I diritti traditi tra Europa e Medio Oriente

Introduzione

Questo incontro è dedicato alla situazione dei diritti umani in Europa e in Medio Oriente. Mi permetterò tuttavia di allargare un po’ il discorso per provare a leggere la situazione globale attuale, sempre dal punto di vista dei diritti umani. È di poche settimane fa, del resto, la presentazione del Rapporto Annuale 2016-2017 di Amnesty, che dipinge un affresco (quest’anno a tinte particolarmente fosche) della situazione dei diritti umani nel mondo. Il Rapporto è un elemento che, in un certo senso, identifica Amnesty International, al punto che Wikipedia ci definisce “un’organizzazione che pubblica rapporti …”. Illustra i risultati della nostra ricerca: anzi, è una sorta di “distillato” dei numerosi documenti che pubblichiamo nel corso di un anno, che a loro volta “certificano” solo una piccola parte delle informazioni che ci giungono … soltanto quelle che abbiamo potuto sottoporre con successo a una rigorosa procedura di verifica. Ne va della nostra credibilità, che per noi è il bene più prezioso.

A partire dal nostro Rapporto Annuale, dunque, proverò a dire quali sono, secondo la nostra chiave di lettura, le principali tendenze generali in materia di diritti umani, facendo qualche esempio specifico (alcuni esempi … non posso fare tutto l’elenco dei paesi in cui sono violati i diritti umani, ma sono a disposizione per chiarimenti se ci sarà un po’ di discussione). Se c’è tempo, penso sia importante parlare – a proposito di Europa – anche di Italia (che non esente da problemi di diritti umani ai quali Amnesty International Italia dedica attenzione ed energie notevoli).

Le tendenze evidenziate nel Rapporto 2015-2016

Un tempo si diceva, presentando il Rapporto Annuale di Amnesty, che c’erano luci e ombre. Da un paio d’anni prevalgono le ombre. Il Rapporto annuale dello scorso anno (2015-2016), da cui è utile prendere le mosse perché contiene un’analisi che in buona parte è ancora valida, metteva in evidenza alcuni aspetti molto preoccupanti:

a) innanzitutto, la violazione sistematica del diritto internazionale umanitario nell’ambito di alcuni conflitti armati (tendenza che è purtroppo assolutamente attuale). Il riferimento è, ovviamente, alla Siria, in cui abbiamo continuato a denunciare bombardamenti di obiettivi civili e bombardamenti indiscriminati, ripetuti attacchi contro strutture sanitarie gestite spesso da organizzazioni umanitarie internazionali. Si aggiunga a ciò l’ampio uso di armi vietate dal diritto internazionale (come i c.d. barili bomba). A rendere ancora più tragica la situazione nell’ultimo biennio vi sono stati poi gli assedi di aree abitate da civili e il blocco dell’assistenza umanitaria alla popolazione affamata (affamare la popolazione civile è un metodo di guerra inaccettabile).

Anche in Yemen abbiamo registrato bombardamenti indiscriminati e di obiettivi civili e uso di armi vietate come le bombe a grappolo. Mi permetto di segnalare che l’Arabia Saudita, che guida la coalizione militare in Yemen, ha continuato a ricevere anche armi italiane – Amnesty International ha chiesto e continuerà a chiedere un’interruzione delle forniture di armi all’Arabia Saudita. A nostro modo di vedere è la stessa legge italiana che lo impone.

b) la seconda tendenza (questo fenomeno, in realtà, è in regressione ma solo in alcune aree) è costituita dal controllo di ampie porzioni di territorio in Africa e nel Medio Oriente da parte di gruppi armati come lo Stato Islamico o Boko Haram, che usano il terrore come mezzo di dominio e che, in nome di un’ideologia arcaica, commettono crimini orrendi. Se la loro ideologia è arcaica, peraltro, questi gruppi hanno la capacità di usare strumenti tecnologici avanzati.

