Friedrich Schelling

«Il mondo esterno sta aperto dinanzi a noi, affinché noi troviamo in esso la storia del nostro spirito» (F. Schelling)

L’interprete del romanticismo

Friedrich Schelling nacque nel 1775 a Leonberg nel Wüttemberg. Di cinque anni più giovane di Hegel, che fu condirettore del Giornale critico della filosofia, a 23 fu coadiutore di Fichte, a 24 successore, a 25 autore del suo capolavoro Il sistema dell’idealismo trascendentale che lo consacrava caposcuola, successore di Fichte.

Schelling non è mai riuscito a dare rigorosa unità sistematica alle proprie idee. Le varie tappe della sua evoluzione si elevano a simboli di vere crisi storiche della coscienza romantica, a cui la sua genialità dà il suggello della forma più suggestiva. La difficoltà principale dell’interpretazione è data dalla sua continua mutevolezza, nella quale si possono distinguere quattro fasi della sua speculazione: gli scritti ficthiani (1794 – 1797); la filosofia della natura e l’idealismo trascendentale (1797 – 1803); la crisi religiosa e gli scritti polemici contro Fichte (1803 – 1809); la cosiddetta filosofia positiva (sono i resoconti dei corsi tenuti a Berlino dal 1841 al 1854, data della sua morte, pubblicati postumi e contro la sua volontà: Filosofia della religione e Filosofia della rivelazione).

Il sentimento romantico della natura più l’interesse per la scienza si fusero nella filosofia della natura di Schelling, che sviluppa in seno all’idealismo l’intuizione romantica della natura come unità organica, come incessante produttività (natura naturans) originaria. La sua è una filosofia imperniata su un’intuizione lirica della natura, sulla rappresentazione del mondo fisico come «visibilità dello spirito». In Schelling, come nei romantici, l’immanenza divina, la produttività e la libertà creatrice dello spirito sono rivelate solo dall’arte e dal genio artistico. Egli sente l’originalità e l’irriducibilità dell’oggetto individuale che si offre alla nostra intuizione e crea nello stesso tempo la formula universale in cui tutte le differenze siano assorbite.

Schelling ha in comune con Fichte l’affermazione idealistica che l’io è il principio della realtà e che la filosofia è storia dello spirito, ricostruzione della serie degli atti per cui lo spirito realizza se stesso. Altro punto in comune è la fede nell’identità originaria di oggetto e rappresentazione, come radice di ogni sapere, mentre l’opinione che la rappresentazione sia l’effetto in noi di una cosa fuori di noi è la radice del dogmatismo e dello scetticismo: «Il mondo esterno sta aperto dinanzi a noi, affinché noi troviamo in esso la storia del nostro spirito». Schelling accetta di Fichte il programma monistico e idealistico di cercare le radici della natura in quella medesima sorgente che genera pure il soggetto empirico. L’identità di natura, ontologica, tra soggetto e oggetto, è dovuta dalla loro identità intenzionale nell’atto conoscitivo, oltre che da un imperativo della ragione. D’accordo in ciò con Fichte, Schelling scrive che già l’antica definizione della verità, come coincidenza dell’oggetto e del conoscere, dovrebbe aver fatto capire da un pezzo che l’oggetto stesso non è altro che il nostro necessario conoscere.

La condizione essenziale della conoscibilità del reale è che il reale non sia un dato originario e indipendente dello spirito, bensì un prodotto dello spirito stesso, il risultato di una serie di azioni che lo spirito compie anteriormente al sorgere della coscienza, con lo scopo appunto che la coscienza possa sorgere. Questo risultato della produttività inconscia dello spirito è la natura. Schelling si distingue da Fichte nel dare una diversa risposta a due problemi: qual è il valore della natura? e quale è l’essenza di quel principio della cui produttività inconscia la natura è il risultato? In Schelling vi è uno spostamento del centro di interesse: non il tendere infinito dell’io come azione eroica stimolata senza posa e diretta dalla legge del dovere, ma quel momento dell’attività dell’io in cui l’io inconsapevolmente si obiettiva e diventa natura.

La filosofia della natura

Con l’opera Idee per una filosofia della natura, scritta da Schelling nel 1797, a 22 anni, il filosofo si pone il compito di muovere dalla vita inconscia e spiegare come essa giunge ad innalzarsi alla coscienza.

Per Fichte la natura nel processo dialettico rappresenta il momento dell’opposizione, della resistenza, della passività, ha un valore semplicemente fenomenico e segue le leggi che lo spirito le impone per trionfare e dominarla.

Per Schelling la concezione fichtiana della natura è propria della riflessione astratta che fissa e irrigidisce tutto ciò che ha movimento e vita; la natura parla un linguaggio intelligibile se ci facciamo tutt’uno con essa mediante l’intuizione che ci fa intendere che cos’è una natura vivente altrettanto bene che la nostra stessa vita.

