Ghibellino per i guelfi, guelfo per i ghibellini

In un capo cattolico e in quello protestante la spinta all’oltranzismo intollerante diventa vittoriosa solo dopo la messa al bando di Lutero alla Dieta di Worms, nella primavera del 1521, durante il suo ritiro alla Wartburg, sotto la protezione di Federico il Saggio. Assente Lutero, le riforme a Wittenberg si fanno tumultuose e disordinate, oltrepassando le originarie intenzioni del riformatore. Lutero è sopravanzato da Andrea Carlostadio, uno spretato demagogo e iconoclasta, che imprime una svolta carica di dolorose conseguenze per il futuro della cristianità. I colpi di mano di Carlostadio danno vigore al partito degli intransigenti tra i protestanti e degli integralisti tra i cattolici.
Sul versante opposto, il leader degli integralisti cattolici era Girolamo Aleandro, grecista e amico di Erasmo ai tempi del suo soggiorno a Venezia. Erasmo diffida sempre più dell’amico di un tempo, a tal punto che, col passare degli anni, il nome stesso di Aleandro si trasformerà in una specie di incubo minaccioso. Purtroppo l’autorità civile incoraggiò, e per la prima volta proprio nei paesi Bassi, manifestazioni pubbliche di intolleranza. Si cominciò, già nel 1520, col rogo dei libri di Lutero e ben presto neppure Erasmo fu risparmiato dall’accusa di eresia. Il rettore dell’università di Lovanio in persona, Nicolas Egmont, dal pulpito della chiesa di san Pietro denunciò Erasmo, il suo più illustre collega, come luterano. Erasmo si decise allora a lasciare Lovanio e a trasferirsi il 28 ottobre del ’21 a Basilea, ponendo così fine ad una situazione insostenibile.
Il 14 settembre del ’22 Adriano di Utrecht è eletto papa. Adriano VI sarà l’ultimo papa non italiano fino all’ottobre del 1978, in cui divenne papa il polacco Karol Woityla. Quest’olandese educato alla scuola dei Fratelli della vita comune ha stima di Erasmo e lo invita insistentemente a Roma. Erasmo gli risponde il 22 marzo del ’23. A suo avviso, rimanendo a Basilea, avrebbe potuto fungere meglio da intermediario. Erasmo scongiura il sommo pastore che gli chiedeva consiglio a curare l’insorgenza luterana con le riforme e non con metodi repressivi. «La soppressione delle novità per via amministrativa non conduce ad un genuino spirito religioso – scrive lucidamente Erasmo – ma alla rivolta. Questa via non si accorda con la tua umana natura. In ogni caso farvi ricorso sarebbe assai imprudente e potrebbe portare a una paurosa carneficina. La malattia si è spinta troppo in là». E ancora: «La prima misura da adottare sarebbe di stabilire le parti da cui questo male tante volte è scaturito. Il rimedio va applicato prima di tutto a queste fonti… Si dia al mondo la speranza che certe situazioni saranno mutate, quelle situazioni da cui il mondo, non senza motivo, si lamenta di essere oppresso. Al dolce nome della libertà tutti riprenderanno fiato».
L’animo di Erasmo si mostra in tutta la sua limpidezza nella lettera a Laurino di Bruges. «Odio la discordia, non solo per gli insegnamenti di Cristo, ma anche per un certo oscuro impulso di natura (occulta quadam naturae vi). Non so se una delle due parti possa essere soppressa senza grave pericolo di generale disastro. Se potessi almeno nei vecchi anni godere il frutto delle mie fatiche! Ma ogni parte mi pungola e ogni parte mi rimprovera. Il mio silenzio nei riguardi di Lutero si interpreta come consenso, mentre i luterani mi accusano di aver disertato per viltà la causa del Vangelo. La violenza di Lutero può essere giustificata solo con la premessa che forse i nostri peccati richiedono di essere battuti a colpi di sferza». E con accenti di toccante sincerità, Erasmo descrive il suo dramma interiore: «Io non posso essere diverso da quello che sono. Io non posso far altro che esecrare la discordia. Io non posso non amare la pace e la concordia».
Si dice che sia stata la lettura di questa missiva a spingere l’ultra-luterano Ulrich von Hutten – esasperato nazionalista e mangiapreti, amaro Don Chisciotte della classe in sfacelo a cui apparteneva, la cavalleria – ad attaccare con violenza Erasmo, una volta venerato maestro, che per lui aveva stilato uno dei più alti documenti di umanità, la celebre lettera-ritratto di Tommaso Moro del 23 luglio 1519. L’Expostulatio cum Erasmo dello Hutten, apparsa all’inizio dell’estate del ’23 a Strasburgo, lanciava contro Erasmo accuse pesanti che poi sarebbero state ripetute sino all’ossessione: «un tempo eri al nostro fianco e adesso hai cambiato faccia»; «tu ti sei lasciato adescare dall’ingordigia e dagli emolumenti».
Erasmo replica subito, in settembre, nella sua Spugna per cancellare gli schizzi di fango di Hutten. «Credo di dover ascoltare entrambe le parti con occhio aperto. Amo la libertà. Ho affermato che non si può sopprimere tutto l’insegnamento di Lutero senza sopprimere il Vangelo; ma perché ho appoggiato Lutero all’inizio non vedo perché si debba pretendere che io approvi tutto ciò che ha detti in seguito. Ho sempre deplorato la tirannia e il vizio in seno alla chiesa; ma se bastano uomini malvagi a far sì che la chiesa non sia più chiesa, allora di fatto non abbiamo più chiesa. Io sono d’accordo che in origine la chiesa aveva alla sua testa Pietro e Paolo, ma quand’anche il potere papale non avesse avuto origine da Cristo, c’è sempre bisogno in un organismo sociale di un capo. Certo, si deve essere pronti a morire per il Vangeli (…) ma di morire per i paradossi di Lutero non ho affatto intenzione. Non sono in questione articoli di fede, ma argomenti per una disputa scolastica: se il primato romano fu istituito da Cristo; se la confessione ebbe origine da Cristo; se una qualsiasi opera dell’uomo può essere definita buona; se la messa può essere detta sacrificio; se la sola fede apporta la salvezza, eccetera. Su questioni del genere io non toglierei mai la vita ad un uomo e non sono disposto a gettare la mia. Essere martire per Cristo – me lo auguro, se ne avrò la forza; ma martire per Lutero, no!».
Questo chiarimento, pur essendo così deciso e lineare, alimentò nello stesso tempo le avversioni sia dei luterani che degli integralisti cattolici. Il destino di Erasmo sarà di trovarsi sempre drammaticamente inter sacrum et saxum, tra l’incudine e il martello. In precedenza, allo stesso Hutten, il 28 gennaio del 1521, Erasmo aveva scritto, senza equivoci di sorta: «Mi unirei facilmente a Lutero, quando lo vedessi abbracciare il partito della chiesa cattolica». Più tardi, in una lettera indirizzata ad un amico inglese, l’umanista e diplomatico Richard Pace, Erasmo è ancora più esplicito: «Io non oso pronunciarmi sullo spirito che anima Lutero… Egli ha dato sotto molti aspetti un’eccellente lezione… Se solo non avesse irrimediabilmente guastato il bene che c’è in lui con una insopportabile parte di male!». Insomma il destino di Erasmo è stato quello così epigraficamente sintetizzato da questa sua frase: «Io sono un ghibellino per i guelfi e un guelfo per i ghibellini».

Giornale di Brescia. Non è stato possibile rintracciare la  data. Ai fini della pubblicazione sul sito è stata indicata la data del 30.04.2000.