c) una terza tendenza è costituita dalla crisi globale dei rifugiati. I paesi occidentali (e i paesi di destinazione in generale), posti di fronte a questa crisi, non hanno saputo garantire il rispetto del diritto internazionale, e hanno adottato (muovendosi insieme in ordine sparso) misure che hanno nei fatti portato alla morte di migliaia di persone sulle rotte migratorie, e applicato metodi che si sono tradotti nella violazione dei più elementari diritti di uomini, donne e bambini (il diritto di chiedere asilo e il diritto di non essere respinti in attesa che quella richiesta sia esaminata), costretti dalla violenza sia a lasciare il proprio paese che subire ogni tipo d’abuso durante la loro fuga.

d) infine, c’è il capitolo, anch’esso evidenziato attraverso il Rapporto Annuale dell’anno scorso ma anche da quello appena presentato, delle risposte sbagliate alla minaccia terroristica. Troppi governi, nel mondo, si sono affrettati a colpire nel mucchio, riducendo gli spazi di libertà, riducendo al silenzio la società civile, ripetendo in sostanza scelte discutibili ed errori già compiuti in passato, in particolare dopo l’11 settembre. In molti paesi, l’adozione di misure “anti-terrorismo” ha rappresentato l’occasione di imporre gravi restrizioni dei diritti individuali, sorveglianza di massa, attribuzione di poteri speciali alle forze di sicurezza e uso ingiustificato ed eccessivo della forza contro i cittadini, colpendo anche bersagli che nulla, ma proprio nulla avevano a che fare con il terrorismo.

C’è infine una quinta tendenza – già evidenziata l’anno scorso e destinata, purtroppo, a rimanere nel tempo – che ha l’effetto di rendere più complicato affrontare le altre quattro. Mi riferisco all’indebolimento complessivo del sistema intergovernativo di protezione dei diritti umani. Per quanto riguarda le Nazioni Unite, non ci sono soltanto le difficoltà del Consiglio di sicurezza, che ha affrontato la crisi siriana con gravissimo ritardo a causa dell’ostruzionismo della Russia, ma anche i due Alti Commissari, quello per i diritti umani e quello per i rifugiati, che sono poco sostenuti dai governi. La Corte penale internazionale, poi, è boicottata da alcuni stati africani e sostenuta molto più debolmente che in passato da quelli europei. È stato particolarmente doloroso vedere come in paesi come il Sudafrica, un tempo paladini della giustizia internazionale, personaggi incriminati dalla Corte penale internazionale siano stati trattati come dignitari, mentre i difensori dei diritti umani subiscono arresti illegali. E anche i sistemi regionali più antichi e consolidati sono sotto attacco, quello inter-americano in particolare dal Venezuela, quello europeo dal Regno Unito.

Rapporto 2016-2017

 “Noi contro loro”

Quest’anno abbiamo scelto di porre l’accento su un elemento ulteriore, che sta emergendo con forza negli ultimi mesi. Mi riferisco a una specie di parola d’ordine (o slogan, se preferite) che si diffonde un po’ in tutto il pianeta: “noi contro loro”. Sono solo parole, si potrebbe obiettare. Ma le parole spesso precedono e a volte preparano i fatti. Da un lato le promesse elettorali vengono mantenute – e in questo caso, aggiungo, non è un bene – le parole inaccettabili si trasformano in politiche e in leggi inaccettabili. Dall’altro, incendiare gli animi, indicare capri espiatori, porta inevitabilmente ad azioni violente di singoli o di gruppi. C’è una continuità tra parole e fatti, tra attacchi verbali contro certe categorie di persone e violazioni, anche gravissime, dei loro diritti.

