Giovanni Modugno maestro di vita e di educazione cristiana

Giovanni Modugno è una delle figure più significative della pedagogia italiana della prima metà di questo secolo.
Non è facile, nell’incalzare di commossi ricordi, fare il bilancio della sua intensa giornata, chiederci quali e quanti insegnamenti discendono dall’alto esempio della sua vita intemerata e dalla sua opera di pedagogista cristiano del carattere e di pedagogista politico.
Nato in Puglia, a Bitonto, da famiglia contadina, amò sempre appassionatamente la sua gente, da cui non volle mai allontanarsi rinunciando ad ogni prospettiva che lo portasse lontano dalla sua terra. «Questo è il mio posto e qui debbo lottare e morire» – rispose più volte alle affettuose sollecitudini di chi si adoperava a rendergli meno duro ed ingrato il lavoro di persuasione evangelica, che andava, ogni giorno, con grave sacrificio, instancabilmente svolgendo tra maestri, professori, studenti, sacerdoti.
Manifestò sin da ragazzo il suo spirito di indipendenza, abbandonando la scuola media pubblica, per non subire la mortificante pedanteria di un «macinatore di gerundi» latini: fu dunque adolescente ribelle, ma ribelle per una già chiara coscienza della serietà della scuola e della forza liberatrice che dovrebbe essere essenziale ad ogni scuola degna di se stessa.
Avviato da un naturalista di valore agli studi di scienze naturali, si addottorò in quelle discipline a Napoli discutendo una tesi di grande interesse.
Non seguì la carriera universitaria che gli veniva additata e facilitata dai suoi maestri: egli sentiva di doversi prima di tutto impegnare a fondo nel cercare una risposta agli interrogativi ineludibili che si andava ponendo con sagace insistenza nell’intimo della sua coscienza.
Il Modugno non poté mai accettare il positivismo, allora dominante nella cultura italiana, perché avvertiva che quella concezione della vita, nella sua tronfia e disumanizzante astrattezza fa della scienza del fenomeno una inconfessata, rozza pseudometafisica, avvilendo una scienza in se stessa essenzialmente votata alla verità in un determinato settore, a «strumento di debilitazione dell’intelligenza riguardo alla verità di un altro ordine». Accolse la critica dell’idealismo italiano allo scientismo positivista, ma un’acuta coscienza dei concreti problemi morali, pedagogici e politici e delle loro più umane e perciò più esatte soluzioni lo rese sempre avvertito della erroneità delle posizioni fondamentali della filosofia di Croce e di Gentile che quei problemi non può risolvere in maniera degna dell’uomo. Modugno, nella sua maturità, lasciò pertanto lo studio e l’insegnamento delle scienze naturali per quello della filosofia e della pedagogia ed iniziò quel mirabile magistero che fece di lui un efficace educatore dei maestri italiani proprio in ciò che riguarda le supreme ragioni del vivere e dell’operare: l’animazione morale della professione di «educare».

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Chi ha avuto la gioia di partecipare alle sue lezioni può testimoniare che le sue erano sempre conversazioni di scienza ed arte della vita in cui la capacità di far cogliere l’essenziale di una dottrina e la ricerca del suo valore di verità erano mirabilmente stimolatrici, inducevano a pensare, ad amare la verità al di sopra di ogni altra cosa, con tutta l’anima: perché solo questo disinteressato amore, comunicato e suscitato in chi ci ascolta, può illuminare la vita e rinnovarla. La ricerca di un fondamento ultimo, di una motivazione profonda e completa di quella educazione morale e democratica che aveva ispirato nella sua giovinezza la coraggiosa azione sociale svolta tra i contadini pugliesi, accanto a Salvemini, poi la sua opera tra gli allievi maestri, doveva condurre il Modugno e la sua impareggiabile compagna di vita e di ricerca, la signora Maria Spinelli, vera «donna forte» nel senso biblico,a considerazioni nuove e inattese. La loro figliola, Pinuccia, divenuta adolescente, vuol conoscere il Vangelo e matura la sua adesione a quel Cristo, alla cui parola di vita l’avevano inconsapevolmente preparata i suoi onesti genitori… pensosi ora nel seguire la misteriosa, libera «svolta» spirituale della loro creatura. La figlia additava ai genitori il Dio vivente: fatto che prova mirabilmente come un’educazione naturale nel senso più alto è sempre un’educazione «naturaliter christiana» la quale esige Cristo a sua giustificazione e suo compimento.
La meditazione delle opere di alcuni grandi conoscitori dell’anima umana (di quei sommi, che ci rivelano un orientamento fondamentale della vita, cogliendo il valore non in una rete di rapporti astratti, ma in concreto, ovvero in una situazione la quale abbraccia tutta la costellazione delle possibilità positive e negative dell’essere stesso) fu decisiva per la «scelta» suprema, l’adesione al Dio di Gesù Cristo al quale si perviene per le vie del Vangelo. La sua problematica svolgeva temi e prospettava soluzioni analoghe a quelle che andava elaborando il Förster , l’anima gemella del Nostro. I due pedagogisti combattevano fianco a fianco la stessa buona battaglia ed è ancora da accertarsi e da scriversi la storia del reciproco arricchimento e scambio fra queste due grandi anime.
È evidente però che il Modugno, sin dalla prima opera che documentava il suo orientamento cristiano, nel suo Förster e la crisi dell’anima contemporanea (Laterza, Bari), se parte dal Foerster, non vi rimane, perché apporta alle conclusioni del grande pedagogista tedesco originalissime integrazioni e magnanime, efficaci correzioni.

