Essere e dover essere in Petruzzellis

Nicola Petruzzellis (1910-1988) fu uno dei pochissimi della sua generazione ai quali toccò di saltare il passaggio obbligato dell’idealismo. Ancora negli anni degli studi universitari, egli, infatti, attraverso la ricostruzione della genesi storica di quell’indirizzo di pensiero, dalle origini romantiche all’attualismo gentiliano, ne denunciò le interne aporie e ne rilevò altresì le esigenze più vive da soddisfare per diversa via. La critica dell’idealismo lasciava aperti i problemi che un sistema immanentistico non può risolvere: il senso della storia annullato dallo storicismo livellatore e giustificazionista, il significato dell’arte non riducibile ad antitesi della religione e a fase transitoria del cammino dell’Idea, il rapporto tra le molteplici attività dello spirito e l’unità della persona. È una gloria di Benedetto Croce l’aver difeso il valore della distinzione; tuttavia anch’egli si mostra infedele a sè stesso, persino nella teoria dei distinti, per la vanificazione del bene morale, per le esclusioni procustee (scienza e religione) e per la dilatazione arbitraria della categoria dell’utile. La filosofia di Croce, non rinunciando al presupposto metafisico dell’immanenza in cui finito e infinito si annullano, scivola anch’essa nel pur deprecato miraggio di un’identità pseudomistica. “Bisognava ricominciare laddove Croce, malgrado la sua genialità, aveva fallito” – annoterà poi il Petruzzellis – e riportare la dialettica al compito rigoroso d’impostazione e soluzione del problema dell’unità della persona umana nella distinta molteplicità dei suoi atti e delle sue attività. In ognuna delle attività umane, al loro interno, agisce un’ispirazione comune, una “volontà volente”, per dirla con Blondel, che oltrepassa di continuo la “volontà voluta”. Il dover essere, il Sollen, non è una generica possibilità, ma un’esigenza razionale che nasce dalla considerazione intrinseca di ciò che l’uomo è, può e deve essere. Il Sollen è attestato sia dall’impossibilità di espungere dalla coscienza e dal discorso i giudizi di valore, sia dagli obiettivi dell’attività estetica, conoscitiva e pratica in cui l’umanità si manifesta per tale distinguendosi appunto da ogni altra specie animale. La tensione al dover essere è la molla costitutiva dello spirito umano, sì che l’attività umana non sorgerebbe e non si svolgerebbe senza di essa. Il Petruzzellis ha dato il nome di eticità a questa disposizione teleologica immanente a ogni forma dell’attività spirituale, contrapponendola nettamente all’eticità hegeliana, la quale comporta la negazione dialettica del male e la statualità dell’ethos. L’eticità è pertanto rivelativa dello statuto ontologico dello spirito umano, “vivente sintesi a priori ontologica di essere e dover essere”. Definizione questa che non va intesa in senso gnoseologico kantiano, ma nel senso che in ogni momento lo spirito umano è radicato nell’ essere, che struttura il soggetto pensante e l’oggetto del pensiero, e in ogni momento porta in sé l’esigenza di realizzare il suo dover essere, i valori che conferiscono con la loro attuazione pienezza ontologica e dignità morale alla persona.

Il dover essere è la legge o la linea strutturale dell’essere stesso. In ogni forma di attività l’eticità è l’energia propulsiva del suo svolgimento e assume peculiarissime caratteristiche che il Petruzzellis ha analizzato attraverso contributi specifici, in relazione a ognuna delle forme fondamentali dell’attività dello spirito umano. Ogni forma, d’altra parte, non è che un’attività particolare in cui si attua e si sviluppa “la sintesi a priori di essere e dover essere” che costituisce lo spirito umano. L’universale eticità, mentre idealmente unifica le distinte attività dello spirito, le lascia sussistere nella loro autonomia e insieme ne rileva l’effettiva circolarità psicologica. La circolarità è possibile sia perché i valori, a cui le attività dello spirito sono finalizzate, non sono momenti dialettici che si dissolvono l’uno nell’altro, sia perché le realizzazioni storiche dei valori non sono mai assolute e definitive, sì che anche mistici come Francesco d’Assisi e il Beato Angelico possono non disdegnare affatto l’incanto e la forza purificatrice dell’arte e poetare e dipingere essi stessi.

