. Oggi, a Istanbul come altrove, la resistenza democratica è in cammino. Il diritto, anche quando viene strumentalizzato, conserva la sua forza sovversiva: rimane il fondamento delle libertà e il pilastro indispensabile di ogni autentica democrazia. Savunma susmadı, susmayacak — la difesa non ha taciuto e non tacerà.
NOTA: Trascrizione dell’intervento a distanza del Prof. Dr. İbrahim Özden Kaboğlu, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul, in occasione dell’incontro promosso dall’Ordine degli Avvocati di Brescia in collaborazione con la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 23 giugno 2025.