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Modugno, ponendosi alla scuola di S. Francesco di Sales, di Don Bosco, di Rosmini e del Newmann, pervenne all’adesione integrale ed esplicita del Cattolicesimo.
In un’atmosfera di «gaudium de veritate», per la fede cristiana che illumina ora la sua esistenza e di serena accettazione della croce del sacrificio di Pinuccia – agnello propiziatorio per la conversione del babbo, (la figliuola proprio in quel tempo morì) – G. Modugno delineò quella moderna, vivida metodologia pedagogica dell’educazione religiosa che è costituita da Religione e vita, libro di feconda ispirazione e di grande saggezza cattolica che egli ha lasciato in dono agli educatori italiani.
G. Modugno, per la concreta esperienza sociale e politica vissuta, per la vigile indomita opposizione ad ogni tentazione e collusione totalitaria, era forse il più preparato e sensibile tra i pedagogisti italiani a dirci una parola decisiva nell’educazione politica e sociale della nuova generazione.
Contributi di prim’ordine egli ci dette senza dubbio in alcuni capitoli di Problemi della scuola italiana e, in termini di guida all’azione, in Azione e scienza della vita, ma noi sappiamo che stava ordinando da qualche anno un imponente materiale di riflessione e documentazione su La perversione totalitaria della scuola e sull’avvincente tema Cristianesimo e vita sociale esiste un carteggio col Salvemini, ancora inedito. Il suo realismo cristiano, pedagogico e sociale, è un messaggio non ancora degnamente conosciuto e approfondito e che deve ancora recare i frutti di cui è capace.
Sulla statura religiosa di questo educatore, grande per la purezza delle sue intenzioni (fu un «puro di spirito» nel senso preciso che Gesù conferisce a questa espressione), per il silenzio di cui seppe fasciare la sua instancabile opera, per la speranza cristiana, la sofferenza angosciata e l’affetto fraterno con cui guardò a coloro che fraintendono e combattono Cristo e la sua Chiesa, grande anche per l’evangelica semplicità con cui seppe dare anche ciò che era necessario a chiunque avesse bisogno di pane, di medicine, di vestiti, di libri, si possono recare innumerevoli testimonianze. Egli è passato tra noi bene operando, in uno stile inconfondibile in cui erano armonicamente fusi azione e preghiera, verità e carità, speranza e ardente impegno, signorile discrezione e cocente desiderio di bene, natura e grazia, ragione e fede, acuta coscienza storica ed appassionata nostalgia dell’Eterno.
La notte, in cui una dolorosa malattia avvolse la sua vita negli ultimi anni, era ogni tanto interrotta da luminosi sprazzi di luce. Nell’estate del 1956 mi recai a Bari col mio primogenito, per visitare il Maestro infermo. Il caro professore avvertì nel sorriso festoso e nella carezza del mio bambino un segno di particolare benevolenza di cui si rallegrò vivamente. I suoi occhi tornarono a risplendere, mi riconobbe e mi parlò con la voce e lo sguardo d’un tempo: «Custodisci questo dono di Dio. Ho sempre desiderato morire ospite in un nido d’infanzia».
Negli ultimi giorni egli ha ripetuto con ardente insistenza queste sole parole: «La scuola, la scuola, la scuola» e «Gesù Cristo, Signore Gesù, Gesù». Ridotto ad esprimere poche parole essenziali, Egli ha voluto ridirci proprio quelle che costituiscono la sintesi e il significato della sua esistenza cristiana, le parole più alte e più dense di valore per ogni maestro cristiano.

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Come ogni vero educatore, Giovanni Modugno lascia a noi un vivente messaggio: lo si è sentito nel commosso cordoglio, nel rimpianto vasto e profondo che la sua dipartita ha suscitato, nella testimonianza imponente, unanime, concorde, di riconoscenza e di affetto che gli hanno reso uomini di ogni ceto sociale e di opposte ideologie politiche. La chiarezza estrema e l’altezza cristiana delle sue convinzioni sinceramente professate con la vita stessa han fatto di lui, del suo esempio, una luce per il cammino di quanti lo conobbero: un monito tacitamente severo per gli amici e i discepoli di fede, un appello, un motivo di richiamo per i fratelli lontani. Fu detto giustamente che non vi è vera superiorità d’un uomo sopra gli altri uomini se non in loro servizio: Giovanni Modugno fu un uomo superiore perché fece del servire il prossimo (e nel suo «prossimo» le esigenze e i bisogni della scuola ebbero il primissimo posto) il programma della sua vita a cui tutto subordinare, a costo di qualsiasi rinuncia, la via per rendere testimonianza a Cristo tra gli uomini. Fu sempre, infatti, sua radicata certezza che il Cristianesimo non si può possedere che nello sforzo concreto della sua reale attuazione, né può essere comunicato che nell’edificazione e nel risveglio.

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«Scuola Italiana Moderna», 1 aprile 1957, pp. 8 – 9.