Detti e Contraddetti 1992 – 2° semestre

DETTI E CONTRADDETTI 1992 – SECONDO SEMESTRE

2 luglio 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Tu diventa più umano. Se vuoi che il mondo diventi libero, tu diventa più umano (scritta sul muro di Berlino). A ognuno sarà dato di agire secondo il suo volere. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte. A ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà… Non dire dunque: Il Signore mi ha sviato (Libro del Siracide). Dio è come il mare. Dio è come il mare, sorregge chi vi si abbandona (un detto della spiritualità sufi). Come andare incontro alla morte. È giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Il nostro vivere l’immortalità. Contemplando a volto scoperto la gloria del Signore, dallo Spirito del Signore siamo trasformati, di chiarezza in chiarezza, in quella stessa immagine. (San Paolo) Il viso interrogante. Tutta la terra è disegnata in modo che il viso si sollevi e lo sguardo domandi (Albert Camus). La speranza è un’altra cosa. L’attesa del godimento non è speranza; è piuttosto delirio, ossessione. D’altra parte il mondo moderno non ha più tempo di sperare, né di amare, né di sognare. Ha troppa fretta (Georges Bernanos). Vita e morte, sorelle. La vita e la morte sono sorelle che rimangono insieme alle due estremità del ponte fatale sul quale trascorre la carovana del mondo (Bahya Ibn Paquda, scrittore ebreo dell’XI secolo).

FARE POLITICA È COSTRUIRE LO STATO DI DIRITTO. «Chi fa politica si è assunto il compito più sacro che Dio affidi sulla terra: amministrare il diritto degli uomini. Egli deve sempre temere di recare in qualche parte offesa all’uomo che è la pupilla di Dio». Queste nobilissime parole si leggono in una nota dello scritto Per la pace perpetua di Kant e vanno al cuore del problema politico. Senza l’idea di un diritto da far valere sempre e ovunque non c’è sicurezza per nessuno e nemmeno libertà, ma degradazione brutale, prepotenza e barbarie. Uno Stato non è civile ed è antidemocratico se non è uno Stato di diritto, se la legge è violata non solo da coloro che ad essa si oppongono apertamente, ma anche e soprattutto dalla corruzione, dal cinismo e dall’inerzia di quanti sono deputati a rappresentare la volontà generale e ad attuare il bene comune. Anzi, tra la «mafia-antistato» e la «mafia politico-amministrativa che agisce all’interno delle istituzioni statali», la seconda è di gran lunga più pericolosa. C’è di peggio: se lo Stato non rende omaggio all’idea di diritto, facendone l’anima delle sue istituzioni, la disposizione morale di un popolo viene irrisa e calpestata. Il diritto, infatti, pur essendo distinto dalla morale, ad essa apre la via e in essa tende a sublimarsi. Questo è chiaramente avvertito dalla coscienza comune e dal sentimento di una nazione, essendo il popolo capace anche di entusiasmo qualora si chiami finalmente in causa il suo bisogno di giustizia, di pulizia, di onestà. Kant su questo punto non aveva dubbi, convinto com’era che «la ragione illumina sempre abbastanza chiaramente su che cosa si debba fare per rimanere nella linea del dovere». È ben lui che è arrivato a scrivere la massima: «L’onestà è migliore di ogni politica, è al di sopra di ogni obiezione ed è anzi la condizione indispensabile della politica».

UNA CRUDELE «AGGIUNTA». «Ciò che rende lo stalinismo ancora più odioso sono le responsabilità collettive di buona parte del popolo. L’immoralità della classe dirigente coincideva con quella di una parte della popolazione». Il rilievo è di Aleksandr Jakovlev, colui che è stato sindaco di Mosca negli anni della perestrojka. E Jakovlev porta un esempio agghiacciante. «Nel 1937 si è verificato questo episodio. Al Ministero dei trasporti, diretto da Kaganovic, stretti collaboratori del ministro compilarono una lista di cosiddetti “nemici del popolo” da fucilare. L’elenco fu poi affidato a una dattilografa, che di sua iniziativa aggiunse il nome della sua coabitante, nella speranza di poter disporre da sola dell’appartamento comune. Nessuno verificò, il ministro firmò, tutte le persone comprese nella lista vennero arrestate e assassinate». Il problema che qui si pone è quello del rapporto tra classe dirigente e popolo, particolarmente difficile a definirsi in uno Stato totalitario. Certamente i settant’anni di comunismo costituiscono un’esperienza di cui anche la Russia porta la responsabilità, così come l’ha portata la Germania per il nazismo e ogni popolo per la sua storia. A onore del popolo russo, però, va subito detto che a nessuno è consentito dimenticare la sua resistenza alla dittatura, le decine di milioni di internati nei Gulag, i morti del genocidio comunista. Tra le vittime del comunismo non è possibile, tuttavia, includere quelli che, prima di cadere in disgrazia, erano loro stessi alla guida dello Stato-partito e facevano fucilare gli altri. Per queste semplicissime ragioni la riabilitazione dei Bukarin e degli Zinovev, che tanto interessò e commosse la stampa occidentale osannante ad ogni iniziativa di Gorbaciov, mi è sempre apparsa non strumentale, ma deviante.

9 luglio 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Se c’è, meglio che venga alla luce. Altro che mettere a tacere, altro che sopire. Meglio che un male sociale come lo sporco intreccio di politica e affari si mostri e nelle sue forme repellenti, togliendo ormai ogni spazio all’ipocrisia e alle belle apparenze. Che la pustola dia fuori il suo pus, altrimenti l’infezione avvelenerà tutto il corpo sociale (Levi Appulo).

Chi torna ad agitare i fantasmi dell’eresia? Un linguaggio strano percorre da qualche tempo alcune pubblicazioni periodiche del cattolicesimo italiano. Ritornano termini quali pelagiani, gnostici, ariani, applicati in tono accusatorio a persone e gruppi della comunità ecclesiale, quasi additandoli al sospetto e alla condanna… La manovra dei troppo zelanti accusatori non è poi tanto nascosta. La loro opposizione al Concilio è sostanziale; tuttavia, essi vogliono apparire come i soli interpreti autentici di quel grande evento, per renderlo funzionale a un progetto di conservazione (Alberto Monticone).

La croce del politico onesto. Anche tu devi portare la tua croce. Ma – tu dirai – Quale sarà la mia croce? Te la indico subito: perseguire ciò che è giusto, evitare ogni violenza, estorsione, concussione o corruzione; impegnarti in ogni modo nelle cure dello Stato… Poni la salute dello Stato prima della tua stessa vita (pubblicam salutem antepone vitae). Se ne ricordino quanti osano portarne il nome. Il cristiano deve rifuggire da ogni infamia e sopravanzare gli altri in saggezza e integrità. (Erasmo da Rotterdam)

FINIRLA CON LE AUTO-ASSOLUZIONI. Quell’uomo onesto e testardo di Mario Segni lo ha detto in modo esplicito in un’intervista rilasciata in questi giorni a La Stampa. Bisogna finirla una buona volta di parlar di «mele marce» nei partiti, perché in Italia è lo stesso sistema dei partiti che è divenuto marcio. La pluralità delle forze politiche è necessaria alla vita della democrazia; ma da questa giusta premessa non è lecito concludere che questi partiti, dopo tutto quello che hanno fatto, possano ritenersi ancora legittimati ed… insostituibili!

La crisi in cui il sistema della corruzione ha gettato il nostro Paese non è meno grave di quella dell’8 settembre ‘43 e di quella che si accompagnò agli anni di piombo. Ma bisogna per uscirne, e uscirne significa impegnarsi severamente a riconquistare quella legalità democratica, quello Stato di diritto che la corruzione partitocratica ha distrutto. Le misure da prendere oggi finalmente l’opinione pubblica – grazie anche alla stampa – le reclama a gran voce e non sarà più facile eluderle.

Ciò non toglie che proprio in questi giorni, nell’aula di Montecitorio, si sia sentito l’onorevole Craxi difendere, con l’aperto consenso del democristiano Flaminio Piccoli, la tesi del «tutti abbiamo rubato, dunque siamo tutti non punibili» e che persino una persona seria come Del Turco non abbia avvertito l’indecenza della sua proposta di amnistiare in blocco e subito tutti gli operatori della cleptocrazia partitocratica. Dal numero due della Cgil mi sarei aspettato la richiesta di un’indagine a tappeto sugli arricchimenti dei politici e degli amministratori, o la presentazione di un disegno di legge sui profitti del regime, ma non una proposta che suona insulto al popolo italiano: proposta che, se andasse in porto, così come certamente cercheranno di fare quasi tutti i partiti, scatenerebbe la rivolta.

Ora non ci potrà essere più una legge ignobile come quella che fu confezionata dal Parlamento della scorsa legislatura per cancellare i reati connessi al terremoto in Irpinia, benché anche quelli fossero di straordinaria rilevanza sia dal punto di vista economico che penale.

I ladri di partito, i saccheggiatori del denaro pubblico, anche se autorizzati dai rispettivi segretari politici, sono e restano ladri e pertanto debbono finire in galera e restituire il mal tolto, come qualsiasi altra categoria di cittadini che violi le leggi dello Stato. Lo capiscano i politici che questa è ormai la conditio sine qua non perché i cittadini tornino a conciliarsi con lo Stato e con la politica.

SETE DI VERITÀ E DECISIONE. Riprendo tra le mani il bel volume della Garzanti Le poesie (1913-1957) di Clemente Rebora. Mi afferrano questi versi: «Quasi maestro agli altri mi porgevo, / ma qualcosa era dentro me severo: / –Ferma il mio dire, se non dico il vero». Manzoni giovinetto, assai prima della conversione, la pensava allo stesso modo: «Il santo Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo, / che plauda al vizio, o la virtù derida». Rebora, spirito assetato di verità, avvertiva come insopportabile la condizione dell’uomo senza Dio: «Pesce, come fuor d’acqua boccheggi! / Rondine fremi, privata del volo. Poi l’incontro con Cristo. E d’un dì mi accorsi: c’era Uno in Croce. / Si struggeva a guardarmi in un’offerta / soave. Solo mi voleva bene. / Più tardi intesi la sua parola interna: / -Tu m’aprirai la porta del tuo cuore / e a tu per tu noi ceneremo insieme. Infine la decisione di porsi alla sequela di Cristo, che trasfigura il viver di quaggiù / in un principio dell’eterno amore, / libero dono, pieno. Ora, o mai più».

16 luglio 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Passione e virtù. Non ci può essere autentica virtù senza passione, e per una semplice ragione: perché non si fa nulla di grande senza passione (Levi Appulo). Canto per un mondo scomparso, quello degli ebrei polacchi, moltissimi dei quali erano chassidim. Non hai più, non hai più in Polonia quei paesini ebrei / come Hrubieszòw, Brody, Krezew, Folenia. / Invano cercherai le candeline accese alle finestre. / Invano proverai ad ascoltare il canto proveniente dalle sinagoghe di legno… / Non ci sono più quei paesini, dove il calzolaio era poeta, / l’orologiaio filosofo, il barbiere cantante (Antoni Słonimski). Definizione dell’Emilia-Romagna. È l’unica regione del mondo dove si è provato a vivere da americani dicendo di imitare il modello sovietico (Luciano Genta). Rischia l’anima! Non sempre giovinezza è verità. / Un’altra gioventù giunge con gli anni, / se lasci il giuoco stanco e sanguinoso / di modestia e orgoglio e rischi l’anima (Franco Fortini). Non si cerca ciò che crediamo non ci sia. Io cerco, ma non cercherei se non sapessi che c’è (Leonardo Sciascia). Una fine davvero ingloriosa. Morire di mazzette. È questo il rischio incombente per la nostra «Repubblica dei partiti». Quello che non è riuscito a scuotere il vento gelido della guerra fredda negli anni Cinquanta, né la turbolenza della modernizzazione economica negli anni Sessanta e nemmeno la grandinata economica negli anni Settanta, pare possa essere travolto alle soglie del Duemila dal gorgo vorticoso dello scandalo tangenti, che giorno dopo giorno inghiotte interi pezzi del ceto politico, erodendo la stessa credibilità delle istituzioni (Roberto Chiarini).

AI GIOVANI IO DICO… Dovendo tracciare un rapido profilo di un grande cristiano, qual è stato il padre filippino Giulio Bevilacqua (1881-1965), ne ho riletto le opere, dalla più significativa e attuale, vero modello di metodologia dell’annuncio cristiano nel mondo di oggi, Equivoci – Mondo moderno e Cristo (Morcelliana editrice), a quella più datata sia per lo stile che per i contenuti, Scritti tra le due guerre (La Scuola editrice).

Tuttavia, anche in questo volume ci sono colpi d’ala e osservazioni graffianti degni di quello spirito libero e coraggioso. Ecco, ad esempio, quello che scriveva rivolgendosi ai giovani su di una piccola rivista, La fionda, redatta da un certo Giovan Battista Montini: «I giovani devono studiare molto, non per isolarsi stupidamente, ma per avere maggiori rapporti con la vita». E ancora: «Non chiedete nulla, nulla. La verità è premio a se stessa. La schiavitù politica è dovuta al fatto che si vuole salire, ottenere, rubare, opprimere. Il nostro orgoglio è questo: dare e non ricevere» («La politica dei giovani», 8 novembre 1919).

Né meno pregnanti sono le parole su quelli che credono di aver ragione e hanno sempre torto, una categoria a cui appartengono tanti individui alla ricerca di alibi per la propria coscienza prima ancora che per il loro presunto perbenismo. «Chi non vuole osservare la realtà senza lenti menzognere, chi è preoccupato di essere sempre fuori dalla mischia, gli inerti, i ritardatari, i piagnoni che lodano il tempo che fu, quelli che non si assumono le loro responsabilità e fanno i riformatori a spese altrui: ecco, costoro hanno sempre torto» (1° maggio 1937).

LA RINUNCIA A DOMINARE PER ADORARE. Faust dice con profonda verità: «Bisogna rinunciare a dominare per adorare»; il clericalismo, alla radice, è rinuncia ad adorare per dominare, spinta – attraverso vari gradi – sino al sacrilegio di fare dell’Assoluto e dell’Eterno dei semplici mezzi di conquista e di potere. Vi è però un’evidenza che s’impone a tutti: il clericalismo, nella sua forma più detestabile (il più spesso esso è frutto di confusioni di piani e di incoerenza di mezzi, più che di una deliberata perversione del fine), è una tra le mille maschere di quella sete di potenza, di quella libido dominandi insorgente proprio dal ripudio del cristianesimo, e perciò solo anime profondamente religiose possono difendersene, perché la loro fede le mette nelle migliori condizioni per misurarne la capacità di degradazione.