L’esigenza che muove la riflessione di Schelling è tipicamente spinoziana, cioè spiegare la totalità dell’universo e non soltanto quella parte di esso che è la natura umana (come faceva Fichte). L’idealismo di Fichte faceva della realtà un «ordo et connexio idearum» dell’Io trascendentale. Ma Spinoza aveva posto un principio ben più completo: «ordo et connexio idearum idem est ordo et connexio rerum». Bisogna reinterpretare Spinoza alla luce delle prospettive dell’idealismo trascendentale di Fichte, superando il dommatismo di Spinoza, e facendo derivare la realtà dalle strutture universali anteriori all’opposizione soggetto – oggetto. Ma bisogna altresì reinterpretare Fichte alla luce di Spinoza e trasferire l’esigenza del principio di Spinoza dentro la filosofia fichtiana, per impedire che l’idealismo possa prestarsi ad essere interpretato (contro le intenzioni di Fichte) come soggettivismo.

Affinché l’idealismo sia veramente trascendentale e non soggettivo, non basta dimostrare che l’io è tutto, occorre dimostrare che tutto è io, onde la natura è l’odissea dello spirito, inconscia conversione di idee in corpi, preistoria e preludio necessario della coscienza.

La natura, al pari di noi, non riceve da altri la propria legge, ma è legislatrice autonoma. La natura non è morto meccanismo. Il meccanicismo non compendia l’essenza della natura. La natura non è termine negativo contrapposto all’attività positiva dello spirito, non è una rappresentazione soggettiva, non è estranea alla spiritualità che si rileva alla coscienza.

Se Kant aveva dimostrato come nell’organismo si dà un inconscio lavoro concettuale che lo assimila alla vita dello spirito (Kant nella terza Critica aveva studiato i giudizi teleologici, cercando appunto di spiegare come mai avvenga che la natura presenti un’organizzazione conforme a un’idea della ragione), Schelling, libero dalle restrizioni dell’agnosticismo kantiano, eleva questa veduta a principio fondamentale della filosofia della natura.

Ogni prodotto organico è insieme causa ed effetto di sé. Nessuna singola parte potrebbe sorgere se non nella totalità, e questa a sua volta consiste in un’azione reciproca delle parti. Dunque a fondamento di ogni organizzazione c’è un concetto, perché, dovunque v’è riferimento necessario delle parti al tutto e dal tutto alle parti, vi è attività concettuale. La vita della natura implica la presenza di un’idea direttrice. L’organizzazione non è un caso particolare in natura, come pretendeva Kant, essa è tutta la natura. Noi non dobbiamo immaginare che la natura sia divisa in strati, in ciascuno dei quali domina una legge indipendente, meccanica nel più basso, poi fisica, poi chimica e infine organica.

L’errore del meccanicismo è qui:

– mentre pare avochi a sé la sola zona della materia inerte, pretende poi di imporre la sua legge a tutto il corso della natura e non riesce così a spiegare il «di più» che nel chimismo c’è rispetto alla materia inerte, il «di più» che nella vita organica c’è rispetto al chimismo;

– pensa l’azione meccanica come un moto rettilineo, come una catena indefinita di cause ed effetti; ma questa catena, presa per sé, poggia sul vuoto; essa si sostiene solo se è concepita come elemento di una catena organica che si salda in un circolo vitale, in cui ogni membro è necessario al tutto.

Bisogna capovolgere il punto di vista meccanicistico e ricercare nella forme più alte le ragioni delle più basse. Il meccanismo non è qualcosa di per sé sussistente, ma limite e stimolo dell’attività produttiva dell’organismo, parte, momento, strumento di qualcosa che lo supera. L’opposizione organico – inorganico è invece rapporto dialettico di complementarietà. La vita è diffusa dappertutto, è come il comune respiro (Athem) dell’universo. Il mondo della natura culmina nel concetto di vita, come il mondo dello spirito nel concetto di autocoscienza.

La natura non è dunque puro oggetto, un semplice limite all’attività spirituale, ma ha una sua propria realtà. La realtà della natura è intelligibile in quanto in essa si agitano inconsce le stesse forze che operano nella coscienza. La natura è spirito visibile, non l’opposto dello spirito, ma lo stadio preparatorio di esso.

La priorità della natura rispetto alla coscienza è reale o ideale?

Se è reale, il costituirsi della natura precede effettivamente nel tempo il sorgere della coscienza empirica.

Se è ideale, vuol dire che la natura si costituisce correlativamente e contemporaneamente al sorgere della coscienza empirica, sebbene a questa appaia, illusoriamente, come un dato preesistente.