Il Petruzzellis, che aveva apprezzato lo sforzo dell’ultimo Croce di voler impiantare i valori nella storia, rileva insieme la nobiltà del programma e la sua radicale ineseguibilità persistendo il presupposto immanentistico del sistema, i cui esiti sono la risoluzione di tutte le categorie nell’unica suprema categoria della storia, il giustificazionismo storicistico, con tutte le conseguenze disumane e immorali che esso comporta, il mito di uno spirito che si realizza sempre positivamente e il formalismo dei valori, cioè la riduzione dei valori a categorie e forme vuote che si riempiono, non si sa come, a ogni momento di un contingente contenuto empirico, inspiegabilmente prodotto da esse. Né è possibile parlare di valori lasciando in piedi la pregiudiziale contro la possibilità stessa dei giudizi di valore e la loro contrazione nel cosiddetto giudizio storico. L’assiologia del Petruzzellis, al contrario, parte proprio dalla constatazione che il pensiero umano, dalle forme più modeste alle più alte e complesse, è contessuto di giudizi di valore. “Pensare è giudicare e giudicare è valutare, implicitamente o esplicitamente: ma valutare è possibile solo in funzione di categorie o norme, di concetti o criteri di valutazione che chiamiamo valori”. La struttura assiologica del pensiero umano e la funzionalità immanente dei valori ci obbligano a chiedere quale sia il rapporto tra essere e valore. È fonte di equivoci pensare il valore come un puro e semplice Sollen e staccare il valore dell’essere significa confonderlo con gli ideali romantici di anime belle, inette alla vita e alla comprensione della storia. Occorre, invece, distinguere “il dover essere dell’immaginazione”, giustamente criticato da Hegel e Croce, dal “dover essere della ragione”, che è legge e struttura dell’essere personale. Il dover essere è comunque tale rispetto a una determinata situazione, non già rispetto a tutta la sfera del reale. I valori, infatti, sviluppano un’efficacia condizionante rispetto alla vita e alla civiltà e si attuano pertanto nella storia. Più in generale: il giudizio di valore presuppone il giudizio di esistenza, perché ciò che non é non può essere oggetto di alcuna valutazione né gnoseologica, né estetica, né etica. I valori dunque sono in rapporto con l’essere, che è il presupposto di ciascuno di essi e di tutti insieme. L’essere è la comune radice di tutti i valori, i quali non sono altro che perfezioni dell’essere. Al manifestarsi e all’attuarsi di tali perfezioni dell’essere l’uomo è chiamato a collaborare attivamente. Nel mondo umano, che è un mondo storico, i valori sono sempre frutto di un atto di libertà.

Tutti i valori si attuano storicamente e, nello stesso tempo, il valore condiziona le sue realizzazioni storiche: senza il bello, nessuna opera è bella; senza il vero, nessuna ricerca del vero e dottrina è vera; senza il bene nessuna azione è morale. Ma ogni realizzazione storica non esaurisce l’intrinseca assolutezza e universalità del valore. I valori sono storicamente dati, ma attraverso e al di là delle loro realizzazioni storiche, nello spirito umano, consapevolmente o inconsapevolmente, è presente l’esigenza dell’infinità e assolutezza dei valori. Di qui il bisogno profondo nell’uomo di sempre nuove realizzazioni di valori, “il sentore di assolutezza” che si accompagna a ogni autentica esperienza dei valori. Il problema dei valori sbocca in quello teologico, quando si sia pervenuti alla consapevolezza critica dell’infinità dei valori e della loro inderivabilità dall’uomo, non prima. Una volta che i valori siano stati studiati nella loro distinzione, senza presupposti di alcun genere, quell’analisi conduce a considerare i valori stessi come linee convergenti nell’Assoluto. I valori assoluti sono l’espressione semantica dell’infinito nella coscienza umana, per la quale, a sua volta, l’assolutezza dei valori trova la sua radice, la sua giustificazione e la sua suprema sintesi personale in Dio. E così l’indagine sui valori attesta le linee di un nuovo itinerarium mentis in Deum, di una nuova via a Dio attraverso la vita dello spirito.

Giornale di Brescia, 5.5.1991.