«Dio – scrive stupendamente P. Bevilacqua – per salvarci ha rinunciato al privilegio abbracciando il diritto comune, divenendo cioè simili in tutto a noi, ad eccezione del peccato, ed il Cristo ci ha additato così, nell’eguaglianza del diritto comune, il mezzo principe di redenzione. Su questa strada il clero incontrerà nuovamente il suo popolo, il tempio la sua libera respirazione, la società il senso smarrito del sacro. Società cristiana sarà allora la società nella quale lo spirito del Vangelo sarà pienamente libero di circolare come lievito di elevazione delle leggi, nella costituzione della famiglia, della scuola».

23 luglio 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché non mi prendi per mano? Io sono affranto sotto il peso dei miei peccati. Signore, perché non mi prendi per mano? Se nelle mie opere non v’è ciò che a te è dovuto, nella tua generosità v’è ciò che a me giova (Abul-Khair, 967-1049, mistico persiano). Lo capiranno i maestri della corruzione partitocratica? Nessuna forma di democrazia può sopravvivere, se viene meno la comune moralità di base. Nessuna legge scritta è sufficiente a garantire la convivenza umana, se non trae intima forza da un fondamento morale (Giovanni Paolo II a Lodi il 20 giugno 1992). I miracoli di San Vittore. In carcere una persona è spinta a fare considerazioni nuove, a veder le cose sotto una luce diversa. Si capisce com’è la vita. Noi politici non eravamo abituati (Roberto Mongini, democristiano, uno dei signori delle tangenti, all’uscita dal carcere di San Vittore). Osare, osare, osare quando è la coscienza a comandarlo. Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che esse diventano difficili (Anneo Seneca). La semplicità come conquista. La semplicità, non c’è nulla di più difficile al mondo. Si tratta, infatti, dell’ultimo traguardo dell’esperienza e dell’ultimo sforzo del genio (George Sand). Per non giudicare scorrettamente. Non si può giudicare un artista o un filosofo dalle sue relazioni con i servitori, con l’agente delle tasse e col padrone di casa. La sua poesia e il suo pensiero possono essere grandi anche se la sua condotta meramente pratica si espone a maligne censure (Giovanni Papini).

LA CARTA È PIÙ PAZIENTE DEGLI UOMINI. Era esattamente il 12 giugno del ‘42, mezzo secolo fa, quando Anna Frank decise di fissare su un quaderno i suoi pensieri perché «la carta è più paziente degli uomini». Aveva tredici anni e viveva reclusa insieme ai familiari e ad altri ebrei miracolosamente scampati allo sterminio, in una soffitta situata nel retro di un negozio, sul Canale dei Principi, ad Amsterdam. L’incipit del Diario è rivelativo delle intenzioni di Anna: «Spero che ti potrò confidare tutto, come non ho mai potuto fare con nessuno, e spero che sarei per me un gran sostegno». Quel proposito e quell’attesa furono pienamente adempiuti e Il diario di Anna Frank costituisce uno dei testi più toccanti della letteratura universale. La preadolescente inquieta, esuberante, a cui «piace scrivere e soprattutto aprire il suo cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente», ad ogni pagina sorprende e commuove perché sa essere sincera e profonda nell’analisi dei suoi conflitti, dei suoi sentimenti forti e delicatissimi, della sua situazione. Nell’appartamento segreto occupato dalla famiglia Frank il visitatore può ancora vedere un ritaglio incollato a una parete: è una modesta riproduzione del celebre quadro di Margareta Tarnt, Il canto dell’allodola prigioniera. Fu Anna ad affiggere quella riproduzione? E il suo destino non era proprio quello dell’allodola in gabbia?

UNA CARTELLA SUL PAVIMENTO. Il diario si ferma al 1° agosto 1944. La delazione conduce i nazisti a individuare nella capitale olandese il rifugio di Anna Frank. Era il 4 agosto quando tutti i rifugiati dell’alloggio segreto furono presi, separati, avviati in campi di concentramento. Anna morì nel campo di Bergen Belsen nel marzo del ‘45. Della famiglia Frank si salvò soltanto il padre, che dopo la liberazione volle rivedere l’alloggio-prigione e sul pavimento, dove le SS l’avevano buttata, raccolse la cartella contenete il diario della sua Anna.

Dopo aver negato persino l’esistenza dei campi di eliminazione, i filo-nazisti tentarono un’altra ignobile speculazione. Scrissero: «Anna Frank non è mai esistita. È una montatura ebraica», come se un capolavoro, qual è il Diario, potesse mai essere generato da un’operazione propagandistica! A Linz, la città dove si era formato Hitler, si organizzò addirittura nel ‘58 una rumorosa manifestazione per accreditare quell’orribile menzogna. Fu allora – come mi confidò lo stesso Simon Wiesenthal, quando fu mio ospite a Brescia il 15 ottobre ‘85 – che il leggendario cacciatore di criminali di guerra fece una «scommessa», com’egli diceva: quella di catturare l’ufficiale delle SS che operò l’arresto della famiglia Frank. E, dopo anni di ricerche, Wiesenthal individuò il membro della Gestapo cui toccò quell’incarico, contribuendo così ad autenticare la storia anche attraverso la testimonianza degli stessi persecutori.

È UN GRANDE MIRACOLO… «È un grande miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace, la serenità». Così scrive Anna ormai quindicenne al compiersi del secondo anno di segregazione forzata, pochi giorni prima dell’arresto; e in quelle parole c’è tutta la sua anima. Ma v’è pure in esse un consapevole sentirsi in intima connessione con l’umanità e un atto di fede in un futuro in cui «tutto si volgerà nuovamente al bene».

L’indomita Anna può aiutarci ancora a vivere e a sperare.

30 luglio 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Neologismo in gran voga. Nel nostro manicomio circola un’espressione piana, accessibile, efficacissima. È la parola sfascista. Bisogna però vedere chi se la merita. È sfascista chi descrive lo sfascio o chi lo produce? (Saverio Vertone). Quando non si distingue più tra regime e democrazia. Si era talmente immedesimato con lo Stato da non poter immaginare la separazione di sé da quello senza la rovina di entrambi (Tacito diceva dell’imperatore Tiberio quello che noi potremmo ben dire di una classe politica incapace di reale ricambio). Un verso indimenticabile. Vivere ardendo e non sentire il male (Gaspara Stampa). È connivenza. Indifferenza verso la corruzione e il crimine significa connivenza (Giovanni Paolo II a Caserta il 23 maggio ‘92). La comunicazione simbolica. La comunicazione simbolica è una grande ricchezza umana. Essa è il veicolo privilegiato dell’esperienza di fede. Il linguaggio simbolico, infatti, è sommamente rispettoso della differenza e della distanza. Mentre dice di Dio, al tempo stesso lo nasconde, impedendo che la sua trascendenza diventi prigioniera dei nostri cancelli (Carlo Maria Martini). Il mistero di Dio in Cristo. Dio è impotente e debole nel mondo e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. Cristo non ci aiuta in virtù della sua onnipotenza, ma della sua sofferenza (Dietrich Bonhoeffer). La parola biblica. La parola biblica non è abile e misteriosa, è limpida. Non nasconde il dolore e la morte dentro di sé. Pone se stessa accanto alla vita, senza divorarla. Non si presta a facili corrispondenze, ma segna continuamente l’irreparabile rapporto con l’Assoluto, la distanza tra l’Essere e il tempo (Cesare Viviani).

DOV’È DUNQUE IL TUO DIO? Lo scrittore Elie Wiesel riferisce il seguente episodio. In un campo di concentramento nazista alcuni ebrei vengono costretti dalle SS ad assistere all’impiccagione di un bambino. Molti tra loro pregano perché Dio lo liberi. Non accade nulla. Allora uno di essi grida: «Dov’è dunque Dio?». Un altro risponde: «È lì, appeso».

Un cristiano non può leggere questo racconto senza pensare a Gesù appeso al legno della croce. Anche la sua preghiera non fu esaudita e, secondo l’evangelista Marco, le sue ultime parole furono: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34). È il momento più commovente e drammatico di tutta la passione di Cristo, insieme al grido di angoscia nel Gethsemani. Ed ecco l’eco imprevisto. «L’ufficiale romano, che era rimasto di fronte a Gesù, al vedere che era spirato in quel modo, esclamò: – Quest’uomo era davvero figlio di Dio!» (Mc 15, 39). Un pagano ha la grazia di identificare Gesù nella sua natura divina proprio nel momento dell’estremo annichilimento. Dio era lì, là dove stava l’abisso di sofferenza e di ingiusta umiliazione del Giusto! È il paradosso tremendo e meraviglioso della fede ed è la natura profonda del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del Dio Padre di Gesù Cristo.

È UNA RISPOSTA CHE MI IRRITA… A dirla schietta non riesco bene a capire come uno possa dire: «Sono debole», e restare debole. Quando lo si sa, perché non si reagisce, perché non si educa il proprio carattere? La risposta è questa: «Perché è molto più facile». È una risposta che mi irrita. Facile? Una vita oziosa e disonesta è forse una vita facile? No, non può essere vero, non è ammissibile che ci si lasci sviare così dall’indolenza e dal danaro.

Ho molto riflettuto alla risposta che dovrei dare, a come potrei condurre Peter ad avere più fede in se stesso e soprattutto a correggersi; se le mie riflessioni sono giuste, non lo so.

Ho sempre immaginato che fosse una bellissima cosa ricevere le confidenze di qualcuno, ma ora che le ricevo mi accorgo che è assai difficile pensare con la mente di un altro e trovare la risposta adatta. Soprattutto perché i concetti «facile» e «denaro» mi sono completamente estranei e nuovi. Peter comincia ad appoggiarsi a me, non lo deve fare in nessun caso. Per un tipo come lui è difficile reggersi da sé come un uomo che vive consciamente. Perché quando si è così è doppiamente difficile trovare la strada attraverso il mare di problemi e rimanere tuttavia saldi e retti. Io mi arrabbio da molti giorni per trovare un rimedio efficace contro questa terribile parola: «facile».

Come fargli capire che ciò che gli sembra tanto facile e bello lo trascinerà in un abisso dove non ci sono più amici né appoggi, né cose belle, un abisso da cui è quasi impossibile risalire?

Viviamo tutti, ma non sappiamo perché e a che scopo: viviamo tutti con l’intento di diventare felici, viviamo tutti in modo diverso eppure uguale. Noi tre siamo educati in un buon ambiente, possiamo studiare, abbiamo la possibilità di raggiungere qualcosa, abbiamo molte ragioni di sperare in un felice avvenire, ma… ce lo dobbiamo meritare. Ed è questo che non è facile. Meritare la fortuna significa lavorare per essa e agir bene, senza fare speculazioni e senza abbandonarsi alla pigrizia. La pigrizia può sembrare attraente, ma il lavoro dà soddisfazioni. Non posso comprendere gli uomini che non amano il lavoro; ma non è questo il caso di Peter. Quello che gli manca è uno scopo ben definito; si giudica troppo stupido e troppo dappoco per combinare qualcosa. Povero giovane, non ha ancora mai provato la sensazione di rendere felice un altro, e questa non gliela posso insegnare… (Dal Diario di Anna Frank, in data 6 luglio 1944).

6 agosto 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Il tempo è galantuomo. I giorni futuri saranno i testimoni più saggi (Pindaro). Ciò che non si deve chiedere ad un cristiano. Il Vangelo ci comanda di avere in orrore l’inerzia paga di sé, il silenzio complice del male, il perbenismo ipocrita e la prudenza della carne, fatta cioè di calcolo e di viltà (Levi Appulo). Il luogo del compimento. C’è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo. È un grande tesoro e lo si può chiamare il compimento dell’esistenza. Il luogo in cui ci si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova (Martin Buber). Mistero non è l’assurdo. L’assurdità dell’assurdo mi conduce in direzione del mistero. Gesù e Tiberio. Ciò che è maggiormente reale in un momento qualsiasi della durata è ciò che più contiene l’avvenire. Gesù era nel suo tempo, benché sconosciuto, più reale di Tiberio. Gesù ha avuto una posterità, Tiberio non ne ha avuta. La realtà di un evento è la sua carica di avvenire. (Jean Guitton) Storia personale e storia del mondo. Che cos’è che forma l’uomo, se non la storia della sua vita? Così, ciò che forma l’uomo sublime è la storia del mondo (Novalis). L’assenso a Dio ci conduce dove vuole andare il nostro io profondo. Attraverso i tuoi sentieri conducici, Signore, là dove noi tendiamo. Per tuas seminas duc nos, Domine, quo tendimus (Tommaso d’Aquino). Il Invecchiare. Invecchiare è avere tutte le età (Victor Hugo). Spazio e tempo. La profondità dello spazio è il segno della profondità del tempo (Charles Beaudelaire).

NEGARE E AFFERMARE NELLO STESSO TEMPO. In un libro ricco di osservazioni intelligenti, benché incline a sintesi epocali tanto accattivanti quanto approssimative, mi ha sorpreso l’aperta, ripetuta negazione del concetto stesso di «fondamentalismo islamico». A quella dizione bisognerebbe rinunciare del tutto perché si tratta di un’etichetta semplificatrice con cui si cerca di valutare negativamente «il tentativo di andare incontro ai problemi del presente conservando l’istanza di validità dell’Islam».

Alla tesi sostenuta da Joseph Ratzinger nel volume Svolta per l’Europa? (Cinisello Balsamo 1992) si può opporre che il criterio assunto a schema classificatorio è troppo formale e generico. Infatti si può criticare benissimo l’edonismo permissivo e la tendenza a negare la dimensione sociale del fatto religioso senza per questo legittimare atteggiamenti e pretese che ai nostri occhi sono la peggiore degenerazione del messaggio islamico. Degenerazione che indichiamo appunto con la formula di «fondamentalismo islamico». C’è di più. È lo stesso Ratzinger a indicare i contenuti effettivi di quel fenomeno di cui si ostina a non voler dire il nome quando scrive: «Un attaccamento quasi maniacale alla lettera delle tradizioni religiose si combina spesso con il fanatismo politico e militare, in cui la religione viene direttamente considerata alla stregua di strumento di potere terreno… L’elemento religioso diviene parte di uno sciovinismo culturale ed è così subordinato all’istanza politica». Parole queste che definiscono, come meglio non si potrebbe, la natura e le linee d’azione del «fondamentalismo islamico».

Per parte nostra noi pensiamo che mai alla lunga distanza, possa essere un bene per i credenti in Dio la strumentalizzazione della loro fede a fini politici. Lo slancio propriamente religioso del monoteismo islamico conduce ben oltre le esplosive miscele a cui fa da detonatore una religione ideologizzata.

IDENTIKIT DEL BOSS. La Bibbia rimane il libro incomparabile, sempre attuale. Nel leggere il Salmo 10, ecco venirmi incontro nei versetti 4, 11 l’identikit del boss, con o senza lupara. Eccolo. «L’empio pensa nella sua insolenza: – Faccio quello che mi pare perché non c’è alcun Dio. Se c’è, si è da tempo reso latitante, non vede più nulla di noi e di noi non si cura. I miei progetti riescono sempre e i giudizi degli altri non mi toccano affatto. Io so come ingannare e usare violenza. Nulla mi può scuotere, per decenni e decenni posso stare tranquillo». È un quadro perfetto. C’è la premessa metafisica e psicologica del delinquere, cioè la non-considerazione di Dio, fonte della legge morale e della sua assolutezza. C’è l’illusione della propria superiorità, da cui derivano la sfrontatezza e il presunto diritto a farla franca. C’è, infine, la pretesa a disporre del proprio futuro, come se non esistessero la malattia, la morte e la stessa possibilità di essere raggiunti dalla giustizia terrena. In attesa di quella che non è di questo mondo.