Per Fichte, la priorità della natura rispetto alle cose è meramente ideale o illusoria e il suo è pertanto un idealismo soggettivo. (Soggettivo non certo nel senso che la natura sia produzione del soggetto empirico, ma nel senso che lo Spirito Assoluto pone la natura contemporaneamente al sorgere del soggetto empirico, come ciò che appare alla coscienza, mera rappresentazione di essa).

Per evitare che l’idealismo trascendentale venga inteso in senso soggettivo, occorre riconoscere che la natura ha una realtà indipendente da quella della soggettività empirica, anzi è condizione, presupposto, preparazione della coscienza. Per cui la natura va concepita come coscienza depotenziata e la coscienza come la natura stessa che, attraverso la produttività inconscia, perviene al suo scopo, col sorgere della coscienza.

Schelling proietta nella natura l’opposizione dialettica tra una forza espansiva e una forza limitativa, opposizione che rende l’equilibrio cosmico sempre instabile e quindi capace di generare forme nuove.

Arresti momentanei di questo processo di sviluppo sono i tre gradi progressivi in cui si esplicano le potenze della natura: la prima è la forza di gravità; la seconda si manifesta nella luce, nell’elettricità, nel magnetismo, nei processi chimici; la terza si attua nella vita organica, che attraverso la sensibilità ci porta alle soglie della vita cosciente.

Le grandi frasi, come «la natura è lo spirito visibile e lo spirito è la natura invisibile» non precisano la posizione rispettiva dei due termini.

La natura è un arresto e una cristallizzazione della corrente spirituale, uno spirito irrigidito – e dunque una caduta dello spirito? La natura è un gradino inferiore dello spirito, per cui la realtà totale dev’essere come un processo evolutivo?

Il parallelismo spinozistico dei due termini suggestiona potentemente Schelling: ma se in Spinoza si spiega perché egli pone sullo stesso piano pensiero ed estensione, non si giustifica in Schelling che professa una visione idealistica e genetica in cui natura e spirito non possono essere il diritto e il rovescio d’una medaglia, due facce della stessa cosa ma solo due momenti della stessa realtà. Da questo punto di vista non aveva torto Fichte quando replicava all’ex discepolo che l’estensione schellinghiana dell’idealismo non era assimilabile allo spirito della nuova dialettica.

La filosofia dello spirito

Simmetrica e inversa rispetto alla filosofia della natura è la filosofia dello spirito o idealismo trascendentale. La filosofia della natura muove dall’oggettivo per derivarne il soggettivo; l’idealismo trascendentale segue il cammino opposto e mostra come l’idealità si realizza, cioè come le nostre rappresentazioni si fanno produttive di realtà. Parte dall’autocoscienza per giungere a spiegare come essa operi inconsciamente nel processo genetico autoformativo della natura.

Il principio primo del conoscere è l’autocoscienza. Ma come dall’atto istantaneo dell’autocoscienza si crea la vita spirituale?

Mediante il concorso di due attività opposte:

– un’attività reale, oggettiva, come infinito impulso ad un’incessante evoluzione;

– un’attività ideale, soggettiva, che tende ad assumere in sé e quindi a limitare quell’infinità.

Se io rifletto solo nell’attività reale sorge il realismo, l’affermazione che il limite è indipendente dall’io; se rifletto nell’attività ideale, sorge l’idealismo, o affermazione che il limite è posto solo dall’io; se rifletto su tutt’e due insieme sorge l’ideal-realismo o idealismo trascendentale.

La filosofia trascendentale, in quanto ragione teoretica, ha il compito di spiegare in qual modo l’apparente estraneità tra coscienza e natura, tra soggetto e oggetto si risolva e lo spirito riprenda possesso delle sue produzioni. La spiegazione è necessaria perché se è vero che tutte le rappresentazioni sono prodotte dall’io, non è però vero che questo abbia coscienza di esserne l’artefice: esse, invece, gli appaiono in alcune fasi del processo conoscitivo come date e imposte con una necessità propria.

Tre sono le tappe dell’autocoscienza, dello spirito che tende a ripercorrere alla luce della coscienza quel processo produttivo inconsapevole della natura da cui essa è emersa: la conoscenza, l’azione, l’intuizione estetica.

L’io teoretico tende ad adattare le nostre rappresentazioni al mondo oggettivo.

L’io pratico è un’attività produttiva della coscienza e tende a subordinare le inclinazioni naturali alla pura volontà morale.