Gli effetti concreti di questa retorica velenosa

Il Rapporto 2016-2017, che complessivamente si compone di 159 capitoli, mostra tra le altre cose quali siano gli effetti concreti di questa retorica politica velenosa, che sta dominando l’agenda in Europa, negli Usa e in altre parti del mondo. Mostra come leaders politici in molti paesi stiano rispondendo ai legittimi timori nel campo economico e della sicurezza con una manipolazione pericolosa delle politiche identitarie. Siamo in un mondo in cui la diseguaglianza, innanzitutto economica, viene sempre più spesso affiancata da una diseguaglianza dei diritti. I diritti vengono circoscritti ad un numero ristretto di persone. Vengono progressivamente cancellati i diritti delle minoranze, quelli delle persone LGBTI, quelli dei migranti e dei rifugiati, quelli dei Rom, quelli dei più poveri, quelli di chi la pensa diversamente, di chi pratica certe religioni.

Da Trump a Orbán, da Erdoğan a Duterte, sempre più politici che si definiscono anti-sistema stanno facendo ricorso a un linguaggio che indica come capri espiatori e disumanizza interi gruppi di persone, considerate meno umane di altre. Questo linguaggio strappa applausi, cattura consenso. Nell’Unione Europea, fin dal successo elettorale di Jean-Marie Le Pen nel 2002 e di Jörg Haider in Austria nel 2008, il problema della crescita dei movimenti xenofobi è sul tappeto, e la loro crescita incontrastata è esplosa negli ultimi anni, sulla scia della retorica anti-migratoria. Il governo ungherese di Viktor Orbán rappresenta il primo caso di ascesa al governo di questi movimenti politici, mentre una situazione simile si verifica in Polonia con il governo di Beata Szydło, e le prossime tornate elettorali minacciano di risultare in un’espansione di queste posizioni.

Rifugiati e migranti

Tra le vittime predestinate dell’attuale clima politico vi sono in primo luogo i migranti e i rifugiati. Nel 2016 36 paesi hanno violato il diritto internazionale rimandando illegalmente rifugiati in paesi dove i loro diritti umani erano in pericolo. Nel 2017 il presidente Trump ha tradotto in azione la sua campagna elettorale xenofoba firmando decreti per vietare l’ingresso nel paese a persone in fuga dalla persecuzione e dalla guerra. L’Australia ha inflitto sofferenze inaudite ai rifugiati intrappolati a Nauru e sull’isola di Manus. L’Unione europea ha firmato un accordo con la Turchia per rimandare indietro i rifugiati in un contesto insicuro. Gli accordi bilaterali e multilaterali sulla migrazione (come quelli dell’Italia con paesi come Libia e Sudan), con regimi illiberali in Africa e Asia, hanno tra l’altro rafforzato quelle dittature, premiando l’uso della violenza e la violazione dei diritti delle persone con vantaggi politici ed economici.

Esempi

L’attuale clima politico non peggiora solo la situazione dei rifugiati. I governi di molti paesi ne hanno approfittato per attuare una stretta repressiva che colpisce le libertà fondamentali dei loro cittadini. Faccio qualche esempio (ricordando che Amnesty non fa classifiche e neppure generalizzazioni … si tratta di situazioni anche molto diverse fra loro, ma che meritano tutte di essere rese note).

– l’Arabia Saudita, oltre che essersi macchiata di crimini di guerra in Yemen, si è caratterizzata per la repressione nei confronti dei difensori dei diritti umani, imprigionati e condannati per vaghe accuse come quella di “offesa alle istituzioni dello stato”

– l’Egitto è preso nella stretta del regime di Al Sisi, responsabile di sparizioni, torture, esecuzioni extragiudiziali (il caso di Giulio Regeni, in altre parole, non è un caso isolato);

– l’Etiopia usa le leggi anti-terrorismo e lo stato d’emergenza per reprimere il dissenso;

– in India le autorità hanno usato leggi repressive per limitare la libertà d’espressione e ridurre al silenzio le voci critiche, comprese quelle delle ONG;

– in Iran la repressione della libertà d’espressione, di associazione, di manifestazione pacifica e di fede religiosa è stata massiccia