13 agosto 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. L’indugio necessario a orientarsi. Bisogna prima remare, poi osservare i venti, e infine pilotare per proprio conto (Aristofane). La Chiesa madre e figlia. Per noi la Chiesa cristiana non è soltanto nostra madre, ma è anche nostra figlia, conforme al nuovo ordine della generazione spirituale instaurato da Gesù (Guido De Ruggiero). Il meglio di ogni scrittore. Il meglio di ogni scrittore va ricercato in qualcosa di sincero e di profondo che fa parte, da sempre, della natura umana: l’amore e il dolore, la speranza e la disperazione (Raffaele La Capria).

Terapia intensiva. Ogni cosa guarisce e s’inebria / sorseggiando l’immenso silenzio. Nell’aperto tumulto del mondo. Nell’aperto tumulto del mondo / trascino il mio bene e il male… / Ma pure l’erede io mi sento / di qualcosa che l’oggi trascende. Nel cuore d’ognuno. Sta, nel cuore d’ognuno, il viatico di luminose parole. L’anima, profonda immensità. Anche le stelle in me potrei raccogliere / tanto mi è vasto il cuore. Vinceremo l’angoscia e seguiteremo ad intonare il canto. … quell’ansia erompa al sole / entro il profilo d’una nuova forma. / Ché pur sotto le ruote e sotto i magli / il nostro cuore intrepido persiste / come la lingua, di tra i denti chiusa, / seguita mossa ad intonare il canto. (Rainer Maria Rilke)

GLIELO DICE ANCHE MACHIAVELLI DI NON RUBARE. Qualche mese fa, quando l’operazione «Mani pulite» non era ancora scattata, in una popolare trasmissione televisiva alcuni cittadini denunciarono apertamente situazioni vergognose di sopruso e di illegalità di cui erano stati personalmente vittime o testimoni. Ad essi replicò senza batter ciglio l’on. Silvio Lega, vice-segretario politico della Dc (a quel momento non ancora inquisito dalla magistratura per questioni di tangenti), in questi termini: la politica non può essere valutata con lo stesso metro della morale. Parole con cui si invocava il grande nome di Machiavelli per giustificare un sistema marcio e l’inveterata propensione di larga parte della classe politica a corrompere e a lasciarsi corrompere.

Il fatto è che, nel caso specifico, il riferimento a Machiavelli è non solo inesatto, ma addirittura opposto alle esplicite raccomandazioni che il Segretario fiorentino fa ai politici. Per l’autore del Principe, infatti, il consenso dei governati non si può mantenere se i governanti sono generalmente sospettati di latrocinio, o se sono incapaci di impedire ai prepotenti di rubare. Questo avvertimento deve essere tenuto in gran conto anche da chi volesse prescindere da ogni considerazione morale, perché «chi rapina e si appropria della roba dei suoi sudditi diventa odioso» e con ciò stesso mina le basi del suo potere. La violazione del VII Comandamento da parte di chi sovrintende alla cosa pubblica è, dunque, una prassi estremamente deleteria agli occhi di un politico avveduto, il quale si deve adoperare, invece, a far sì che tutti «possano tranquillamente esercitare la loro attività nei commerci, in agricoltura e in ogni campo, così che nessuno debba temere di migliorare le sue proprietà per timore che gli siano tolte o di iniziare un’attività per paura delle tasse». O di quella super-tassa che si chiama «tangente».

ALCUNE TESI SUL «SERVIZIO». Tom Peters ha elencato venti tesi sul concetto di «servizio» nel volume Al di là dell’eccellenza (Milano 1991). Noi ci accontenteremmo di vedere individuate e rese operanti, soprattutto nel servizio pubblico, la metà di esse. Queste, ad esempio, «1. Servizio è avere occhi per le aspettative. 2. Servizio è competere sul tempo. 3. Servizio è rimediare con prontezza. 4. Servizio è un fatto di autostima più che di addestramento. 5. Servizio è in primo luogo un fatto di persone. 6. Servizio è padronanza di alta, altissima tecnologia. 7. Servizio è mille piccole cose in una cultura di miglioramento continuo. 8. Il servizio esige tatto, ascolto, percezione dei problemi, sintonia. 9. Il servizio costa, ma è certo che il servizio paga. 10. Il servizio è una porta aperta, una rivoluzione che può cominciare oggi».

CHE IO TI OFFRA IL SERVIZIO DEL MIO PENSIERO. Signore mio Dio, ascolta la mia preghiera, la tua misericordia esaudisca il mio desiderio, perché esso non arde solo per me, ma vuol essere utile ai fratelli nell’amore. Che io ti offra il servizio del mio pensiero e della mia parola. Libera da ogni avventatezza e da ogni menzogna la mia bocca e il mio cuore. Non lasciare nell’abbandono i tuoi doni, non disdegnare questo filo d’erba assetato (Sant’Agostino, Confessioni XI, 2, 2).

20 agosto 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. È umano, anzi umanissimo, ma non umanitario. L’annotazione di Kafka Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso mostra ammirevolmente uno dei rischi maggiori che corre oggi il Cristianesimo. L’esigenza fondamentale, quella della santità, è in effetti troppo spesso dimenticata in favore di considerazioni psicologiche, sociologiche, strategiche, che fanno del Cristianesimo una varietà sentimentale dell’umanitarismo contemporaneo (Olivier Clément). L’opportunismo. L’opportunista s’illude di afferrare le cose nella loro concretezza, ed invece i meccanismi in cui egli si installa funzionano sistematicamente in base allo svuotamento dei reali contenuti dell’esperienza. La miopia caratterizza la sua vista, l’assenza di valori immiserisce la sua azione (Levi Appulo). Con l’Italia come con l’amata. Con l’Italia si vive come con l’amata, oggi in lite violenta, domani in adorazione (Arthur Schopenhauer). Il trionfo del cadùco. Ignoro / quali sventure porterà con sé / il trionfo del cadùco e se / si salveranno poche parole imperiture (uno degli inediti di Eugenio Montale affidati ad Annalisa Cima). Contro l’abuso del termine sociale. Einaudi, il presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, si spazientiva quando sentiva pronunciare l’aggettivo «sociale». Egli partiva da un presupposto molto semplice: è compito dello Stato dare ai cittadini delle buone leggi. Lo Stato che i cittadini costruiranno nel rispetto di quelle buone leggi sarà automaticamente uno Stato sociale (Guido Carli nel trentesimo anniversario della morte di Luigi Einaudi, l’ultimo, insieme a De Gasperi, dei grandi cattolici liberali).

NON «CHE COSA SAI FARE?», MA «CHI TI RACCOMANDA?». Quella sezione che fa capo al giudice Corrado Carnevale, l’implacabile assolutore d’ufficio dei grandi mafiosi, ha emesso di recente una sentenza che afferma la piena liceità della «raccomandazione». Nella sentenza si dice testualmente: «La raccomandazione è ormai tanto profondamente radicata nel costume da apparire agli occhi di molti come uno strumento indispensabile».

Può mai un organo giudiziario legittimare uno strumento di ingiustizia, qual è appunto la raccomandazione? È come dire che ogni sforzo di dare a ciascuno il suo non è più la finalità specifica e primaria della legge e che lo Stato democratico in Italia può anche non essere uno Stato di diritto. Nella situazione presente, sic stantibus rebus – questo suggerisce la sentenza – è più funzionale al sistema non chiedere a chi intenda concorrere ad un qualsiasi posto di responsabilità «che cosa sai fare?», ma limitarsi a domandare «chi ti manda? chi ti raccomanda?», e agire di conseguenza.

SIAMO NOI A SCEGLIERE I NOSTRI MAESTRI? Ho riflettuto spesso sul mistero dell’incontro tra un maestro e un discepolo, tra un educatore e un giovane. Socrate, insuperato risvegliatore di coscienze, ebbe Platone come discepolo; ma nella sua cerchia vi fu pure una della figure più sconcertanti e immorali dell’Ellade, Alcibiade. La causalità esercitata dal maestro è di straordinaria importanza e tuttavia non è resa efficace che dalla decisone dell’allievo di entrare in sintonia con il suo insegnamento e, più spesso, con l’esempio che emana dalla sua personalità.

Che cosa significa allora avere un maestro? Comprendere qualcuno che chiamiamo maestro è in realtà scoprire, seguendo il suo stesso cammino, i movimenti che si osservano in lui; è come abbandonare provvisoriamente noi stessi, ma in modo tale che, al momento in cui decidiamo di associarci a lui, seguiamo noi stessi, il nostro «io profondo» finalmente incamminato ad attuare la sua natura.

IO TI INVOCO, DIO DI VERITÀ. Io ti invoco, Dio di Verità, nel quale dal quale e per il quale è ogni vero. Dio, da cui fuggire è cadere, a cui tornare è risorgere, in cui rimanere è costruirsi solidamente. Dio, che nessuno perde, se non cade in inganno; che nessuno cerca, se la grazia non lo previene; che nessuno trova, se non è purificato. Dio, che abbandonare è come morire, che attendere è come amare, che intuire è come possedere. Dio, a cui ci spinge la fede, a cui ci innalza la speranza, a cui ci unisce la carità. Dio, per mezza del quale soltanto possiamo vincere il nostro nemico, rendici degni di essere esauditi (Sant’Agostino, Soliloqui I, 3).

27 agosto 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Le scritte che ci fanno onore. Meglio un giorno da Borsellino che cento anni da Ciancimino (foglio inquadrato dalle telecamere durante i funerali di Paolo Borsellino, a Palermo). La domanda radicale. Che cos’è la vita? È il definirsi dell’io sono, io esisto a immagine di Colui che è (Fëdor Dostoevskij). La certezza che deve renderci rispettosi verso chi batte vie distinte dalle nostre. Tutti coloro che camminano verso una mèta si incontrano alla mèta (Lev Tolstoj.

Disumanità e soprattutto noia mortale. Credo che siamo in parecchi, ormai, ad affermare che Sade, più che indignarci e tanto meno stregarci, ci annoia (Carlo Laurenzi). L’uomo scultore di se stesso. Responsabilità significa che ciascuno dei miei atti mi costruisce, mi definisce, mi inventa. Scegliendo quello che voglio fare, mi trasformo a poco a poco. Tutte le mie decisioni lasciano impronte in me stesso prima ancora di lasciarle nel mondo che mi circonda (Fernando Savater).

Perfeziona te stesso. Il virtuosismo non ha mai prodotto altro che banalità. Non è il tuo mestiere che devi perfezionare, ma te stesso. Stupire e dispiacere. Non aver timore di stupire o di dispiacere, ma non cercare mai di stupire o di dispiacere. Le lodi, le critiche e gli sciocchi. Presta alle lodi un solo orecchio; tutte e due alla critica. Non ti preoccupare troppo degli sciocchi. È un piacere dispiacere agli sciocchi. Rinuncia però assolutamente a considerare sciocchi coloro a cui non hai saputo piacere. (André Gide)

INVITO A LEGGERE ELIOT. Bisognerebbe scegliere ogni tre-quattro mesi un grande con cui vivere in compagnia. Tra i poeti io sceglierei Eliot, l’americano che per libera scelta è diventato inglese, l’autore più europeo e classico del Novecento. Nel volume Opere di Bompiani c’è tutto l’essenziale, dalla Terra desolata ai sublimi Quartetti, dall’Assassinio nella cattedrale allo Statista a riposo, ai saggi Sulla poesia e sui poeti. Perché Eliot è un grande poeta? Per molte ragioni, ovviamente, ed in primo luogo perché nella sua opera non c’è tanto il tragico grido di una generazione perduta, quella del primo dopoguerra, ma l’alternativa di perdizione o di salvezza di fronte a cui sono poste tutte le generazioni. C’è, infatti, molta differenza fra il rendersi conto che la tragedia è nel cuore della vita ed un’auto-commiserazione da adolescenti per la propria generazione come particolarmente sfortunata. Eliot è un classico perché ha quello che egli stesso definisce «il primo requisito della vita spirituale» e, dunque, dell’arte autentica: la sensibilità al bene e al male. E non già al male di superficie, a ciò che è semplicemente bad, scontentezza e insoddisfazione, bensì al male metafisico, l’evil. Egli ha rappresentato l’inferno degli «uomini vuoti» – nei quali, sommandosi, si moltiplicano futilità, non-senso, inaridimento – e lo ha fatto in modo incomparabile proprio perché dentro il deserto, la disperazione, il rifiuto ha intravisto il giardino, la pietà, l’invocazione. Come Beethoven nelle sue ultime composizioni volle andare di là dalla musica, anche Eliot si sforzò di andare oltre la poesia, muovendo alla ricerca e alla contemplazione amante di Qualcuno che all’artista è dato cogliere a suo modo, attraverso «il punto di intersezione dell’eterno / nel tempo» (Quartetti, I Dry Salvages).

UN «MEMENTO» PER CHI SCRIVE. Una volta per scrivere ci voleva carta, penna e calamaio. Oggi c’è la biro, una «Olivetti» portatile, il computer. Ma la responsabilità di chi mette i suoi pensieri e i suoi sentimenti su di un foglio bianco è sempre la stessa, ed è «pesante». Sull’argomento ecco una pagina, scritta anni fa da un pubblicista che seppe parlare a lettori di decisiva importanza, genitori e insegnanti di tutta Italia, attraverso riviste come Madre e Scuola italiana moderna. «Afferro la penna ch’è sul mio tavolo – scrive don Peppino Tedeschi, in una delle sue Noterelle minime – e sempre con trepidazione. La penna fissa il mio giudizio e il mio pensiero sulla carta. Allora, prima di scrivere, dovrei pensare sempre a che cosa ne può seguire… Non bisognerebbe impugnarla mai la penna quando dentro c’è la burrasca. Ricordo le lettere delle mamme ai miei soldati al fronte, in Africa, sul mare; letterariamente nulla, ma ogni parola, ogni virgola portava il segno di un tremito, di una commozione. La mia è una piccola penna d’acciaio, eppure mi si fa pesante in mano. Sembra suggerirmi: – Adoperami, ma dopo aver bilanciato il pro e il contro di quello che seguirà allo scritto… Che io non ferisca, che non offenda l’onore, la coscienza, la giusta serenità di nessuno» (da Uomini e cose, Brescia 1963).