La filosofia trascendentale attinge la sua compiutezza quando dimostra l’identità dell’attività inconscia che ha prodotto la natura con l’attività conscia che si manifesta nel volere. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale Schelling sviluppa la concezione secondo la quale l’adattarsi del mondo oggettivo alle nostre rappresentazioni e di queste al mondo oggettivo non è concepibile senza un’armonia prestabilita tra i due mondi. Ma l’armonia stessa non sarebbe concepibile se l’attività che produce il mondo oggettivo non fosse identica a quella che si manifesta nella coscienza pensante e nel volere.

Nella coscienza stessa si origina un’attività in cui conscio e inconscio si fondono: è l’attività estetica, organo universale della filosofia e via di rivelazione dell’Assoluto.

L’Assoluto, a cui ci conduce l’intuizione estetica, vorrebbe essere la sintesi e il superamento di Spinoza e Fichte: per Spinoza la sostanza è l’infinità oggettiva o natura; per Fichte l’Assoluto è infinito tendere; per Schelling l’Assoluto è natura e spirito, non io e io.

Nella natura predomina il polo oggettivo, nello spirito il polo soggettivo. La differenza quantitativa di oggettivo e soggettivo è il fondamento del finito, l’indifferenza, l’assoluta identità di entrambi è l’infinito. Se per il finito vale la formula A=B (disequazione tra natura e spirito), per l’infinito l’intima legge si esprime nella formula A=A, cioè unità originaria indifferenziata dei due termini.

Se il principio d’identità esige che l’Assoluto sia la sintesi del processo inconscio della natura e di quello consapevole dello spirito, l’attività umana più adatta a coglierlo non è quella del puro sentimento inconscio, né quella della pura razionalità, ma dev’essere un’attività che sintetizzi in sé la coscienza conscia e quella inconsapevole. L’arte è frutto dell’ispirazione emergente dall’inconscio (natura) e dalla consapevole attività dell’artista (libertà).

L’arte diviene, così, lo strumento per interpretare l’essenza del mondo. Essa, dice Schelling, «è l’unico vero ed eterno organo della filosofia e, nello stesso, tempo, la testimonianza vivente della sua verità, rappresentandoci in forme sempre nuove ciò di cui la filosofia non può darci una rappresentazione concreta: il processo inconscio della produzione e la sua originaria identità con le cose» (Sistema dell’idealismo trascendentale, Introduzione par. 3, e sez. VI par. 3).

Le considerazioni estetiche di Schelling sono sviluppate nella Filosofia dell’arte, scritta tra il 1802 e il 1803.

L’arte realizza l’unificazione del conscio e dell’inconscio dopo la loro separazione. Il prodotto organico presenta queste due forze ancora indivise, prima della separazione. Ma il prodotto della natura organica è bello solo accidentalmente, non necessariamente. Non è la natura bella che dà la regola all’arte, ma viceversa ciò che l’arte produce nella sua perfezione è principio e norma per la valutazione della bellezza naturale (capovolgimento del canone di imitazione della natura); il genio non imita, ma esprime l’essenziale, e con pochi tratti.

Per la prima volta nella storia del pensiero, Schelling afferma il primato assoluto dell’arte, che conduce l’uomo al punto più alto di vista del mondo, quello dell’Assoluto.

La vera arte non esprime le cose, non l’individuale in quanto tale, ma la viva «idea» di esso, le idee e le forme delle cose come immagini del divino colte non dall’intelletto, ma dalla fantasia. Dell’identità assoluta sono epifanie la natura (serie reale) e lo spirito (serie ideale). Quindi le arti si specializzano come aventi un indirizzo reale (arti figurative, pittura, scultura, architettura) e un indirizzo ideale (poesia, lirica, drammaturgia).

Tra bello (il finito conciliato con l’infinito) e il sublime (il finito che appare in rivolta con l’infinito, benché sia simbolo dell’infinito) non c’è differenza se non di grado.

Contro il sensualismo estetico e l’assorbimento pseudo-mistico nell’opera bella, Schelling osserva: «Per colui che non giunge alla libera contemplazione, che è insieme entusiasta e meditata, attiva e passiva, tutte le impressioni dell’arte sono semplici azioni della natura».

NOTA CONCLUSIVA: La raccolta di scritti di filosofia di Matteo Perrini nasce dall’esigenza di non disperdere il lavoro di una vita volto in primo luogo a chiarificare a se stesso le idee e le concezioni dei filosofi e, conseguentemente, a tradurle in un linguaggio accessibile ma rigoroso per i propri studenti. I materiali riportati nel volume provengono da diverse fonti, utilizzate per differenti finalità e scritte nell’arco di un cinquantennio, all’incirca tra il 1950 e il 2000. Si tratta di schede ad uso interno finalizzate alla sistematizzazione del pensiero di un autore, di appunti su quaderni per preparare lezioni scolastiche, di articoli pubblicati sul Giornale di Brescia o su riviste specializzate.