– nel Regno Unito, è stata introdotta una legge sulla sorveglianza di massa senza precedenti;

– la Francia vive in uno stato di emergenza prolungato che attribuisce poteri estremamente ampi di perquisizione, arresto, divieto di viaggio;

– in Russia, il governo ha stretto la morsa intorno alle organizzazioni non governative, ricorrendo sempre di più alla propaganda dei “soggetti indesiderabili” e degli “agenti stranieri” (oltre a mostrare un completo disprezzo per il diritto internazionale umanitario in Siria);

– in Turchia, Erdogan sta consolidando un potere repressivo – dopo il fallito colpo di stato, decine di migliaia di persone sono state arrestate, centinaia di organizzazioni non governative sono state sospese, i mezzi d’informazione hanno subito un drastico giro di vite e sono proseguite operazioni militari, svolte con modalità inaccettabili, nelle aree curde del paese;

– infine, nelle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte ha scatenato una campagna di esecuzioni sommarie che ha fatto migliaia di vittime.

Ripeto: si tratta di situazioni molto diverse fra loro … ma nessuna particolarmente rassicurante.

Le “crisi” dei diritti umani

Aggiungo che anche le crisi più gravi dei diritti umani, quelle che si collocano nel contesto di conflitti armati o di crisi umanitarie, sono rimaste acute anche nel 2016 e nei primi mesi del 2017 –in Siria, in Yemen, in Libia, in Sud Sudan – si sono acuite, anche per la mancanza di volontà politica di affrontarle (il Consiglio di sicurezza rimane paralizzato dalle rivalità tra i suoi stati membri permanenti e appare sempre più un tavolo di spartizione delle zone d’influenza, com’era stato durante la Guerra fredda). Il Rapporto 2016-2017 di Amnesty International documenta crimini di guerra in 23 paesi (e non si tratta di una stima, per cui la cifra reale è probabilmente più alta).

 I difensori dei diritti umani – Mettersi di traverso

Concludo, dicendo che il Rapporto denuncia uccisioni di difensori dei diritti umani in 22 paesi: sono persone prese di mira per aver contrastato interessi economici, magari difeso l’ambiente, oppure minoranze e piccole comunità, per aver cercato di rimuovere gli ostacoli posti ai diritti delle donne e delle persone. Di fronte alle politiche inaccettabili o quantomeno discutibili dei governi, e alla debolezza (o completo fallimento) del sistema internazionale (intergovernativo) di protezione dei diritti umani, il ruolo di quella parte della società civile che ha la forza di “mettersi di traverso” è fondamentale. In alcuni casi è l’unica forma di resistenza alle violazioni dei diritti.

Sulle coste europee del Mediterraneo, sono spesso le persone comuni ad aver mostrato la compassione che manca ai loro leader. In tutta l’Africa, i movimenti popolari – anche in paese dove ciò sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa – che formulano richieste di diritti e di giustizia. Negli Usa, centinaia di migliaia di attivisti si sono messi di traverso per sfidare il bando di Donald Trump contro i rifugiati e i migranti.

Sta alla società civile il compito di difendere le libertà consolidate e i diritti umani di tutti. Sta alle organizzazioni, ai media, agli intellettuali, al sistema educativo, ai sindacati, alle persone di buona volontà di mobilitarsi, agire, mettere a frutto le loro risorse culturali, sociali, professionali, di solidarietà e di giustizia, per contrastare questa ondata di violenza politica e riaprire gli spazi di libertà nella nostra società e nel mondo. Per mettersi di traverso a questa marcia verso l’odio e l’intolleranza. È per questo che i difensori dei diritti umani sono spesso essi stessi vittime di repressione ed è per questo che è essenziale, direi strategico, difendere innanzitutto i difensori dei diritti umani.


NOTA. Testo della conferenza tenuta a Brescia il 13.3.2017 su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e della sezione bresciana di Amnesty International.