Erasmo, il dramma dell’incomprensione

Lo scenario e i compiti di More e di Erasmo nel loro confronto con Lutero non sono gli stessi, senza essere per questo fra loro in conflitto. Ambedue avvertono con angoscia quanti e quali pericoli comporti la rottura dell’unità religiosa dell’Europa, causata a sua volta da una crisi di cui essi sono testimoni d’eccezione.
Si può anche dire che, con qualche sfumatura in più, le conclusioni a cui perviene More nei suoi scritti apologetici Erasmo avrebbe potuto sottoscriverle, se avesse potuto conoscerle; tuttavia il “problema Lutero” è vissuto da Erasmo come una tragedia che lo sconvolge nel profondo e che, riflettendosi nei rapporti con tutti gli altri, dal 1519 in poi diventa il motivo dominante della sua vastissima corrispondenza.
L’umanista riformatore vide subito le potenzialità positive che la protesta di Lutero avrebbe potuto avere per il rinnovamento religioso, se portata avanti con spirito cristiano e con i mezzi che quello spirito comanda.
Ogni volta che Erasmo pensa a Lutero o scrive di lui, abitano sin dall’inizio insieme nel suo animo la speranza più grande e la paura di vederla atrocemente vanificata. Erasmo giunge addirittura a scrivere al principe di Sassonia, Federico il Saggio, perché prenda Lutero sotto la sua protezione, temendo per la sua incolumità (Ep. 993); quando, però, Lutero di lì a poco chiede l’avallo erasmiano, il rifiuto è cortese ma inequivocabile (Ep. 980).
L’umanista cristiano, che si è battuto per la riforma della Chiesa almeno quindici anni prima di Lutero, non ci sta ad essere arruolato come portabandiera di un movimento che non è il suo e di cui nessuno può prevedere per quali vie si incamminerà. Lutero e i suoi passarono allora ad accreditare l’idea di un tacito accordo, tra i “due Ercoli della teologia”; l’astuta manovra trovò un’immediata eco tra i numerosi avversari di Erasmo in campo cattolico e suggerì anche ai posteri, purtroppo, un’immagine deformata del pensiero e del ruolo storico di Erasmo. In realtà il grande umanista non gioca affatto questa sorta di jeu des dupes: il suo scopo è prima di tutto ammonire Roma a prendere sul serio la protesta di Lutero e a non difendere ciò che invece doveva ripugnare a chiunque avesse a cuore la pietà autentica e la purezza del Vangelo.
Occorreva mettere subito fine, o almeno un freno, alla violenta, scriteriata campagna di diffamazione di monaci e teologi contro Lutero, per tenere aperta la porta del dialogo tra Roma e Wittenberg nella speranza di evitare la rottura. Erasmo non si stanca di raccomandare a Lutero- per lettera, o attraverso comuni amici- moderazione e purezza di cuore; al papa, però, chiede con insistenza di riconoscere onestamente, prima che sia troppo tardi, dove i dissidenti hanno ragione, cercando sul resto un’onorevole intesa. La mediazione tra Roma e Wittenberg era necessaria e va da sé che il più convinto assertore di essa fosse tenuto ad assumere, finché quella prospettiva rimaneva aperta, un atteggiamento neutrale tra le due parti. Erasmo aveva mille ragioni per temere quello che poi effettivamente accadde e fece di tutto perché la protesta non diventasse scisma. La sua lungimiranza, il suo anticonformismo sul problema Lutero fanno di lui il primo dei grandi spiriti ecumenici, ma allora non gli procurarono che accuse e incomprensioni, sospetti e amarezze da una parte e dall’altra.
Purtroppo l’obiettivo nobilmente perseguito da Erasmo fu mancato per la responsabilità congiunta di Roma e di Wittenberg: nel giugno del 1520 fu emessa la bolla Exurge Domine, con cui Leone X condannava Lutero pur senza nominarlo, e in ottobre Lutero rispose imprimendo una svolta violentemente anticattolica alla sua protesta, con lo scritto La schiavitù babilonica della Chiesa. Erasmo si lamentò apertamente con Leone X della bolla; la scomunica rendeva ancor più difficile i suoi sforzi perché non cessasse il dialogo tra le due parti (Ep. 1143). Ma anche su Lutero disse pubblicamente qual era il suo giudizio attraverso una lettera scritta per una nuova edizione dei Colloqui. Scrive Erasmo: “Nel bene prendo partito per lui, nel male no (…) Io non sono né il suo accusatore né il suo difensore, né tantomeno il suo giudice (…) E d’altra parte perché dovrebbe suscitare riprovazione il fatto che qualcuno, lasciando da parte le questioni controversie, dimostri simpatia per una persona che, prima di tutto, è un uomo probo, come riconoscono anche i suoi nemici?
Essendo a buon diritto amareggiato, egli ha parlato con più veemenza di quanto non fosse opportuno; tuttavia, non ha forse dimostrato, per altri versi, di poter essere un ottimo strumento nelle mani di Cristo?” (Ep. 1041).
La tempesta luterana ha fornito nuovi pretesti ai conservatori per portare l’attacco più duro ad Erasmo, il presunto “luterano mascherato”, nella sua stessa terra, all’università di Lovanio, costringendolo verso la fine del 1521 a trasferirsi a Basilea, la città in cui sorgeva l’officina di Froben, da cui usciranno le più belle edizioni dell’umanista. L’amarezza di Erasmo nasceva dal constatare la pervicace incomprensione di tutta la sua opera da parte di chi –teologi, università e ordini religiosi- avrebbe dovuto essere più preparato ad accoglierla; ma nasce anche e soprattutto dalla consapevolezza del danno incalcolabile che arrecava alla Chiesa cattolica la prevalenza dei conservatori in una delle ore più difficili e decisive per il futuro dell’intera cristianità. Erasmo, malgrado tutto, non rinuncia, però, a sperare e a lottare. Quando il 9 gennaio 1522 diventa papa col nome di Adriano VI un olandese non maldisposto nei suoi confronti, gli scrive per supplicarlo di prendere al più presto quei provvedimenti atti a suscitare fiducia nella Chiesa universale, riportando la pace e l’unità tra i cristiani. Le proposte preliminari presentate al papa erano esplicita e concrete: la rinuncia a usare mezzi repressivi verso i dissidenti, un’amnistia generale, serie riforme per cancellare soprusi di ogni genere (Ep. 1352).
Adriano VI morì nel settembre 1523 e pertanto non fu possibile accertare se e fino a qual punto i suoi progetti fossero in sintonia con quelli del suo conterraneo.

Giornale di Brescia, 11.8.1999.