3 settembre 1992.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La soglia luminosa. Quando Rabbi Bunam stava per morire, sua moglie piangeva. Egli le disse: – Perché piangi? Tutta la mia vita è stata solo perché imparassi a morire (da I racconti dei Chassidim). Il consiglio veramente giusto. Fugit hora, manent opera: ergo dum tempus habemus, operemur bonum (iscrizione su un vecchio quadrante solare). Oltre il genio del cristianesimo. È legittimo comprendere il «genio del cristianesimo» nella sua fecondità estetica e quale forza civilizzatrice nel passato e nel presente; ma è necessario, a questo punto, avere una conoscenza autentica, oggettivamente sincera del cristianesimo in quanto tale, nella sua reale essenza (Levi Appulo).

Una deficienza preoccupante. Diffidate dell’uomo che non ama la musica. / Egli è come un antro nella notte, dove si annida l’aspide (William Shakespeare). La musica interiore. Se noi commettiamo ingiustizia, Dio ci farà rimanere senza musica (Cassiodoro, VI secolo).

L’avvenire è, in certo modo, virtualmente, già presente. La storia non è fatta solo di ciò che è stato e ciascun presente è gravido della presenza di ciò che sarà. Il virtuale, in storia, non è altro che l’avvenire presente. Propensione invincibile. L’uomo è un essere moralizzante più ancora, forse, che morale. Moralizza anche quando non è più virtuoso. (Jean Guitton)

ITALIA, SOCIALISMO REALE AL 53%. In una delle sue limpide lezioni di economia in televisione, Romano Prodi ci ha fatto sapere che in Germania ci sono solo due aziende di Stato, la Lufthansa e la Volkswagen, ambedue tirano molto bene e che da noi, invece, è il 53% dell’apparato produttivo che è nelle mani dello Stato; con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Certamente l’eredità fascista in questo campo era pesante e la crisi del dopoguerra vi aggiunse i suoi guasti; ma una volta scomparsi Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, la classe politica nel suo insieme non è stata capace di porre un limite all’espansione della mano pubblica in economia. Sarebbe, però, più giusto dire che non lo ha voluto, e per più di un motivo.

Una confusa dottrina sociale faceva del «semi-capitalismo di Stato» la condizione necessaria alla realizzazione dello «Stato sociale». L’ideologia marxista reclamava a gran voce una politica di nazionalizzazioni e partecipazioni statali; e nella stessa direzione spingevano i sindacati e tutte le sinistre. D’altra parte, chi aveva la direzione del Governo e la maggioranza in Parlamento ha trovato utile assecondare quel tipo di impostazione, il solo che permettesse nello stesso tempo di associare a sé l’opposizione in un settore di grande rilevanza e di garantirsi a priori i più ampi mezzi di auto-finanziamento, impinguando altresì a spese dei contribuenti un esercito di alti, medi e piccoli feudatari di partito.

Mi viene in mente il giudizio che nel febbraio di quest’anno dette, in un incontro con la stampa a Brescia, il preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Praga, prof. Milan Petrusek, a chi gli chiedeva in che misura il modello italiano di sviluppo potesse essere «paradigmatico» per un Paese come la Cecoslovacchia che usciva dal comunismo. «Il vostro tipo di organizzazione produttiva – rispose senza mezzi termini l’illustre ospite – noi non lo riteniamo affatto esemplare. Malgrado i benefici connessi alla vostra collocazione geo-politica e alla libertà di cui avete goduto, a causa dello statalismo parassitario che inquina la vostra economia voi siete in Europa il Paese più vicino a quel socialismo reale a cui noi vogliamo dire addio al più presto».

AMATO, IL CORAGGIO E LA PAURA. Ed ecco che anche questo nostro cospicuo aspetto di «socialismo reale» sembra finalmente essere messo in discussione sul serio per la prima volta dall’attuale Governo. Sarà dunque un giorno degno di essere ricordato quello del 7 agosto ‘92, in cui il presidente del Consiglio Giuliano Amato ha osato qualcosa che nel nostro sistema bloccato era follia sperare, licenziando i boiardi delle Partecipazioni Statali e avviando la trasformazione di Enel, Eni, Ina, Iri in società per azioni? È presto par dirlo.

Le resistenza dell’ancien régime sono state durissime, né è pensabile che in futuro disarmino le forze che hanno tratto il massimo profitto dall’industria pubblica. Bisogna che a quel primo atto di coraggio, Amato ne faccia seguire molti altri e subito, se vuol veramente far cessare l’assalto partitocratico alla diligenza e una delle cause principali del debito pubblico. È necessario che il presidente si faccia forte paradossalmente della sua debolezza e approfitti della crisi morale e politica dei partiti per operare le scelte più impegnative. Se i brezneviani di casa nostra si ricompattano tra loro e ritrovano sul problema della presenza pubblica in economia l’appoggio dell’ex-Pci, ogni speranza di ritorno alle più elementari regole di buon governo andrà perduta.

RICERCA E INVOCAZIONE. Signore, potrebbe mai invocarti chi non ti conosce? O tu devi essere invocato perché ti si conosca? Chi non ti conosce potrebbe, infatti, essere indotto a invocare una cosa per l’altra. E tuttavia per conoscerti non è forse necessario invocarti? Ma come invocare colui al quale non abbiamo creduto? E come credere, se nessuno prima ce ne dà l’annuncio? Celebreranno il Signore coloro che lo cercano. Infatti chi lo cerca lo trova, e chi l’ha trovato non può non celebrarne le lodi. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e ti invochi credendo in te, perché sei stato annunciato a noi mediante il tuo Figlio fatto uomo e l’opera sua (Sant’Agostino, Confessioni, I, 1, 1).

10 settembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Il giusto pessimismo. Il giusto pessimismo nasce dalla giusta consapevolezza che è necessario, come dice il Vangelo, che avvengano scandali; che è necessario denunciare il male senza smussarne la gravità; che è necessario proprio turbare le coscienze, scuoterle, impedire loro di addormentarsi, sottovalutando la forza del male e quindi spianandogli la strada. Dinanzi ai martiri della nuova resistenza. La vita e la morte di Paolo Borsellino, il suo coraggio e il suo disprezzo della morte, come quelli di tutti gli altri che sono caduti o combattono ancora come lui, ci fanno vergognare per la nostra viltà e la nostra piccolezza di mezze tacche. (Claudio Magris)

Onore a chi lavora gratis. Per essere utili agli altri non serve volare. Basta volere. Volontariato. Lo straordinario di ogni giorno (campagna per il volontariato svolta da Pubblicità Progresso). La vera realtà della persona si apre attraverso la comunicazione. Quando una donna e un uomo si amano ma non dichiarano il loro amore, non sono ancora innamorati. Il loro stesso silenzio significa che il loro amore non è ancora arrivato alla dedizione e al dono di sé. È l’amore che uno liberamente e senza riserve comunica all’altro da sé che costituisce la situazione radicalmente nuova dell’essere innamorati. (Bernard Lonergan, teologo canadese)

Non citare mai una stupidaggine. Dire stupidaggini è follia, citarle appare erudizione. Due splendidi consigli per il lavoro intellettuale. 1. Conoscere tutti i dati relativi ad un testo non è ancora capire il testo. 2. Non rimettere nel testo ciò che l’autore ha voluto lasciar fuori. (Luis Alonso Schoekel)

UNA CELEBRE VIGNETTA. Giovanni Mosca aveva sedici anni nel 1924, quando il socialista Giacomo Matteotti fu ucciso per aver contestato in Parlamento brogli elettorali dei fascisti nelle elezioni di quella primavera. Mosca era poco più che un ragazzo e non si interessava di politica, ma la rivolta morale del Paese contro il fascismo contagiò anche lui. Fece un grande disegno raffigurante un cane da fiuto che trascinava un carabiniere verso un cumulo di terra e di erbacce, sotto il quale giaceva il cadavere di Matteotti; la didascalia era concentrata in tre parole: Mussolini, cave canem!». La vignetta fu incollata la sera del 16 agosto, quando si seppe del ritrovamento del cadavere di Matteotti, sul basamento della statua di Pasquino; fu, però, ripresa dal giornale d’opposizione Becco giallo e così fece il giro della Penisola.

Molti anni dopo ne scrisse lo stesso Mosca nel libro di ricordi La signora Teresa (Milano 1977), mettendo a nudo, con un’osservazione di grande schiettezza, il segreto del suo umorismo così intelligentemente insidioso ed efficace. «Non potevo dirmi antifascista. Semplicemente possedevo un certo senso dell’umorismo che mi permetteva di cogliere l’aspetto ridicolo delle cose; e quanto più le si spacciava per serie, tanto più ero tentato di mostrare quanto buffa ne fosse la sostanza».

Saper cogliere l’aspetto ridicolo delle cose, ridersela di gusto della falsa serietà: ecco un aspetto ben riconoscibile della saggezza, ecco qualcosa da insegnare ai giovani per preservarli dal fanatismo che devia e inquina, in qualsiasi campo e regime politico, anche intelligenze elette e generosi propositi.

CHE COSA FARAI DA GRANDE? Ho un nipote di dieci anni. Negli anni scorsi gli ho rivolto, a larghi intervalli, la domanda-test: «Che cosa farai da grande?». Le risposte, in ordine di tempo, sono state: il calciatore, il maestro, da ultimo il giornalista.

Nei giorni scorsi, vedendolo immerso nella compilazione di liste di dati sui più disparati argomenti, gli dico: «Ora so quello che farai da grande. Studierai statistica». La risposta è stata: «Io voglio fare il magistrato». Dunque anche nel suo cuore hanno lasciato un segno e deposto un seme il martirio di Falcone e Borsellino, il coraggio di Di Pietro.

CHE COSA SONO IO PER TE? CHE COSA SEI TU PER ME? Dimmi, ti prego, Signore Dio mio, e dimmelo in modo che io ti possa ascoltare, che cosa sono io per te, perché tu voglia essere amato da me, e che cosa sei tu per me.

Le orecchie del mio cuore, Signore, sono davanti a te; aprile e dì alla mia anima: io sono la tua salvezza. La casa della mia anima è troppo angusta perché tu possa entrarvi: dilatala tu. È in rovina: restaurala tu. Contiene cose che ti ripugnano: lo ammetto e ne sono consapevole. Ma chi può purificarla? E a chi se non a te griderò: «Purificami, Signore!» (Sant’Agostino, Confessioni, 1, 5, 5-6).

17 settembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. L’Italia, Dio e la mazzuola. Senza riforme l’Italia è spacciata. Verrà messere Domeniddio con la mazzuola. I tiepidi sono cinici. I tiepidi hanno l’anima secca e asciutta come cenere. Ci son ladri e ladri. I ladri grandi impiccano i piccoli. La fine che si meritano. Quelli che ingrassano nella roba rubata finiranno male, issati sulle stanghe come vacche morte. Gli uomini-scorpioni. Lavorano con la coda, ti parlano amichevolmente e modulano parole melliflue… Ma in cauda venenum! Gli uomini del freddo. Hanno freddo nel cuore. Tale il diavolo a causa del peccato. Signori, così non si va. In paradiso non si va col guancialino. (fra Gerolamo Savonarola, 1452-1498)

Perché apriamo il nostro cuore a chi non conosciamo? A chi non è capitato di incontrare, durante un viaggio in treno, un passeggero sconosciuto che gli ha aperto il cuore raccontando un segreto forse mai confidato a nessuno? Ciò avviene nella certezza di un incontro che nasce e muore lì, nel momento di un viaggio che unisce il confidente e il confessore solo per caso (Marco Parma).

PER FAVORE, NON TIRATE IN BALLO LEON BLOY! All’assise democristiana di agosto l’onorevole Forlani ha voluto citare Léon Bloy a giustificazione della sua riluttanza al cambiamento. Si può certamente citare Bloy, e si spera anche che lo si legga (una scelta dei suoi scritti Il pellegrino dell’Assoluto è stata pubblicata da Città Nuova), ma ad un patto: «a patto che si provi un profondo disagio», osserva con finezza Carlo Carena.

Le ragioni del disagio che tutti dobbiamo provare nel misurarci con Bloy sono tante e non di secondaria importanza. Lo avvertirono acutamente due giovani atei in ricerca, Jacques e Raïssa Maritain, che Bloy indusse a salire sulla «scala della Luce» dopo il fatidico incontro del 20 giugno 1905. Vi sono, però, almeno un paio di considerazioni che avrebbero dovuto sconsigliare di far ricorso a quel grande cristiano, granitico nella sua fede e anticonformista per vocazione, in quel tipo di assemblea e in quel momento.

In primo luogo, è bene ricordare che Bloy non conosceva furbizie, reticenze, convenienze di sorta. Anzi attaccava con furore le mezze verità, le ipocrisie, la grettezza e la desolante banalità dei luoghi comuni contrabbandati per consigli di prudenza e buon senso. Egli, insomma, ci appare come l’uomo del rifiuto implacabile di un metodo, di un linguaggio, di una mentalità che caratterizzano così nettamente il nostro mondo politico. Un metodo, un linguaggio, una mentalità da cambiare radicalmente.

In secondo luogo, in pieno scandalo tangenti (argomento accantonato dal parlamento democristiano), come si fa a nominare Bloy e a tacere il suo giudizio di fuoco sull’idolatria del danaro quale nuova, effettiva religione quando un popolo e una classe dirigente dimenticano il loro onore e la loro fede?

LA STUPIDITÀ INGENUA E LA STUPIDITÀ DA PROGRESSO. La forma di stupidità che più mi addolora e che tento, come posso, di smascherare non è quella «ingenua» (del resto assai rara). La stupidità ingenua non reca danno, talora è «poetica», spesso produce un moto di affettuosa comprensione verso chi ne sia il portatore. È l’altra quella pericolosa, la stupidità energica, attiva, presuntuosa. La stupidità propria di un’intelligenza deviata. E certamente non c’è nessuno più minacciato dalla stupidità di colui che usa per professione l’intelligenza.

Per Ruggero Guarini, sempre acuto, «in piccole dosi la stupidità non rende, ma in dosi estreme può portare al successo». Soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui si venera addirittura l’indice di gradimento della… stupidità, indice che può essere anche molto alto se entra in miscela con la volgarità. Se poi la riflessione si allarga all’indirizzo generale di un’epoca, ad ogni tipo di attese o di prestazioni si può collegare un tipo di stupidità. Ma su questo punto decisivo hanno già detto ciò che è essenziale, ed in maniera definitiva, Leopardi e Pinocchio. È la tesi di Fruttero e Lucentini.

«Nella Palinodìa (un testo che dovrebbe essere imparato obbligatoriamente a memoria, letto quotidianamente prima di ogni telegiornale) tutto è stato già catalogato da Leopardi – scrivono i nostri – con miracolosa e tragica preveggenza. È la stupidità da progresso, morbo ignoto prima del Settecento, che agisce sul malato in due modi. Da un lato lo convince che l’Uomo, dunque il mondo, sia di anno in anno migliorabile, come un pneumatico o un detersivo; dall’altro lo abbaglia, gli impedisce di vedere ciò che pure ha sotto gli occhi giorno dopo giorno, cioè che qualsiasi “miglioria” di qualsiasi portata ed in qualsiasi campo, ha sempre un costo, di solito alto, e va quindi accolta con ragionevole diffidenza anziché con ebete eccitazione. E che cos’è il Paese del Balocchi se non una perfetta allegoria della frivolezza, puerilità, credulità, stupidità del nostro tempo?».

