Il cristianesimo nel pensiero di Gramsci

Stando alla lettera, la posizione di Gramsci rispetto alla religione è più negativa di quella dello stesso Marx.

Gramsci infatti non avrebbe mai sottoscritto la frase di Marx secondo cui “la religione è un sospiro dell’anima in un mondo senz’anima”, affermazione con cui Marx sembra assegnare una positività alla religione nel mondo borghese; intanto aggiunge, però, che questo mondo deve necessariamente andare distrutto poiché egli pensa l’estinzione della religione come un risultato che seguirà gradualmente, conseguenza necessaria all’avvento della società senza classi.

Invece per Gramsci la scomparsa della religione trascendente si configura, alla maniera illuministica, come la condizione di una società unificata. In altri termini il comunismo è la condizione perché si attui in pieno quel programma di laicizzazione totale che era stato affermato dal radicalismo borghese.

Da questo dipende quel carattere pedagogico, formalmente democratico, che egli assegna alla rivoluzione nei Paesi occidentali.

Sapete certamente come il comunismo di Gramsci e di Togliatti voglia sostituire alla strategia della guerra di movimento quella della guerra di posizione; guerra di posizione resa necessaria dal fatto che il mondo borghese, in Italia ed in Occidente, è difeso da una robusta catena di fortezze e di “casermatte”, come dice Gramsci. Questa robusta catena sarebbe quello che egli chiama “la società civile”, cioè il mondo culturale ed il mondo ideologico.

Questo passaggio, questa sostituzione della guerra di posizione alla guerra di movimento, non è un suggerimento di natura militare, di natura strategica, ma consegue a questa diversa interpretazione della religione, consegue al primato che Gramsci dà alla conquista della società civile, e per società civile egli intende il luogo dove si elaborano le ideologie. In altre parole vuole dire questo: prima di tutto importa il controllo della cultura.

Quindi, se vogliamo ricostruire rapidamente la sua prospettiva generale, possiamo dire che all’opposizione tra capitalismo, borghesia e proletariato egli sostituisce, fondamentalmente, quella tra concezione trascendente della vita, rappresentata dalla Chiesa cattolica, e concezione immanentistica e moderna.

Il comunismo ha funzione mediatrice in questo passaggio ad una laicizzazione totale e radicale della vita. Questo risulta, per esempio, da uno dei testi fondamentali di Gramsci: “Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche, in generale, consiste nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l’alto, tra il semplice e l’intellettuale: nella storia della civiltà occidentale il fatto s’è verificato su scala europea col fallimento immediato del Rinascimento ed in parte anche della Riforma nei confronti della Chiesa romana; questa debolezza si manifesta nella questione scolastica, in quanto dalle filosofie immanentistiche non è stato neppure tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nella educazione infantile. Da qui il sofisma pseudostoricistico per cui pedagogisti areligiosi, aconfessionali ed atei concedono l’insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell’infanzia dell’umanità che si rinnova nell’infanzia non metaforica”.

Quindi il comunismo è “l’andare verso il popolo” della concezione secolaristica della vita; cioè, nel pensiero di Gramsci la separazione tra le classi segue al permanere entro la forma immanentistica di pensiero dell’idea della religione come filosofia per il popolo.

Tutta la sua critica alla filosofia di Benedetto Croce consiste in questo: Benedetto Croce, come Giovanni Gentile, voleva conservare in qualche maniera la religione cattolica, la religione tradizionale, come una specie di filosofia per il popolo. Pensavano, cioè, alla conservazione e al superamento della religione in una filosofia che esprimesse la stessa verità della religione, ma eliminando la forma mitica.

Quindi, dal punto di vista della lettera, dobbiamo dire che la posizione di Gramsci è estremamente avversa alla religione. A questo punto potrei citare un francese, il Portelli, il più gramsciano dei comunisti francesi, che, essendo in Francia, scrive con più libertà dei comunisti italiani (i comunisti italiani tentano sempre di non arrivare a posizioni estreme di rottura col cattolicesimo): “Così si devono respingere le interpretazioni di certi commentatori di Gramsci che vedono nei Quaderni dal carcere una sorte di Anticroce. Una lettura approfondita dai Quaderni dal carcere mostra infatti che la Chiesa vi appare come l’antagonista principale del partito rivoluzionario”. Sottolineiamo che questo è un interprete, ed un interprete autorizzato perché comunista, del pensiero gramsciano. Quindi dal punto di vista della lettera non è possibile alcun dubbio.

Però, come voi sapete, esistono dei cattolici cosiddetti “del dissenso”, e costoro ripetono che la polemica di Gramsci è soltanto diretta contro un cattolicesimo preconciliare, cioè contro un tipo storico di cattolicesimo. Il Vaticano Secondo avrebbe dimostrato come il cattolicesimo sappia rinnovarsi, ripudiando lo spirito reazionario, autoritario e repressivo, ripudiando irrigidimenti istituzionali e disciplinari e optando per il reciproco rispetto nella libertà e nell’amore. Per cui pensano che il comunista ed il cattolico possano fare un buon tratto di strada insieme, quel tratto che corrisponde, per dire le parole consuete, all’abolizione dello sfruttamento. Ed il cattolico chiederà soltanto al comunista una privatizzazione del suo ateismo: cioè, sia il cattolico che il comunista privatizzeranno le loro opinioni religiose, mentre potranno andare d’accordo sul piano politico e sociale.

Quando insomma il comunista si persuaderà che il cattolico non è più soltanto custode del passato e delle ingiustizie del passato sarà portato a rivedere le sue posizioni.

Ora dobbiamo considerare tutte queste posizioni con la massima oggettività razionale, senza lasciarci trasportare da preconcetti politici viziati.

Il problema si definisce dunque in questi termini: c’è o no questa possibilità di revisione? La mia risposta è negativa, ma naturalmente devo motivare perché lo sia.

La mia tesi complessiva si può enunciare così: la cultura gramsciana genera una forma mentale che inibisce la stessa possibilità che si proponga il problema religioso, impedisce che si ponga la domanda stessa rispetto alla realtà soprasensibile e genera questa forma mentale in ragione della sua stessa debolezza filosofica.

Per intendere questo punto converrà portare brevemente l’attenzione su quella che è la proposta filosofica di Granisci: egli intende ripercorrere a partire da Croce il processo di pensiero che porta da Hegel a Marx. In altre parole a partire dalla cultura hegeliana vuole ritrovare il marxismo autentico: ed il nuovo punto di partenza (da Croce) avrebbe permesso, secondo lui, di enucleare quel che c’è di più profondo nel pensiero di Marx, dissociando quegli elementi che avevano permesso le deviazioni naturalistiche e positivistiche di un certo marxismo.

Gramsci è un marxista, diciamo così, noti troppo fedele alla lettera. