Erasmo e Lutero

I
L’ERASMO CHE LUTERO AVREBBE POTUTO ESSERE

Erasmo pubblicò tante opere, ma del grande umanista spesso si dimentica che egli fu eminente biblista, autore di scritti spirituali, infaticabile editore della Patristica. Egli svolse un lavoro immenso nella esegesi del Nuovo Testamento e per la conoscenza dei classici del pensiero cristiano, e non certo in un’atmosfera di sereno raccoglimento; al contrario, imperversava la bufera ed egli vi si trovava in mezzo. Negli anni in cui esplode la protesta di Lutero e la divisione dei cristiani si va paurosamente approfondendo, Erasmo è, suo malgrado, sempre in una posizione difficile, che ognuna delle parti in conflitto quasi inevitabilmente fraintende e cerca di strumentalizzare prima, di combattere poi. Così, alla fine, il grande umanista è costretto a impegnarsi in prima persona nella controversia con i luterani e con gli integralisti cattolici. Quale fu l’atteggiamento di Erasmo di fronte a Lutero e di Lutero verso Erasmo? Grazie alla pubblicazione dell’epistolario erasmiano, disponiamo di documenti che gettano una luce non dubbia sull’evoluzione dei rapporti tra Erasmo e Lutero, sulle loro diverse personalità e sulle ragioni di fondo che avvicinano e separano, attraverso tappe successive, colui che era il più autorevole propugnatore della Riforma cattolica e l’indomabile iniziatore della Riforma protestante.
L’anno successivo alla pubblicazione erasmiana del Nuovo Testamento in greco e nella versione latina, nel 1517, Lutero affisse alla porta del castello di Wittemberg le 95 tesi. Erasmo ne inviò una copia all’amico Thomas More, aggiungendo che non vi trovava nulla di riprovevole a parte una certa asprezza di tono. Giudicava invece sciocca e del tutto inadeguata la confutazione delle Tesi compiuta dal domenicano Silvestro Prierias e ingiusto il violento attacco del teologo tedesco Johann Eck a Lutero, che fino a quel momento aveva parlato con moderazione del potere del pontefice. Le Tesi dicono cose approvabili da tutti, salvo alcuni punti relativi alla dottrina del purgatorio. “Io non condanno le indulgenze – precisa Erasmo – ma il loro sudicio traffico, destinato a riempire i forzieri, non a stimolare la pietà (Opus epistolarum Desiderii Erasmi Roterodami, ed. Percy Stafford Allen e altri, Oxford, 1906-1958; vol. V, 1299). Esistono dunque obiettivi comuni e comuni analogie tra alcuni punti del programma erasmiano di riforma morale e religiosa e certi aspetti della protesta di Lutero. Malgrado la tensione degli animi, pur mettendo in conto le strumentalizzazioni e i fraintendimenti a cui si esponeva, Erasmo lo riconosce con grande franchezza scrivendo a Filippo Melantone, il giovane grecista fattosi compagno di Lutero (op. cit. IV, 1113), e allo stesso Zwingli: “Mi pare di avere insegnato io stesso quello che insegna Lutero, ma senza paradossi ed enigmi” (op. cit. V, 1334). Ma, appunto, gli enigmi e i paradossi dottrinali a cui si intrecciava in Lutero l’esigenza riformatrice diventarono nel volgere di pochi anni troppi e non accettabili. L’umanista cristiano amava pensare a Lutero come al vigoroso campione che attacca con coraggio degenerazioni e abusi della cristianità e della prassi ecclesiastica, preoccupato solo di liberare la Chiesa dalle sue impurità; insomma, come è stato ben detto da Pierre Mesnard, “Erasmo amava in Lutero l’Erasmo che avrebbe potuto essere”.
Tra i due uomini che avrebbero rappresentato agli occhi dei posteri le due riforme, quella cattolica e quella protestante, ci fu anche uno scambio di lettere. Lutero scrive direttamente ad Erasmo la sua prima lettera il 18 marzo 1519 perché desidera ottenerne l’appoggio, ben conoscendo il credito immenso di cui l’umanista gode nel mondo intellettuale. In precedenza, Lutero aveva confidato a uno dei suoi partigiani le sue riserve su Erasmo in questi termini: “Sto leggendo il nostro Erasmo. Di giorno in giorno la simpatia per lui diminuisce. Temo che non faccia abbastanza conto del Cristo e della grazia di Dio… In Erasmo le cose umane prevalgono su quelle divine” (Martin Luthers Briefwechsel I, p.90, Weimar, 1930). Qui tuttavia fa ad Erasmo un sacco di complimenti. “Spesso converso con te, e tu con me, Erasmo, nostro decoro e nostra speranza, benché ancora non ci siamo incontrati. Non c’è in questo qualcosa di prodigioso? Non, non è un miracolo, è una cosa di tutti i giorni. E c’è qualcuno il cui santuario intimo non sia occupato da Erasmo, che non sia istruito da Erasmo, sul cui spirito Erasmo non regni? Mi rallegro di scoprire, tra gli altri doni del Cristo, l’avversione che tu ispiri a tanti…. Mi congratulo con te che piaci profondamente ai buoni e altrettanto dispiaci a coloro che vogliono tenere da soli i primi posti”.
Erasmo gli risponde il 30 maggio con una lettera cortese in cui si fanno tre importanti precisazioni. La prima è questa: “Fino ad ora non è stato possibile togliere di testa alla gente l’idea del tutto falsa che i tuoi scritti siano stati frutto di una specie di dettatura mia, e che io sia, come pretendono chiamarmi, il vessillifero del tuo partito”. La seconda è: “Per parte mia, finché potrò, resterò neutrale”. La terza esprime in modo delicato la sua preoccupazione più grande, quella di veder rovinato l’impegno per la riforma dall’abbandono dello spirito cristiano e dei mezzi che quello spirito comanda: “Bisogna badare che il nostro cuore non si corrompa per il risentimento, o per l’odio, o per la sete di gloria. Quest’ultima ci minaccia anche in mezzo al nostro zelo dettato da pietà”.
Quando si rivolge a corrispondenti cattolici a cui può confidarsi a cuore aperto, Erasmo insiste con forza sul dovere della Chiesa di Roma di individuare onestamente quei punti su cui Lutero ha ragione e di ricercare sul resto, prima che sia troppo tardi, una onorevole intesa per evitare sia lo scisma che l’esplosione della violenza. Al riformatore tedesco manca certamente la misura la misura nel linguaggio e talora anche nelle decisioni; ma non si può negare – scrive Erasmo a Willibald Pirckheimer – che “un simile ingegno sembrava dover essere un mezzo insigne per proclamare la verità del Vangelo” e che la sua opera rischiava di essere rovinata anche a causa della esasperazione prodotta in lui “dalle furibonde campagne di certuni”.
A Erasmo, agl’inizi della protesta di Lutero, preme molto far capire alla gerarchia cattolica e al potere politico che non si trattava di “una bega fra frati” e che il teologo di Wittenberg meritava la più attenta considerazione. Il 19 ottobre 1519 nella lettera inviata ad Alberto di Brandeburgo, arcivescovo di Magonza, Erasmo ricorda che è troppo facile emettere superbe condanne prima di aver esaminato con la serenità dovuta i problemi in discussione e la parte di verità contenuta nella protesta luterana. Erasmo si batté apertamente perché non si impiegassero contro Lutero i procedimenti inquisitoriali, giacché la cosiddetta “maniera forte” non può conseguire in religione che tristi risultati. “È cristiano, io credo, trattare Lutero in modo da impedire, se innocente, che fazioni disoneste lo annientino. Se è nell’errore, mi auguro il suo ravvedimento, non la sua dannazione” (op. cit. IV, 101).
Nell’estate del ’20, però, gli eventi cominciarono a precipitare. La bolla papale Exurge Domine del 15 giugno condannava ufficialmente 41 errori di Lutero. Quella bolla apparve ad Erasmo un errore, un diktat, un documento che “non si accordava affatto con lo spirito gentile di papa Leone” (op. cit. IV, 365) e che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per l’unità della Chiesa. In settembre Erasmo scrisse al Papa in persona ed ebbe il coraggio di esprimersi in termini che suonavano come riserva sulla bolla. Il tasto su cui batte Erasmo è: prima di condannare Lutero e di minacciargli la scomunica, occorre conoscere, comprendere le sue idee e, quando è il caso, confutarle. “Gli spiriti liberi e nobili si rallegrano di venire istruiti, ma non vogliono essere costretti”. Il grande umanista invita, insomma, a fare ogni sforzo per cercare un margine di discussione e tenere aperto un canale allo scopo di evitare la tragedia.
Di qui anche la sua proposta di istituire una corte arbitrale: esperti di alto prestigio nominati da Carlo V, Enrico VIII e Luigi d’Ungheria avrebbero sentito Lutero e poi avrebbero emesso un verdetto. Il progetto nasceva dalla paura del peggio e tendeva ad evitare esiziali irrigidimenti e condanne; ma non trovò accoglienza. Erasmo, d’altra parte, era persuaso, e forse non a torto, che fino a quel momento nessuna delle verità fondamentali della fede fosse stata negata da Lutero e che dunque, la riconciliazione fosse ancora possibile. La speranza di Erasmo ricevette la prima dolorosa smentita quando apparve, ancora nel ’20, La schiavitù babilonese, l’opera in cui Lutero sanciva sul piano dottrinale per la prima volta il suo distacco dalla Chiesa cattolica. Erasmo, però, non volle arrendersi e decise di proseguire nella sua azione che oserei chiamare “ecumenica ante litteram”.

II
NÉ COI GUELFI NÉ COI GHIBELLINI

In campo cattolico e in quello protestante la spinta all’oltranzismo intollerante diventa vittoriosa solo dopo la messa al bando di Lutero alla Dieta di Worms, nella primavera del ’21, durante il suo ritiro alla Wartburg, sotto la protezione di Federico il Saggio. Assente Lutero, le riforme a Wittemberg si fanno tumultuose e disordinate, oltrepassando le originarie intenzioni del riformatore. Lutero è sopravanzato da Andrea Carlostadio, uno demagogo iconoclasta, che imprime alla protesta luterana una svolta carica di doloroso conseguenze per il futuro della cristianità. I colpi di mano di Carlostadio danno vigore al partito degli intransigenti tra i protestanti e degli integralisti tra i cattolici.
Sul versante opposto, il leader degli integralisti cattolici era Girolamo Aleandro, grecista e amico di Erasmo ai tempi del suo soggiorno a Venezia. Erasmo diffida sempre più dell’amico di un tempo, a tal punto che, col passare degli anni, il nome stesso di Aleandro si trasformerà in una specie di incubo minaccioso. Purtroppo la società civile incoraggiò, e per la prima volta proprio nei Paesi Bassi, manifestazioni pubbliche di intolleranza. Si cominciò già nel ’20, col rogo dei libri di Lutero e ben presto neppure Erasmo fu risparmiato dall’accusa di eresia. Il rettore dell’università di Lovanio in persona, Nicolas Egmont, dal pulpito della chiesa di San Pietro denunciò Erasmo, il suo più illustre collega, come luterano. Erasmo partì allora per Basilea il 28 ottobre 1521, ponendo così fine ad una situazione insostenibile.
Il 14 settembre del ’22 Adriano di Utrecht è eletto papa. Adriano VI sarà l’ultimo papa non italiano fino all’ottobre del 1978, in cui divenne papa il polacco Karol Wojtyla. Quest’olandese educato alla scuola dei fratelli della vita comune è favorevole ad Erasmo e lo invita insistentemente a Roma. Erasmo risponde il 22 marzo 1523. A suo avviso, rimanendo a Basilea avrebbe potuto fungere meglio da intermediario. Erasmo scongiura il sommo pastore che gli chiedeva consiglio a curare l’insorgenza luterana con le riforme e non metodi repressivi. “La soppressione delle novità per via amministrativa non conduce ad un genuino spirito religioso – scrive lucidamente Erasmo – ma alla rivolta. Questa via non si accorda con la tua umana natura. In ogni caso farvi ricorso sarebbe assai imprudente e potrebbe portare a una paurosa carneficina. La malattia si è spinta troppo in là” (Opus epistolarum Desiderii Erasmi Roterodami, V, 260). E ancora: “La prima misura da adottare sarebbe di stabilire le parti da cui questo male tante volte è scaturito. Il rimedio va applicato prima di tutto a queste fonti… Si dia al mondo la speranza che certe situazioni saranno mutate, quelle situazioni da cui il mondo, non senza motivo, si lamenta di essere oppresso. Al dolce nome della libertà tutti riprenderanno fiato”.
L’animo di Erasmo si mostra in tutta la sua limpidezza nella lettera a Laurino Bruges. “Odio la discordia, non solo per gli insegnamenti di Cristo, ma anche per un certo oscuro impulso di natura (occulta quadam naturae vi). Non so se una delle due parti possa essere soppressa senza grave pericolo di generale disastro. Se potessi almeno nei vecchi anni godere il frutto delle mie fatiche! Ma ogni parte mi pungola e ogni parte mi rimprovera. Il mio silenzio nei riguardi di Lutero si interpreta come consenso, mentre i luterani mi accusano di aver disertato per viltà la causa del Vangelo. La violenza di Lutero può essere giustificata solo con la premessa che forse i nostri peccati richiedono di essere battuti a colpi di sferza”. E con accenti di toccante sincerità, Erasmo descrive il suo dramma interiore: “Io non posso essere diverso da quello che sono. Io non posso far altro che esecrare la discordia. Io non posso non amare la pace e la concordia. Io vedo quanto è più facile suscitare un tumulto che placarlo”.
Si dice che sia stata la lettura di questa missiva a spingere l’ultra-luterano Ulrich von Hutten – esasperato nazionalista e mangiapreti, amaro Don Chisciotte della classe in sfacelo a cui apparteneva, la cavalleria – ad attaccare con violenza Erasmo, una volta venerato maestro, che per lui aveva stilato uno dei più alti documenti di umanità, la celebre lettera-ritratto di Thomas More del 23 luglio 1519. L’Expostulatio cum Erasmo dello Hutten, apparsa all’inizio dell’estate del ’23 a Strasburgo lanciava contro Erasmo accuse pesanti che poi sarebbero state ripetute fino all’ossessione: “Un tempo eri al nostro fianco e adesso hai cambiato faccia”; “tu ti sei lasciato adescare dall’ingordigia e dagli emolumenti”; “tu ti allinei con i potenti”.
Erasmo replica subito, in settembre nella sua Spugna per cancellare gli schizzi di fango di Hutten. “Credo di dover ascoltare entrambe le parti con occhio aperto – scriveva Erasmo in questa specie di lettera testamento ai luterani – amo la libertà. Ho affermato che non si può sopprimere tutto l’insegnamento di Lutero senza sopprimere il Vangelo; ma perché ho appoggiato Lutero all’inizio non vedo perché si debba pretendere che io approvi tutto ciò che ha detto in seguito. Ho sempre deplorato la tirannia e il vizio in seno alla Chiesa; ma se bastano uomini malvagi a far sì che la Chiesa non sia più Chiesa, allora di fatto non abbiamo più Chiesa. Io sono d’accordo che in origine la Chiesa aveva alla sua testa Pietro e Paolo, ma quand’anche il potere papale non avesse avuto origine da Cristo, c’è sempre bisogno di un organismo sociale, di un capo. Certo, si deve essere pronti a morire per il Vangelo. Io non mi tirerei indietro se la situazione lo esigesse; ma di morire per i paradossi di Lutero non ho affatto intenzione. Non sono in questione articoli di fede, ma argomenti per una disputa scolastica: se il primato romano fu istituito da Cristo; se la confessione ebbe origine da Cristo; se una qualsiasi opera dell’uomo può essere definita buona; se la messa può essere detta sacrificio; se la sola fede apporta la salvezza, eccetera. Su questioni del genere io non toglierei mai la vita ad un uomo e non sono disposto a gettare la mia. Essere martire per Cristo, me lo auguro, se ne avrò la forza; ma martire per Lutero, no!”.