Una domanda non inutile in un Paese di scarsa memoria storica e di facili riciclaggi culturali: ma chi è che ha celebrato l’orgia della «stupidità da progresso», più di ogni altro, in Italia e in Occidente?

TENDO A RACCOGLIERE ME STESSO DALLA DISPERSIONE. Voglio ricordare le oscurità della mia anima, non perché le ami, ma per amare te, mio Dio. Lo faccio per amore, del tuo amore. Rievoco le mie vecchie strade perverse solo perché tendo a raccogliere me stesso dalla dispersione, in cui mi trovai frantumato in mille pezzi, quando, allontanandomi da te che sei l’Uno, mi ridussi a un nulla, sperdendomi nei molti (Sant’Agostino, Confessioni 11, 1, 1).

24 settembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. E lei, che cosa ha da confessare? È sempre opportuno che due persone che devono convivere si confidino in precedenza le loro caratteristiche peggiori. Norma fondamentale di igiene mentale. Vien sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna acquisita in passato. Di conseguenza è importantissimo evitare che un assortimento di fatti inutili possa spodestare quelli utili. Ed è inoltre salutare poter dire, di tanto in tanto, a qualcuno: «Ora che lei mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle». Idee adeguate all’oggetto. Le nostre idee devono essere grandiose quanto la natura, se devono interpretare la natura stessa. Un errore frequente. È un errore confondere la stranezza col mistero. Gli emissari sono ben visibili. Gli emissari del demonio possono essere benissimo di carne e ossa. È molto difficile. È molto difficile per un uomo dover capire e decidere in una sola volta. Due convinzioni perverse. Chi è accontentato in tutto e per tutto finisce col pensare che il mondo è fatto per il comodo suo e che a lui tutto è permesso. Tale la catena quali gli anelli. Nessuna catena è più forte del suo più debole anello. La mediocrità e il talento. La mediocrità non conosce nulla di più alto di se stessa, ma il talento intuisce immediatamente il genio. A chi si rifiuta di rispondere. Lei può rifiutarsi di rispondere, ma deve comprendere che il suo rifiuto è di per se stesso una risposta, poiché lei non si rifiuterebbe di parlare se non avesse qualcosa da nascondere. (Arthur Conan Doyle, l’autore delle avventure di Sherlock Holmes narrate nei suoi romanzi polizieschi scritti fra il 1887 e il 1930)

IL POETA E LA CENSURA. Un libro piacevolissimo ed insieme serio, che detesta ogni pedanteria ed arroganza? Tra i classici si fa presto a indicarlo: le Satire di Orazio, che ho voluto rileggere, e con vero godimento, nella bella edizione Bur-Rizzoli, curata da Mario Labate. Il mondo dell’io e della società vi è rappresentato in modo mirabile attraverso aneddoti, schizzi di personaggi, attacchi a persone che hanno nome e cognome. Di più. Vi è in quest’opera di Orazio un’evoluzione dalla polemica morale al raccoglimento interiore e all’interrogazione socratica sullo stato della nostra anima. Ed è forse proprio qui la ragione più profonda del suo incanto dopo duemila anni. Orazio non si comporta mai come uno zotico o, peggio, come un dottrinario; ma egli sa bene che senza una critica libera e severa non è possibile una vita sana in una comunità e che, pertanto, lo stile ironico deve anche graffiare e sferzare. Di qui il problema della censura, che Orazio pone in queste poche battute. «Trebazio: non posso, a dire il vero, levare da quello che tu scrivi neppure una virgola. Tuttavia bisogna che tu sia avvertito e stia in guardia che non debba qualche volta arrecarti fastidio l’ignoranza della legge secondo la quale “se uno avrà fabbricato versi malvagi a danno d’un altro, c’è processo e giudizio per lui”. Orazio: così sia per i versi malvagi; e se uno, invece, avrà fabbricato buoni versi e si merita lode al tribunale di Cesare? Se uno, a cui non si può rimproverare alcunché, avrà abbaiato contro chi è ben degno di vituperi? Trebazio: allora scoppieranno dal ridere le tavole della legge e tu te ne andrai assolto» (Satire II, 1, vv. 79-86).

LA «LEZIONE» DI UN MASCALZONE. Franco Cazzola pubblicò nel 1988 un volume che avrebbe dovuto aprire gli occhi a molti: Della corruzione (Bologna). Qualche tempo dopo fu avvicinato da un esponente politico con una lunga esperienza di amministratore locale, il quale gli spiegò che alla sua indagine era sfuggito come si gestisce il consenso elettorale senza violare apertamente la legge. Lacuna questa da colmare in un libro che ha per oggetto precipuo l’intreccio tra politica e affari. Il Cazzola riassume il discorso-lezione di quel signore. «Facciamo il caso che venga bandito un concorso per 200 vigili urbani; in una città come la nostra, martoriata dalla disoccupazione, è prevedibile che facciano domanda 20.000 persone. Io, esponente politico, faccio di tutto per entrare in commissione e per farmi nominare presidente. A questo punto ho due strade davanti a me. La prima è quella di far chiudere in fretta il concorso. Scrivo delle lettere su carta intestata in cui comunico in anteprima che loro sono stati dichiarati vincitori grazie al mio interessamento. Mi raccomando: questa lettera deve arrivare prima della ufficializzazione dei risultati! Questo mi può procurare circa 400 voti di lista e di preferenza, calcolando anche i familiari. La seconda strada è molto più redditizia: tiro il concorso in lungo e premo sui candidati anziché sui vincitori. Prometto, blandisco, assicuro interessamento; ma le possibilità saranno buone solo se sarò rieletto, e con un consenso elettorale che mi dia forza e autorevolezza. Basta che questo discorso faccia presa su un decimo dei concorrenti e io mi ritrovo con 8.000 voti. Stando così le cose, come fa lei a sostenere che il nostro sistema è inefficiente?» (Franco Cazzola, L’Italia del pizzo, Torino 1992). In questo esempio non ci sono gli estremi del reato di corruzione o di concussione, non c’è traccia di pizzo o di bustarella; c’è, però, tutta la filosofia cinica e infame che sta dietro alla compravendita dei diritti e alla trasformazione di un servizio pubblico, un concorso, in strumento per garantirsi un consenso elettorale personalizzato nel tempo. Più mascalzoni di così!

1 ottobre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. La spiegazione vera. In quei Governi corrotti, dove esiste almeno un sospetto generale di molte spese non necessarie e di gravi errori nell’impiego della pubblica entrata, le leggi ad essa relative sono poco rispettate (Adam Smith). La non rispettabilità di certe leggi. Poiché le leggi vengano rispettate, occorre che esse siano rispettabili (Frédéric Bastiat). Il teatro e le sue emozioni. Nulla è più labile delle emozioni teatrali. Delle voci lontane si è perduta anche l’ultima eco; le fotografie, che pure fissano gesti ed espressioni, sembrano reperti inanimati… Arte deperibile, quella che si celebra sulle scene; non consente ripetizioni, non è riproducibile. Cultura affidata all’istante, della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Eppure, di tutto ciò resta un’aura, una leggenda, di cui le anime degli spettatori rimangono imbevute (Ranieri Polese). Grazie a questa domanda. Come hai vissuto? Chi sei? Io sono e divento grazie a questa domanda (Luce Irigaray).

Me lo chiedo anch’io. Povere mie parole. / Stracci o frecce di sole? Oltre il buio e il disincanto. Le parole vive. / Le parole ardenti. / Le parole mute / rimaste fra i denti. Dopopranzo. È questo il tempo più stanco / del giorno / prima che le campane / come giovani donne / cantino / a vespro. (Giorgio Caproni)

TRA UNA BATTUTA E UNA MENZOGNA, AVANTI VERSO IL BARATRO. Ricordate le cifre che dagli schermi televisivi ci propinava il ministro del Bilancio Cirino Pomicino? E le seccate, infastidite reazioni del presidente del Consiglio Giulio Andreotti ai moniti che incessantemente ci venivano dagli organismi internazionali sull’urgenza con cui occorreva porre un argine a un sistema di allegra finanza, pericoloso per i nostri partner e disastroso per il nostro Paese? Il primo ci assicurava che il debito pubblico era sotto controllo e comunque non era tale da pregiudicare l’occupazione e lo sviluppo. Il secondo respingeva ai mittenti i moniti che ci erano rivolti. «Che pensino ai loro guai!» era la frase più ricorrente, con l’aggiunta di qualche spiritosaggine che poi faceva il giro d’Italia, grazie alla Tv, a cui il personaggio è particolarmente congeniale. Così, tra una menzogna e una battuta, tra una legge superclientelare e l’altra, tra un’apparizione e l’altra a spettacoli come «Créme Caramel», il Paese è stato condotto al punto in cui si trova. Oggi sappiamo, leggiamo ogni giorno sui quotidiani ciò che prima era negato, ciò che si sapeva essere vero e tuttavia si è voluto nascondere al Paese. Non sono necessarie cifre per illustrare lo stato dei fatti, ne basta una riepilogativa. Il debito pubblico ha superato il milione e mezzo di miliardi – una cifra spaventosa, che la mente non riesce a rappresentarsi – e ha imboccato la strada dei due milioni di miliardi. La nostra classe politica negli ultimi dieci anni nel suo insieme – Governo, Parlamento, maggioranza e opposizione consociata – si è imposta come vera e propria classe sociale proprietaria della cosa pubblica e ha portato, in cambio, il Paese alla rovina. Siamo al punto che un italiano, appena viene al mondo, si trova già allo scoperto per 25 milioni. È la cifra che si ottiene dividendo il debito nazionale tra i sessantamilioni di abitanti del Bel Paese.

VIVI COME SE… «Vivi come se dovessi morire domani e lavora come se dovessi vivere sempre. La morte mi coglierà un giorno. Possa sorprendermi al lavoro piuttosto che in ozio». Il testo latino merita di essere riportato: «Sic vive tamquam cras moriturus, sic stude quasi semper victurus. Occupabit mors. Sed malo occupet studentem quam cessantem». È un brano degli Antibarbari, del 1520, in cui il grande Erasmo ci confida uno dei precetti a cui ha conformato la sua esistenza operosissima. Egli vuol moire con la penna in mano, ma da buon discepolo di Socrate aggiunge: «Quando avrò imparato tutto, saprò di non sapere nulla». L’umanità autentica, il sapere di non sapere nasce, infatti, solo da un’intensa, appassionata ricerca e non dalla pigrizia, non dalla rinuncia alla ragione e allo studio, non da un cieco fideismo.

POETI D’OGGI. Alla parola. «Non aprire la finestra, / non spostare la tenda; / mi dolgono gli occhi. / Siediti accanto, / mi alzo dopo per rigovernare. Anche oggi, / dannazione!, non mi offri / un pensiero, / un battito delle ciglia?» (Dante Maffìa, L’educazione permanente, Bellinzona 1992). L’invisibile presenza. «Ed ora eccomi qui / seduto sull’orizzonte / del fiume della vita / ad attendere un segno / del tuo essere / ancora a me presente, / a indovinare un gesto / che tracci nell’aria un bagliore / che te mi ricordi» (Bruno Rombi, Riti e Miti, Pisa 1991). Meriggio estivo. «A punte sovrapposte / l’oro caldo dell’aria / stagna / indifferente ai sussurri / del gabbiano che strappa, / con ali nude / lembi d’orizzonte» (B. Rombi).

8 ottobre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Non può aver pace. Il cuore dell’empio è come il mare in tempesta. Non può aver pace (Libro di Isaia). Non badare a quello che fanno i più. Non sarà minore la tua gloria se tu sarai felice con pochi, né minore la tua pena, se sarai infelice con molti (Giovanni Pico della Mirandola). L’artista lo può. Il compito dell’artista è di non far dimenticar al cuore quello che gli occhi hanno veduto (Coventry Patmore).

La memoria di Dio per salvare l’anima di verità dell’illuminismo. La cultura dell’illuminismo – come cultura della libertà, della democrazia e dei diritti umani – se vuole avere un futuro deve aprirsi al contributo che può offrire la memoria di Dio della tradizione ebraico-cristiana, la quale ancora oggi permette di parlare di umanità e di solidarietà, di oppressione e di liberazione e di protestare contro un’ingiustizia che grida fino al cielo (Johann Baptist Metz). Insieme, anche dopo la morte. Quando morta sarò… sulla terra / resti l’anima mia. Resti tra gli uomini… / Con essi vegli, in essi operi, ad essi / della tua grazia sia tramite e luce (Ada Negri).

Ciò che passa e ciò che resta. Le imposture e le corruttele passano, come passano le tirannidi. Dio resta. E perché la luce del sole ci viene spesso offuscata e guasta da sozzi vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo raggio sull’universo? L’errore rovinoso. V’è un errore grave o rovinoso quanto è l’ateismo. Questo errore è la separazione di Dio dalla sua opera. (Giuseppe Mazzini)

È LA «SITUAZIONE» A COMANDARE LA NOSTRA «RISPOSTA»? Il nostro agire si esplica certamente non nel vuoto, ma in rapporto ad una situazione che è già data. Ogni situazione, però, non è essa stessa univoca e determinata ad unum, perché le sue sfide sono molteplici ed anche le opportunità tra le quali siamo chiamati a scegliere.

Rapportarci alla «situazione» è dunque inevitabile, ma i modi in cui possiamo rapportarci ad essa sono assai diversi tra loro e spesso opposti. Di più: il nostro tipo di risposta attesta e concorre a formare la nostra personalità, la nostra sostanza umana.

Mi si obietta: chi si trova dinanzi un sistema corrotto, deve pur decidersi a diventare egli stesso corrotto e corruttore. Rispondo: se vuol acquistare potere e denaro ad ogni costo, probabilmente non ha altre alternative; ma non è detto che si debba porre lo scopo della propria vita nel far soldi e nel poter imporre in qualche modo ad altri il proprio volere.

Dalla mia stessa coscienza, dal prossimo, da Dio non mi viene chiesto: «Ti sei adeguato con prontezza e abilità ai disvalori presenti nella società in cui vivi?», ma «Che cosa fai tu per cambiare in meglio, per quanto sta in te, la situazione in cui sei chiamato a vivere?».

ERRORE O CRIMINE? Mi ha fatto piacere leggere che il segretario politico del Msi-Destra Nazionale, Gianfranco Fini, ha condannato le violenze razziste che da qualche tempo stanno tristemente tornando in Europa. Mussolini giudicava il razzismo un’idiozia e tuttavia – ammette Fini – commise l’«errore» di aderirvi.

Ebbene no. Quando un «errore» comporta la discriminazione nella scuola e nel lavoro, la deportazione nei campi di concentramento, sofferenze di ogni genere e morte per gente appartenente a un gruppo etnico e religioso, allora si deve propriamente parlare di «crimine», di miti ideologici e leggi di mostruosa disumanità. Qualcosa da non dimenticare mai quando si cerca di formulare un giudizio storico oggettivo sul fascismo.

AFORISMI SULLA CRISI DI «REGIME». 1) La democrazia è per eccellenza il governo del «potere visibile». 2) Dimmi dov’è finito il tuo segretario-collaboratore-uomo di fiducia e ti dirò chi sei. A lui spetta il ruolo di copertura del potente (ministro, segretario di partito ecc. ecc.); a te, che sei il potente, il malloppo. Se è finito in galera il tuo braccio destro, vuol dire che vi è andato al tuo posto. 3) Quando più l’attore della corruzione è altolocato e insospettabile, tanto più deve far largo uso dell’ipocrisia, della menzogna e dell’auto-celebrazione. 4) Ti giudicavo onesto, ma quando ho saputo chi ti ha pagato le spese per la campagna elettorale, ho dovuto cambiare parere. Sei diventato, ti piaccia o no, suo tributario e suo simile. 5) La nomenclatura responsabile dello sfascio morale ed economico, oltre che politico, del Paese continua a ripetere: «Se sparate su di noi, uccidete la democrazia!». Non è vero. Ha ucciso la democrazia chi l’ha dissanguata erigendo a sistema la corruzione, l’impunità, l’arroganza. Il regime partitocratico non ha diritto a identificarsi con la democrazia più di quanto una lampada bruciata possa identificarsi con la luce.

15 ottobre 1992

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’ignoranza del fondamento. Vi fu un tempo in cui ogni scienza era scienza di Dio: ora, invece, si sa di tutto fuorché di Dio… Vi fu un tempo in cui lo spirito non aveva tregua nella ricerca di Dio: il tempo presente si risparmia questa fatica e non si addolora per il fatto che non sa nulla di Dio (Georg Wilhelm Friedrich Hegel). Leggerò la mia sorte nei loro occhi? Dovrò sempre far dipendere la mia felicità dall’opinione che gli altri hanno di me? Leggerò la mia sorte nei loro occhi? E quale rapporto ha il loro contegno, il loro fare gentile o scostante, con la mia tranquillità? (Maine de Biran). Se la tentazione è seria, rallegriamoci. L’apostolo Giacomo afferma, e non ingiustamente: Rallegratevi, fratelli, quando cadete in serie tentazioni. Infatti qual speranza di gloria, se non v’è speranza di vittoria? E quale possibilità di vittoria dove non c’è battaglia? (Giovanni Pico della Mirandola).

Come si diventa schiavi degli altri. Colui che ha in sua facoltà di dare o di togliere a una persona quel che essa vuole o non vuole, è padrone di quella persona. Però chiunque ha volontà di essere libero faccia in modo di non desiderare né fuggire cosa alcuna di quelle che sono in potestà altrui; altrimenti sarà inevitabile diventarne schiavo. Queste cose si devono fare come di passaggio. L’essere lungamente occupato nelle cure del corpo è segno di angustia mentale. Queste cose si devono fare, ma come di passaggio. (Epitteto)

QUESTIONE MORALE. Allo scrittore Vitaliano Brancati è attribuito un aneddoto molto istruttivo sul modo in cui il danaro si fa strada nella coscienza di un uomo.

Un imprenditore propone un «affare» a un alto funzionario, che gli dà questa risposta:

«Ho ascoltato attentamente la sua proposta. Abbia un po’ di pazienza! Aspetti un momento. L’onestà mi passa presto. Devo stringermi le tempie e pensare a mio padre che è morto in un pigiama rattoppato. E l’onestà passa. Aspetti ancora un minuto, e la sua proposta, che mi sta rivoltando lo stomaco e che mi dà la voglia di cacciarla fuori a pedate, io l’accetterò».

Un altro autore ignoto racconta la variante simmetrica dello stesso aneddoto.

La risposta del funzionario è radicalmente diversa:

«La sua offerta è allettante. Avrei molte ragioni per accettarla; ma sento che mi fa rivoltare lo stomaco. L’onestà non mi passa facilmente. Penso a mio padre che ha lavorato vent’anni in miniera per farmi studiare ed è morto povero: l’affare che mi propone mi colpisce nella sua memoria, che è anche la mia storia. Per queste radici dico no con forza, e con un cero disgusto, alla sua proposta».

Le stesse radici, la stessa storia: una reazione opposta alle suggestioni del potere e del denaro.

È solo un sottile filo psicologico che divide l’onestà dal corrotto? No, è una scelta propriamente morale. L’aneddoto di Vitaliano Brancati è riportato da Vito Marino Caferra in Il sistema della corruzione, Bari 1992, un libro che dovrebbero leggere coloro che hanno disfatto l’Italia e quanti vogliono lavorare a ricostruirla.

GLI IDEALI ORIGINARI E QUELLI CHE ORA LI RAPPRESENTANO. Nelle sue encicliche Giovanni XXIII raccomandava di distinguere tra le dottrine e gli sviluppi storici dei movimenti che da esse sono stati originati. L’intento era quello di invitare a cogliere, al di là di erronei postulati ideologici, proposte valide e autentiche testimonianze di valori nei movimenti concretamente operanti nella società.

La distinzione suggerita da Giovanni XXIII rimane valida, soprattutto nei confronti di quelle ideologie sostanzialmente inficiate da errore; ma negli altri casi occorre operare una specie di inversione delle parti. Così, ad esempio, la vigorosa polemica contro la Dc è fatta in nome della fedeltà ai principi del popolarismo e della morale cristiana. L’accusa mossa alle forze di tradizione liberale è di aver banalizzato, nell’impatto con i partiti di massa, l’idea alta e severa della libertà elaborata dai grandi maestri del liberalismo. Infine, la denuncia nei confronti dei socialisti nostrani è di aver smarrito i principi di integrità personale e di profonda solidarietà sociale che caratterizzarono l’apostolato di Filippo Turati.

22 ottobre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Mezze verità, cioè bugie. Io credo che nel nostro Dna, nel codice genetico degli italiani, ci sia un segno particolare: una tendenza irrefrenabile per le mezze verità (Enzo Biagi). Splendida nella notte. Splendida nella notte con il dono della sua luce, / intorno alla terra essa gira, / sempre lasciando il suo sguardo rivolto ai raggi del Sole (Parmenide). Neanche una di troppo. Federico II, mentre ascolta Il flauto magico: – Quante note, quante note! Mozart di rimando! – Neanche una di troppo Maestà (Jean Genet).

Scienza e filosofia, forme distinte di conoscenza. Non si tratta di sottolineare la superiorità della conoscenza filosofica rispetto alla scienza, ma la diversità dei compiti e dell’ambito d’indagine, propria e specifica della filosofia. La realtà è in varia misura conoscibile a diversi livelli e da diversi punti di vita. È come un passaggio ripreso attraverso molteplici vedute, le quali possono, di volta in volta, essere riportate in primo piano per comodità d’indagine, ma successivamente non contemporaneamente. Quando le diverse immagini si sovrappongono o lottano per un assurdo primato, per una reciproca esclusività, si ha non un progresso globale, ma una battuta d’arresto. È quello il disgraziato momento in cui le sterili polemiche si sostituiscono alla ricerca vera e originale sia nella scienza che nella filosofia. Il malumore presuntuoso. C’è nell’adolescente il malumore presuntuoso di chi si ritiene sprecato dovunque e per chiunque. Nell’adolescente si accompagna alla timidezza e all’inesperienza, ed è comprensibile. Poi no, è solo detestabile arroganza. (Levi Appulo)

LA BIBBIA SULLA CORRUZIONE. La Bibbia esprime un’implacabile condanna della corruzione, le cui pratiche distruggono il tessuto sociale rendendo strutturalmente impossibile l’attuazione della giustizia, il riconoscimento effettivo dei diritti dei cittadini e la loro uguaglianza dinanzi alla legge. L’imparzialità scompare quando ci si lascia comprare. Si capisce allora l’insistenza sul dovere di imparzialità dei giudici, dei testimoni, dei responsabili della cosa pubblica. «Non accettare regali, poiché il regalo acceca anche coloro che hanno la vista chiara e rovina le cause giuste». (Esodo 23, 8). Sullo stesso concetto torna, in stile lapidario, il Deuteronomio (16, 19): «Non pervertire il diritto, non guardare in faccia alle persone, non accettare donativi». In II Cronache 19, 7 si legge: «Il Signore Dio nostro non ammette frodi né privilegi né accettazione di donativi». La stima va non ai ladri e ai complici dei ladri, ma a «chi respinge un guadagno avuto con violenza» a «chi scuote la sua mano per non trattenere il dono mirante a corrompere» (Isaia 33, 13). «Vi conosco, estortori ed oppressori! Conosco bene i vostri numerosi delitti, i vostri grandi peccati. Voi siete i nemici della giustizia» grida uno dei cosiddetti profeti minori (Amos 3, 12) e le sue parole sono le stesse che noi rivolgiamo ai Signori delle Tangenti.

Quali le cause della corruzione? La Bibbia ne indica di continuo due: la brama di ricchezze e la sete di potere che vorrebbe imporre agli altri il proprio volere. Quando poi, come nel caso italiano, l’una e l’altra si intrecciano, allora alla disonestà si unisce qualcosa di volgare che la rende particolarmente ripugnante. Si ha, infatti, la cleptocrazia, ossia il dominio di coloro che più rubano e più comandano.

S’IO FOSSI AMATO. Forse perché non ho mai avuto, in nessuna forma, potere, non ho la minima idea di che cosa farei se l’avessi. Ho solo una pallida intuizione di quello che non dovrei fare: dovrei evitare ad ogni costo che le disposizioni e le interpretazioni e le reinterpretazioni delle disposizioni si succedessero a ritmo giornaliero, contraddicendosi di continuo a vicenda. Questo ritmo di progetti e controprogetti, di ordini e contrordini mi sembra che sia quanto di meglio si possa immaginare per distruggere qualunque eventuale superstite residuo di fiducia nelle istituzioni e nel ceto politico che la gestisce. Stiamo vivendo una crisi epocale, la fine di un ciclo. Non c’è, però, nessuna uscita da una situazione bloccata prima che ci si renda conto del suo limite, del suo errore, del suo inganno, della sua insostenibilità (Sergio Quinzio su L’Unità del 28 settembre 1992).

EPITAFFIO DI UN «ATEO». Io che qui giaccio ero l’ateo del villaggio, / loquace, litigioso, versato negli argomenti dei miscredenti. / Ma in una lunga malattia, mentre tossivo a morte, / lessi le Upanishad e il Vangelo di Gesù. / Ed essi accesero una fiaccola di speranza e d’intuizione, / una fiaccola di desiderio che l’Ombra / non poté estinguere. / Ascoltatemi voi che vivete nei sensi / e pensate solo attraverso i sensi: / l’immortalità non è un dono ma un compimento; / e solo coloro che si sforzano molto / potranno ottenerla (Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, pubblicata nel 1915).

29 ottobre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Il giudizio dell’ex sul sessantottismo. Gli elementi positivi di quel periodo sono il rifiuto dall’autoritarismo, alcune conquiste civili, il nuovo ruolo delle donne. Ma i limiti negativi sono tanti. Imperava l’intolleranza, gli studenti erano affascinati dal totalitarismo ed insieme dall’individualismo più intransigente. Si concepiva la vita come se fosse una maglia della Juventus, bianca e nera, senza sfumature (Cesare De Seta). Indicazione di metodo. Non c’è deformazione della verità senza un fondo di verità (Fedele D’Amico). Oggi che le illusioni sono tramontate. L’avvenimento storico, irriconoscibile nella notte, brilla nel rosa dell’indomani (Milan Kundera). Deve cercare la materia prima. A null’altro che ai ricordi involontari l’artista dovrebbe chiedere la materia prima della sua opera. Intanto proprio perché sono involontari e si formano da sé, sono i soli ad avere un segno di autenticità. Poi, perché ci riportano le cose in un esatto dosaggio di memoria e di oblìo. Infine, facendoci gustare una sensazione uguale in una circostanza del tutto diversa, la liberano da ogni contingenza, ce ne danno l’essenza extratemporale, quella verità generale e necessaria che solo la bellezza dello stile traduce. Lo stile, il piacere che ci dà un artista. Lo stile non è mai un abbellimento, come credono certe persone, non è neppure una questione tecnica. È come il colore per i pittori: una qualità della visione, la rivelazione dell’universo particolare che ognuno di noi vede, e che non vedono gli altri. Il piacere che ci dà un artista è di farci conoscere un universo in più. (Marcel Proust)

NON MORIRE DA INCOSCIENTI. L’umanitarismo oggi prevalente, di cui siamo un po’ tutti affetti, ci fa esibire di continuo una pietà morbosa, in nome della quale dobbiamo sentirci tutti de-responsabilizzati, in qualche modo alleggeriti del carico di decidere o di indurre altri a decidere secondo l’imperativo morale.

Facciamo così con i nostri stessi figli, verso i quali la responsabilità è primaria ed insurrogabile, e in cento altri ambiti in cui entra in gioco il nostro giudizio. Quando poi siamo costretti a rapportarci a persone care che siano gravemente ammalate, pare che il più importante dei nostri doveri sia quello di esonerarlo dal pensare alla propria morte. Devono morire, è inevitabile, ma senza saperlo. Da incoscienti e ingannati.

La morte è un ospite inquietante, lo sappiamo; e lo è in quanto ci obbliga a fare il bilancio della nostra esistenza. Bilancio di cui solo gli amorali e i farisei, i presuntuosi e i mentitori (alla propria coscienza prima che agli altri), possono menar vanto. Ma un uomo è pur sempre un uomo e nessuno deve autorizzare se stesso a praticargli una specie di anestesia totale della coscienza, di ciò che gli è più proprio. L’uomo muore, come ogni altro essere che viene al mondo, ma egli sa di morire. «Il sait qu’il meurt», dice Pascal, ed è questo che fa la sua grandezza, la sua dignità. Noi, invece, facciamo di tutto perché se ne dimentichi. L’ultima forma di alienazione, in ordine di tempo ma non di importanza, è dunque quella per cui una persona è espropriata della propria morte, del suo diritto-dovere di prepararsi al grande passo, di riconciliarsi con se stesso, con il prossimo, con Dio prima che la luce della coscienza si spenga. Il sentire autenticamente umano e la pietà vera esigono delicatezza, attenzione alle sfumature, gradualità, adeguazione ai bisogni e alle ansie dell’altro. Cose tutte che non permettono di tessere intorno a chi ci è affidato una rete di piccole e grandi menzogne. Una proposta. Perché non stringere un patto tra persone che siano realmente amiche, e che si amino, il patto di dirsi tutto, al momento giusto, per affrontare l’ultima prova nel modo degno?