Questo chiarimento, pur essendo così deciso e lineare, alimentò nello stesso tempo le avversioni sia dei luterani che degli integralisti cattolici. Il destino di Erasmo sarà di trovarsi sempre drammaticamente inter sacrum et saxum, tra l’incudine e il martello. In precedenza, allo stesso Hutten, il 28 gennaio 1521 Erasmo aveva scritto, senza equivoci di sorta: “Mi unirei facilmente a Lutero, quando lo vedessi abbracciare il partito della Chiesa cattolica”. Più tardi, in una lettera indirizzata ad un amico inglese, l’umanista e diplomatico Richard Pace, Erasmo è ancora più esplicito: “Io non oso pronunciarmi sullo spirito che anima Lutero. Egli ha dato sotto molti aspetti una eccellente lezione. Se solo non avesse irrimediabilmente guastato il bene che c’è in lui con una insopportabile parte di male!” (op. cit. 1218). Insomma, il destino di Erasmo, in vita e anche nei cinque secoli che ci separano dalla sua morte, è stato quello così epigraficamente sintetizzato da questa sua frase: “Io sono un ghibellino per i guelfi e un guelfo per i ghibellini”.

III
DIFESA DELLA LIBERTÁ

Le lettere inviate da Melantone e dallo stesso Lutero a Erasmo attestano che nel confronto del grande umanista si era operato un duplice tentativo: in primo luogo si sollecitava e si dava per scontata, anche con modi adulatori, l’adesione di Erasmo alla causa protestante; in secondo luogo, constatato il cortese ma chiaro rifiuto di Erasmo ad essere considerato il portabandiera dei riformatori di Wittenberg (huius fractionis, ut vocant, vexillum esse), si teneva ad accreditare l’idea di un tacito accordo tra Basilea e Wittenberg, con un atteggiamento in verità più conforme alla propaganda di partito che alla discussione religiosa. In questa seconda fase si scongiurava il principe degli umanisti di tenersi in disparte, di non pronunciarsi. Ancora nell’aprile del 1524 Lutero in persona cerca di assicurarsi la neutralità di questo temibile avversario e domanda ad Erasmo, unendo sollecitazioni e minacce, di attenersi al ruolo di spettatore: “Frattanto ti domando se non puoi far altro, che tu sia soltanto spettatore della nostra tragedia” (interim a te peto ut, si aliud praestare non potes, spectator sis tantum tagediae nostrae, op. cit. V, 447, ep. 1443). Il commento più penetrante a questo passo della lettera di Lutero ce l’ha dato Lucien Febvre, scrivendo: “In verità tra tutti gli omaggi che il grande umanista ha ricevuto in vita, io non ne conosco uno più bello. Gli è reso da un avversario, forte del suo trionfo, e nondimeno tradisce qualcosa di più di un involontario rispetto” (Un destin, M. Luther, Paris, 1928: IV ed.1968, p. 172).
Le cose, però, erano andate troppo oltre, sia a causa dell’ampia pubblicità data nel mondo protestante alle calunnie di Hutten, sia per gli sviluppi del protestantesimo ben al di là delle intenzioni di Lutero: dappertutto trionfava l’iconoclastia più grossolana e divampa l’intolleranza soprattutto nelle zone dominate dai luterani. A tutto ciò si aggiunga la viva insistenza perché papa Adriano intervenisse direttamente nella disputa, con tutta la sua autorità, uscendo allo scoperto, per parlare ad un pubblico assai più vasto di quello raggiunto attraverso la corrispondenza.
Sta di fatto che nei primi giorni di settembre del ’24, apparve a Basilea il De libero arbitrio (Sul libero arbitrio). Lo scritto è presentato nella forma della diatriba, una composizione in cui le cose sono esposte brevemente, in un ordine vivo, senza articolazioni logiche troppo rigide o astratte. Nello stesso momento in cui lo pubblica, il 6 settembre, Erasmo scrive a Melantone, il luterano più colto e meglio disposto nei suoi confronti, per esporgli serenamente il disegno della sua opera e ribadirgli, malgrado l’affettuosa delicatezza dei loro rapporti personali, le ragioni del disaccordo di fondo. Della concezione luterana, benché presentata nel modo più accorto da Melantone, Erasmo dice: “Molti principi dichiaro francamente di respingere, altri di non capire, altri che la mia coscienza mi impedisce di professare, quand’anche lo potessi senza pericolo” (multa sunt quae non assequor, multa de quibus ambiguo, multa etiamsi tutum esset, non quaerem profiteri propter coscientiam, op. cit. V, ep. 1496, 545-546).