VIDEOISTANTANEE. La prima. «È ora di finirla di distinguere tra chi ha rubato per il partito e chi ha rubato per se stesso. Per legge e per l’opinione pubblica chi è ladro è ladro e basta». La seconda. «Non credo che fare il vice-segretario del Partito socialista sia oggi, come dire, un onore» (Dichiarazioni di Gianni De Michelis, vicesegretario Psi, in diretta su Raitre, giovedì 15 ottobre, ore 23,11).

SCUOTICI, SIGNORE! Scuotici, Signore, / chiamaci, / infiammaci e trascinaci, / sii per noi fuoco e dolcezza. / Insegnaci a correre nell’amore. / Forse che molti non ritornano a te / da un abisso di cecità? / Fa’ che anche noi ci avviciniamo a te / e che siamo illuminati da quella luce / per la quale si riceve il potere / di diventare tuoi figli (Sant’Agostino, Confessioni VIII, 9).

5 novembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Il miglior rimedio. Per chi ha paura o si sente incompreso e infelice, il miglior rimedio è andare fuori all’aperto, in un luogo dove egli sia completamente solo, solo col cielo, la natura e Dio. Soltanto allora, infatti, soltanto allora si sente che tutto è come deve essere, e che Dio vuol vedere gli uomini felici nella semplice bellezza della natura. Presso una finestra aperta, al buio. Presso una finestra aperta e al buio ci si dicono più cose che in pieno sole. I propri sentimenti si confidano meglio mormorandoli che strombazzandoli. A noi giovani costa doppia fatica… A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio. Giovinezza e solitudine. La gioventù, in fondo, è più solitaria della vecchiaia. L’odiosa manìa. Certa gente sembra provare uno speciale piacere a educare non solo i propri figli, ma anche quelli degli altri. Di qui la solita tirata: – Se tu fossi mia figlia! – Ma per fortuna non lo sono. (Anna Frank)

I sentimenti dell’opinione pubblica oggi in Italia. Nel momento presente ci si attende, con una intensità quale raramente fu raggiunta in passato, una diagnosi più fondamentale; si è più particolarmente pronti a riceverla; e si è ansiosi di metterla in atto, se essa fosse appena plausibile (John Maynard Keynes).

I MOSTACCIOLI DI MADONNA JACOPA PER S. FRANCESCO. Francesco era molto malato e frate Elia, indovinandone il desiderio, lo riportò alla Porziuncola, ch’era il suo luogo prediletto. La tenerezza paterna di Francesco si affinava con l’avvicinarsi della morte. Egli volle pertanto benedire con intensità d’affetto e umiltà i discepoli e benefattori che gli erano d’attorno. Francesco, però, pensava anche agli assenti, ed in particolare a due donne: a Chiara, malata anche lei, ch’era nel convento di S. Damiano, in Assisi, e a Madonna Jacopa dei Settesoli. Costei era sposa e madre di famiglia, donna forte e delicata che viveva a Roma nel suo palazzo marmoreo dell’Esquilino, ma avendo nel cuore e attestando nelle opere di bene lo spirito del maestro.

Francesco disse, dunque, al segretario frate Leone: «Recami calamaio, fogli e penna e scrivi come dirò». Il segretario corse ad ubbidire e Francesco dettò:

«A Madonna Jacopa, serva di Dio, frate Francesco poverello di Cristo, augura salute nel Signore e unione con lo Spirito. Sappi, carissima, che Cristo benedetto per la sua grazia mi ha rivelato il fine della vita mia, il quale sarà in breve. Perciò se vuoi trovarmi vivo, veduta questa lettera muoviti e vieni a Santa Maria degli Angeli. Se arriverai più tardi di sabato non potrai trovarmi in vita, e porta con te panno di cilicio per avvolgervi il corpo, e ceri per la sepoltura. Ti prego che tu mi porti quelle cose da mangiare le quali mi solevi dare quando ero infermo a Roma».

A questo punto Francesco interruppe la dettatura, dicendo a frate Leone che conservasse la lettera senza spedirla, perché non occorreva più. Un frate entrò, infatti, e annunciò con gioia:: «Padre, è qui Madonna Jacopa con i suoi due figlioli». «La faremo entrare? La lasceremo venire nella cella, da te?» domanda un peritoso, perché secondo la regola, non entravano donne. Ma Francesco, che non si chiudeva mai nel formalismo, esclama: «Non c’è clausura per frate Jacopa».

Madonna Jacopa entra e se ne va diritta all’infermeria, felice di trovare ancor vivo il maestro. Ha con sé tutto: il panno color cenere per la sepoltura, una sindone, i cedri, e… i mostaccioli, i dolci che piacevano tanto a Francesco da desiderarli sul letto di morte.

VIDEOISTANTANEE. Prima. Dagli schermi di tutti i canali televisivi Craxi annuncia: «Io non esco di scena». E se per caso la sua permanenza alla segreteria del Psi spingesse gli elettori a far uscire di scena il suo partito?

Seconda. Dalle concordi testimonianze di quattro pentiti del massimo livello e da numerosi atti processuali riguardanti «Cosa Nostra» risulta ciò che già si sapeva: Salvo Lima – deputato democristiano alla Regine siciliana, in Parlamento a Strasburgo – era il referente politico della mafia, l’intermediario tra mafia e politica, l’agente che provvedeva ad assicurare in cambio di voti immunità. Ma, a partire dal 1964, chi è stato per ventotto anni il referente politico nazionale di Salvo Lima? I reati di corruzione fanno schifo, ma quelli di collusione fanno orrore.

Terza. A Mario Segni un giornalista televisivo chiede qual è il compito più urgente, quello autenticamente rivoluzionario, oggi in Italia. Il leader referendario risponde: «Occorre ristabilire lo Stato di diritto ovunque sia stato calpestato. Qui le vecchie etichette – conservatori e progressisti, sinistra destra e centro – finiscono solo con l’essere d’impaccio, offrendo un’ulteriore chance ai soliti gattopardi». Parole sacrosante.

19 novembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. A forza di non nominarla neppure… Nelle conversazioni quotidiane in casa, sul lavoro, tra amici, ma anche nella stampa, nella televisione, tendiamo sempre di più ad usare un linguaggio impoverito, che non riesce a descrivere le qualità spirituali e morali di una persona. E quando certe cose smettiamo di nominarle, smettiamo anche di vederle (Francesco Alberoni). Gli ultimi tre Papi. Se Giovanni XXIII, attento ai «segni dei tempi», è stato il Papa della riconciliazione della Chiesa con il mondo moderno e Paolo VI quello che ha raccolto, con sofferta consapevolezza, la sfida della modernità, Giovanni Paolo II è il Papa che più di tutti ha contribuito a umanizzare la figura del Pontefice romano (Francesco Margiotta Broglio). Non arrendersi al tentativo di rimuovere dalla coscienza il malaffare delle tangenti. L’era è partitocratica, ma il tempo è galantuomo (Federico Orlando). Non voglio cedere all’assuefazione; al contrario voglio levare, alta e forte la mia protesta. Sento il bisogno e il dovere di denunciare che io, come molti milioni di italiani, mi sento preso in giro (Franco Monaco). Non conobbe il totalitarismo, ma ne anticipò la logica illusoria. Sempre ha trasformato lo Stato in un inferno, / il fatto che l’uomo ne volesse fare il suo paradiso (Friedrich Hölderlin). Il luogo ermeneutico per eccellenza. La dignità dell’uomo e, per colui che patisce un’umiliazione immeritata, un postulato evidente. E pertanto egli non può non giudicare menzognera qualsiasi affermazione teorica che sconfessasse tale postulato (Robert Spaesemann).

SCUSI, LEI È MASSONE? Mi guardo bene dall’esprimere la mia opinione sulle inchieste giudiziarie rivolte in questi giorni contro alcune logge massoniche. Ma colgo lo spunto per dire con la massima chiarezza, senza reticenze, che cosa penso in generale, non da oggi, sulla Massoneria.

Credo di essere in buona compagnia, anche se molti che pensano come me non lo dicono, perché non scrivono sui giornali. In breve, condivido l’opinione di tutti coloro, e credo siano la stragrande maggioranza degli italiani, che non riescono a capire quale ragione abbia di sopravvivere un’associazione misteriosa, come la Massoneria, in uno Stato democratico, il cui principio ispiratore è la visibilità del potere, giacché, se il potere è invisibile è incontrollabile; e, se è incontrollabile, la democrazia non c’è più. Rispondo, e con me sarebbero disposti a rispondere in molti: non c’è ragione alcuna per cui la Massoneria debba sopravvivere come «associazione misteriosa», oggi. Mi accontenterei anche di un solo argomento. Dico «associazione misteriosa». Non dico «segreta», «occulta», «clandestina»», «coperta», perché so che susciterei le solite reazioni. Misteriosa, nel senso che si circonda di mistero. A cominciare dai suoi adepti. Prova ne sia che nella mia lunga vita non ho mai incontrato una persona (e sì che ne ho conosciute tante), che mi abbia dichiarato di essere massone. Ho incontrato comunisti e democristiani, socialisti e liberali, sindacalisti, membri delle più diverse associazioni culturali e sportive, religiose e laiche. Non ho mai avuto la fortuna di parlare con un massone e, se mai mi è accaduto, e certo chi sa quanti hanno attraversato la mia vita, è a mia insaputa (Norberto Bobbio, La Stampa, 8 novembre 1992).

IL TELEGRAMMA INVIATO. Destinatario: Giulio Andreotti. Indirizzo: Palazzo Madama, Roma. Testo: «Dopo i suoi precedenti best-seller attendo con ansia un libro su tutti i suoi grandi amici, dai Caltagirone agli Sbardella, ai Lima. La prego inoltre di dedicarlo a De Gasperi».

CARA POESIA. L’avido mio cuore. Apro ogni giorno, / Natura, il tuo forziere / ricolmo di bellezze e di tesori. / Attonito l’ammiro / e in esso affondo l’avido mio cuore». Tinti d’autunno. «Alberi e siepi / tinti d’autunno. / Campi vestiti / di terra arata. Principio di umanità. Dall’antro di pietra / uscì l’uomo con la clava. / Al bivacco vide / il firmamento / e fu vinto dalle stelle. Vuoto tendere. Non ha più tregua l’uomo, / né ha più traguardi. / Si perde / nella follia che l’opprime. Alla donna amata. Oggi ha un profumo / di giovinezza / la terra. / Anch’io sono felice oggi / d’esser caduto / nella rete dei tuoi occhi. Mio vecchio cuore. Mio cuore, / mio amato e vecchio cuore, / che vivi con me / le vicende della vita, / ti compiacciono / le ore quiete / di pace, / di silenzio, / le trasparenze / dell’anima. / Ti adombrano invece / il frastuono, / le intemperanze, / il malvagio gioco / del male, / l’inesorabile / passar degli anni. / Un giorno, / esausto, ti fermerai. / Ed io con te, / riposerò per sempre / sui cuscini dell’Eterno (Dalla raccolta antologica di poesie di Lieo Grassi, Nel guado del tempo, Fidenza 1992).

26 novembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Il regno e l’inferno. La frase di Gesù: Il regno è in mezzo a voi – sta a significare che anche l’inferno è in mezzo a noi. Spogliato delle sue inutili fantasie, l’inferno è semplicemente la condizione in cui abbiamo reso totalmente assente Dio. Ed è un’assenza terrificante. L’esplorazione dell’inferno in terra – magistralmente compiuta da Dostoevskij, Beaudelaire, Kafka, Thomas Mann – fa della letteratura moderna un luogo teologico (Levi Appulo). Consapevolezza del male e fedeltà attiva a Dio. Conserva il tuo spirito nell’inferno, ma non disperare… (parole che lo starec Silvano del Monte Athos attribuisce a Cristo). Amo enormemente il realismo. Amo enormemente il realismo… Ciò che la maggior parte delle persone definisce fantastico e singolare, esprime per me l’essenza della vita (Fedör Dostoevskij).

Il vecchio e il bambino. La gente come me può ancora ricordarsi di tempi in cui il mondo si apriva agli occhi dei bambini come una varietà e una meraviglia che non esistono più nella stessa misura. Questa varietà e meraviglia venivano in parte dai vecchi, esseri allora diversi da tutti gli altri, offerti all’infanzia come una favola. Tra il vecchio e il bambino vi era un’affinità, o meglio una specie di contrappunto; tanto che, in un mondo in cui scompaiono i veri vecchi, scompariranno anche i veri bambini (Guido Piovene).

L’ITALIA CHE FU. «Alla fine degli anni Quaranta, in Urss c’era Stalin; negli Usa c’era Truman; Giorgio VI era re d’Inghilterra; Mao-Tse-Tung comandava in Cina; era papa Pio XII…

La nostra classe politica attuale era già al potere.

Anni Cinquanta: muore Stalin, arriva Kruscev; lascia Truman e segue Eisenhauer; Elisabetta II prende il posto di re Giorgio; in Francia, con De Gaulle, nasce la Quinta Repubblica; muore Pio XII e diviene papa Giovanni XXIII…

La nostra classe politica è ancora lì.

Anni Sessanta: via Kruscev, viene Brezhnev; al posto di Eisenhouer prima c’è Kennedy, poi Johnson lo rimpiazza; a papa Roncalli succede Paolo VI; Liu Shao-Chi dà il cambio a Mao in Cina…

La nostra classe politica continua lì, sempre la stessa.

Vengono poi i rivolgimenti radicali e veloci degli ultimi vent’anni: passa il Concilio, è eletto Papa il primo non italiano, dopo cinque secoli; cambiano regimi, spariscono dittature, mutano equilibri interni e internazionali, crollano i Paesi del socialismo reale, si dissolve l’Unione Sovietica, tramontano le ideologie…

La nostra classe politica festeggia imperterrita i quarantacinque anni di permanenza ininterrotta al potere.

Anno 1990. Un conferenziere può tranquillamente affermare: “Dopo i cambiamenti drammatici del 1989, nel mondo rimangono soltanto due nazioni con al potere la medesima classe politica di cinquant’anni fa. Sono l’Albania e l’Italia”.

Lasciamo all’oratore la responsabilità dell’affermazione. Sarà proprio così?

Noi possiamo solo osservare che dal 1991 anche l’Albania ha cambiato classe dirigente».

Ho riportato le prime due paginette di un libro-intervista di Bartolomeo Sorge, L’Italia che verrà (Casale Monferrato 1992). Mi sia permessa un’aggiunta.

Anno 1992, novembre. Malgrado i suoi successi e a causa dei suoi errori, dopo dodici anni la leadership repubblicana esce di scena negli Stati Uniti d’America. La vittoria nella Guerra del Golfo e il prestigio conseguito in politica internazionale non sono bastati a Bush per rimanere in sella. Il desiderio del cambiamento negli elettori americani è stato così forte da indurli a licenziare Bush e a scegliere un’altra linea politica, benché il candidato democratico non avesse il carisma del grande leader.

TRA SATIRA E VERITÀ. Perché si arriva tardi. Sono contrario ai rapporti prima del matrimonio, perché si arriva tardi alla cerimonia (Antonio Ricci).