Il saggio De libero arbitrio esprime in uno stile volutamente non caustico (“sprovvisto di fiamma” dirà Lutero) un punto dottrinale fondamentale per la concezione cattolica del mondo e per i fautori dell’umanesimo cristiano. Le affermazioni di Lutero sull’argomento sono molto drastiche: per lui il libero arbitrio è un nome vano e Dio è autore in noi del bene e del male. Quest’ultima durissima omnium sententia, commenta Erasmo, autorizza a trarne conclusioni che logicamente negano la bontà di Dio e la dignità dell’uomo. Dire: “il libero arbitrio è una parola senza senso perché una necessità assoluta presiede a tutto”, oppure “la volontà libera viene dal diavolo e non serve che a peccare” significa attestarsi su una posizione che non è mai stata quella della tradizione cristiana. Il determinismo teologico di Lutero ha come logico suo precedente solo il fatalismo pagano e il manicheismo e l’uno e l’altro furono battuti in breccia proprio dal genio di Agostino, a cui pure Lutero, ex monaco agostiniano, pretende di ricollegarsi.
I più immediati e degni successori dell’età degli apostoli e dei martiri sono i Padri della Chiesa; ebbene il consensus dei Padri su questo tema è contro Lutero. Si dirà: anche i Padri non sono che uomini. Ma Lutero non è forse un uomo? “I concili possono sbagliare”, insinuano i protestanti. Erasmo replica: “forse che una conventicola è meno garantita dall’errore?”. Perché respingere con tanta leggerezza su una questione così importante l’interpretazione delle Sacre Scritture che per tredici secoli il genio cristiano, la coscienza religiosa dei credenti e il magistero hanno dato concordemente, per proporne una opposta, come se la tesi luterana fosse la sola autentica, “la verità fresca fresca calata dal cielo?”. E come credere che per tanti secoli la Chiesa e il popolo di Dio siano stati lasciati ininterrottamente in balia dell’errore prima di Lutero? E poiché la controversia ha per oggetto il senso della Scrittura, Erasmo sceglie e commenta dall’Antico e Nuovo Testamento alcuni dei molti passi che affermano la responsabilità dell’uomo dinanzi alla propria coscienza, a Dio e ai propri simili. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: “è come cercare acqua nel mare”.
Erasmo riassume il suo pensiero in alcune espressioni assai felici. “Sarebbe ridicolo dire a qualcuno : – Scegli! – se non gli fosse permesso di decidere in un modo o nell’altro”. “Tutti i magnifici precetti di Cristo forse che non perdono il loro significato se la volontà umana è annientata?”. “Due parole ricorrono spesso nei Vangeli, nelle espressioni del Signore: – Se vuoi (si vis)”. Ebbene, la parola “se”- incalza Erasmo – che senso mai può avere se non c’è che una bruta necessità?”. Lutero ha ripreso giustamente la critica di Agostino all’orgoglio pelagiano e alle pretese di autosufficienza dell’uomo cosiddetto “adulto”; ma, purtroppo, egli è caduto nella trappola del pessimismo manicheo. Il cristiano, invece, è chiamato a vincere congiuntamente orgoglio e disperazione (il motivo diventerà sinfonia nei Pensieri di Pascal), in virtù della sua unione a Cristo che libera e redime e della sua fedele, operosa imitazione di Cristo. Come si vede, il contrasto fra Erasmo e Lutero non può ridursi, come pure ha creduto di fare Jean Boisset, ancora nel 1972, nel saggio presentato ai Colloquia Erasmiana Turonensia, a “un semplice scontro di sensibilità”. Lutero crede che quanto è accordato all’uomo è sottratto a Dio. Erasmo, al contrario, ha avuto l’esatta intuizione che il cristianesimo non può essere fondato sulla rovina dell’uomo. Lutero leva alto il suo grido “Dio è Dio”. Erasmo gli replica: “Dio è amore”.

Giornale di Brescia, 25.9.1992, 27.9.1992, 29.9.1992.