Il segreto. Il segreto di molti politici è di sembrare stupidi come quelli che li ascoltano, così che gli ascoltatori si sentano intelligenti come loro (Fred Barnes).

NEPPURE QUANDO NOI SIAMO LONTANI DA TE. Tu, Signore, sai porre una mano leggera sulle spine per smussarle. La tua onnipotenza non è lontana da noi neppure quando noi siamo lontani da te (Sant’Agostino, Confessioni, II, 2, 3).

Nel testo latino: Domine, potens imponere lenem manum ad temperamentum spinarum, non longe est a nobis omnipotentia tua, etiam cum longe sumus a te.

3 dicembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. L’obiezione insuperabile. Si può uccidere per dimostrare che non si deve uccidere? (slogan di Amnesty International contro la pena di morte). La Tv spazzatura. La volgarità dilagante toglie senso alla parola (Raf Vallone).

L’iniquità vuole il silenzio. L’iniquità vuole il segreto, per maturare a suo bell’agio i suoi disegni di insidie o di forza. Comanda la trasgressione e il silenzio: voi avete trasgredito e non parlavate (Alessandro Manzoni). Uno, dieci, cento Di Pietro per sperare. Spero negli uomini semplici e concreti alla Di Pietro. Quel magistrato mi fa venire in mente un antico rituale abruzzese che D’Annunzio amava ricordare: appena nati, i bambini venivano appoggiati a terra perché da quel contatto ricevessero il senso elementare e saldo della vita (Vincenzo Consolo). Il bene comune come regola. Tutte le volte che ti capita di esprimere un’opinione che non sia congiunta col bene comune, astieniti dal far questo (Vladimir Solov’ev).

GLI IRACHENI DEL «SABATO». Il Sabato del 12 novembre u.s. uscì con un invito molto suadente. «Leggete quant’è bello il nuovo Sabato». È cambiata effettivamente la veste tipografica, ma solo quella. Un piccolo esempio. L’esultanza per la sconfitta di Bush e Baker, che di per sé può essere più che legittima, per i redattori del settimanale diventa subito una loro vittoria e ciò li autorizza a parlarne con toni che sono perlomeno di cattivo gusto. Scrive testualmente Renato Farina: «Saddam festeggia sparando, titola La Stampa. A chi? Il testo spiega: “In aria”, caso mai passasse qualche missilone. Uh, come lo capiamo. Anche in Italia, noi iracheni abbiamo tirato fuori i nostri pistoloni della domenica. Quand’è caduto il capo della tribù dei bushimani, abbiamo lavorato di petardo».

Si sa, per un certo modo di fare politica due ingredienti sono sempre necessari: l’individuazione del nemico da odiare e, per conseguenza, l’individuazione dell’antagonista da trasformare in idolo. Ora che il nemico George Bush «il Nobel della guerra», secondo l’insultante definizione dell’ex-direttore Paolo Liguori, è nella polvere, è d’obbligo l’innalzamento agli onori degli altari di Clinton. Diamo ancora la parola a Farina: «Bushimani siete finiti, che si festeggi: viva Clinton, per la malora». E guai a quanti invitano a tenere basso «il nostro motore di clintoniani!» Per loro non c’è che un auspicio: «Dio li sprofondi».

Questa, dunque, è la parola d’ordine al momento. Implacabile e infallibile. Salvo a capovolgere, fors’anche tra pochi mesi, l’entusiasmo gongolante e l’inno di giubilo nei confronti del nuovo presidente degli Stati Uniti in disistima e dispregio. Altrettanto implacabili e infallibili. È già accaduto più volte negli ultimi anni. Ed è sorte toccata perfino alla vetera vulpes della Repubblica, al padrino politico per eccellenza del Movimento Popolare, a colui che Il Sabato per tanti anni ha designato con l’espressione: «Il divo Giulio». Cioè Giulio Andreotti.

DUEMILA ANNI FA MORIVA ORAZIO. Il poeta morì il 27 novembre dell’8 avanti Cristo, poche settimane dopo Mecenate, suo grande protettore. Si era così compiuto l’augurio di tanti anni addietro, di morire insieme all’amico: «Quel giorno che tu morrai segnerà per entrambi la fine. In qualunque modo tu mi precederai, andremo, sì andremo, pronti ad affrontare insieme l’ultimo viaggio».

Per temperamento Orazio inclinava alla irritabilità e alla nevrosi. Era un ciclotomico, come oggi si dice. Ma su quel temperamento seppe costruire un carattere saggio, un grande equilibrio interiore, una condotta di mitezza nei rapporti con gli altri: frutto certamente di uno studium vitae, che era esigenza di consapevolezza ed insieme atto di coraggio, scelta derivante da una raffinata visione del mondo.

In ciò Orazio fu sicuramente aiutato da una bene intesa «fedeltà alla terra», che insegna a privilegiare le cose semplici e concrete: innanzitutto la sincerità con se stessi e con gli altri, ma anche le piccole gioie, le chiacchiere con i contadini e con gli amici, il saper gustare cibi come le olive e le cicorie, o il vino locale. Quelle cose Orazio le privilegia perché avverte la loro superiorità rispetto a tutte le sciocche, pesanti e costose abitudini che complicano inutilmente l’esistenza e la falsificano. Tra le sue opere il lettore dia il primo posto alle Epistole. In esse l’umanità del poeta, mentre si esprime avvertendo fino in fondo la peculiarità della forma, ci sorride con ironia e ci parla con la raccolta mestizia di chi ha acuta coscienza dei limiti umani. Ed ha quel senso della morte che accompagna inseparabilmente una vita senza arroganza e senza illusioni.

10 dicembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Contro ogni parassitismo, quello dei fannulloni ricchi o poveri che siano. Vi ho dato questa regola: chi non vuol lavorare non deve neanche mangiare. Ecco perché sono un uomo libero. Io non sono rimasto in ozio e non mi sono fatto mantenere da nessuno, ma ho lavorato giorno e notte con grande fatica, perché non volevo essere un peso per nessuno. Certamente avevo qualche diritto; ma ho fatto così per darvi un esempio da seguire. (San Paolo)

Uomini liberi alzatevi in piedi. Ci sono momenti in cui gli uomini liberi di ogni credo politico devono alzarsi in piedi e contarsi. Stiamo vivendo uno di questi momenti. Improvvisamente l’odio violento verso gli stranieri, i rifugiati in cerca di asilo, gli ebrei è divenuto epidemico. Neppure le tombe sono al sicuro dagli attacchi. Questo significa che i valori fondamentali delle società libere sono in pericolo. E ciascuno di noi è tenuto a difenderli, a difenderli attivamente, se non vogliamo assistere ad una ripetizione degli Anni ‘20 e 30 (Ralf Dahrendorf).

QUANDO SI FA DEL TERZOMONDISMO SCRITERIATO. Ci sono in circolazione idee molto confuse quando si parla e si scrive di società multietnica e si dimentica che il problema numero uno con cui ci si deve confrontare è eminentemente di carattere culturale. I cosiddetti «buoni di cuore» se sono senza cervello servono solo ad imbrogliare maledettamente ogni questione, alimentando giudizi infondati e fuorvianti. Uno dei quali è proprio questo: prima dell’arrivo degli europei c’è il regno dell’innocenza, sì che la crudeltà delle popolazioni indigene non esistono, o sono comunque innocue, se non benefiche, appunto perché commesse da non-europei. Così, in odio alla «conquista spagnola», si giunge a non provare orrore neppure per le piramidi di teschi rituali del Messico azteco. E c’è pure chi non vede quanto sia folle e autodistruttivo proporsi come modello, in odio ad una rappresentazione unilaterale della «civiltà occidentale», l’integralismo religioso delle correnti estreme dell’Islam.

Per sbarazzare il terreno da facili polemiche, io mi limito a chiedere a quei signori qual è, ad esempio, in concreto il loro pensiero su di un orrore che si consuma anche nel nostro Paese, in cui donne africane in giovane età vengono sottoposte alla mutilazione dell’apparato genitale, o infibulazione. Nessuno nega che quell’usanza fa parte di ancestrali tradizioni di alcune tribù africane; ma come si fa a non vedere che non ogni eredità storica è buona e degna di essere tramandata? Ogni popolo, ogni civiltà ha qualcosa che deve rifiutare, se vuol progredire; e se questo è vero per noi italiani e per l’Europa, perché non dovrebbe valere anche per gli africani immigrati nel nostro continente? E allora lo si dica apertamente: la pratica dell’infibulazione è intrinsecamente crudele e barbarica e in Europa è vietata dalla legge perché impone atti lesivi dell’integrità fisica e psichica delle persone che ne sono vittime.

Temo assai fortemente che gli ideali scriteriati, peraltro sistematicamente ingiusti e ingenerosi verso quella civiltà da cui pure traggono la spinta a capire e ad accogliere gli altri, finiscano col produrre esiti diametralmente opposti alla loro intenzioni.

IL «CASO MANTOVA» E IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA. Quando l’Amministrazione Provinciale di Mantova è stata sciolta per l’impossibilità di formare una maggioranza che ne assumesse il governo, giornali e televisioni hanno fatto a gara a ripeterci il messaggio del regime partitocratico: «Bocciato Bossi», «Lega isolata», «L’inutile vittoria del Carroccio».

È vero. Con il 34% la Lega da sola può governare. Ma nessuno ha l’onestà di rovesciare il discorso: come mai non riesce a governare neppure il rimanente 66% delle forze politiche? Che la Lega non abbia trovato alleati, lo si sa; ma l’incapacità degli altri a formare un governo non è lì a provare la loro paurosa impotenza e il loro scollamento?

31 dicembre 1992.

 LINEA RECTA BREVISSIMA. Né a destra, né a sinistra, né al centro. Solo ciò che innalza / riesce a farsi valere (Volker Braun). Ciò che non sono e ciò che ho. Ciò che io non sono: / Non sono un numero. / Ciò che ho: / ho i miei problemi (Peter Handke). La dura battaglia di tutti i giorni. La guerra non viene più dichiarata / ma continuata. L’inaudito / accade ogni giorno… / L’uniforme di ogni giorno è la pazienza, / la decorazione la povera stella / della speranza nel cuore (Ingeborg Bachmann). Nello specchio. Nello specchio guardatevi, vigliacchi / che scansate la pena della verità  (Hans Magnus Enzensberger). La miglio epigrafe. Metti nella tomba al morto le parole / che egli disse per vivere (Paul Celan). Il motto che ognuno dovrebbe far suo nei confronti della propria parte. Parlino gli altri della loro vergogna, / io parlo della mia (Bertold Brecht). Economia evangelica. Per ogni piccola bontà / traboccano gli occhi di Dio, / e ogni piccolo atto d’amore / pervade tutto l’universo (Franz Werfel). La parola vana. Guai all’orribile bufera / della parola vana! (F. Werfel). Voglio parlare. Oggi voglio parlare, non più / scolaro timoroso d’un esame. / Io voglio dire: Cielo. Io voglio dire: Rabbia. / Lo spirito che coglie la mia voce / rechi in alto all’Eterno le parole. Avanti, con tutta l’anima. Via dal chiuso che offende e che trattiene. (Rainer Maria Rilke)

POLITICI AL PIÙ ALTO LIVELLO: L’IMPUNITÀ È DOVUTA? Dopo l’avviso di garanzia a Craxi le manovre dei massimi responsabili dei partiti che più hanno beneficiato del «sistema tangenti», denotano una non più celata angoscia e ancora la solita, insopportabile faccia di bronzo, l’astio, addirittura, verso chi li sollecita a prendere le decisioni necessarie a far tornare in Italia il grande assente, lo «Stato di diritto».

A sentir loro, i segretari nazionali di Dc e Psi mettevano scrupolosamente in atto il detto evangelico «non sappia la tua mano destra quel che fa la tua sinistra», a tal punto da ignorare per principio di dove venivano ai loro partiti non decine di milioni, ma decine e decine di miliardi che erano illeciti e sporchi perché richiesti e incassati in cambio di favori illeciti e sporchi o di comportamenti regolarmente e normalmente dovuti. Fa pena sentire da Forlani una dichiarazione del genere: «I giudici non sanno come funzionano i partiti». Forse non lo sapevano, ma oggi, almeno quelli di Milano, conoscono perfettamente e ci hanno fatto conoscere come funziona la regola di comportamento che ha avvilito la civiltà del nostro Paese, imponendo il pizzo su tutto – dalla costruzione della autostrade e delle metropolitane agli aiuti al Terzo mondo, dalle spese di cancelleria ai funerali dei vecchietti dell’ospizio – provvedendo alla spartizione sulla base di percentuali predeterminate.

Frasi come «nessuna Norimberga per i partiti», «i partiti non si processano», «non ci lasceremo processare in piazza» sono per un verso ovvie e per un altro verso sono irritanti e persino equivoche. In democrazia i soli giudizi che pesano, assai più dei clamori delle piazze e delle pur necessarie sentenze dei Tribunali, sono quelli che emergono sia dal dibattito pubblico, sia dal voto dei cittadini. Ma in aperto contrasto con l’orientamento espresso dalla stragrande maggioranza del Paese, la nostra «Repubblica dei partiti», mostra di voler una sola cosa, che la magistrature entri in letargo e che, in attesa di un’auto-assoluzione generalizzata, i segretari nazionali dei partiti continuino ad essere intoccabili, non sottoposti al diritto comune, al riparo da ogni possibile indagine giudiziaria. Se si pensa che questa mentalità è ancora oggi prevalente nella nomenclatura, e temo anche nel Parlamento, anche dopo i terremoti elettorali del 5 aprile e del 13 dicembre ‘92, allora il commento che viene subito in mente è:, «Quelli che Dio vuol mandare in rovina, li fa uscire di senno (Quos Deus perdere vult, dementat)», come dicevano i nostri padri.

DIRE E NEGARE DI AVER DETTO. Mal di Russia, Bari, 1965. «Su in alto, sulla cupola verde della Sverdlovskaia, sventola la bandiera rossa… Quella bandiera brilla dal Baltico al Pacifico, sta perfino sulla Luna… Piaccia o non piaccia, dalla fusione di ciò che è russo e di ciò che è sovietico è sorto un prototipo di società ideale… Tornando dall’America e guardando la bandiera rossa, t’accorgi che non l’altro, ma questo è davvero il nuovo mondo».

La Stampa, 6 giugno 1992. «Il lutto per il crollo di Berlino si addice a chi ha abbracciato il comunismo come un’utopia salvifica. Non a me.»

L’autore di entrambe le citazioni è Maurizio Ferrara.

ASCOLTA, ANIMA MIA… Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore nel tumulto delle tue vanità. Lo vedi, qui ogni cosa dilegua per far posto ad altre; il luogo della pace senza turbamento è invece dove l’Amore non conosce abbandoni. È nel Verbo divino. Fissa dunque in lui la tua dimora, affida a lui quanto ti viene da lui. Anima mia finalmente stanca di inganni, affida alla verità quanto ti viene dalla verità e nulla perderai (Sant’Agostino, Confessioni 4, 11, 16).

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.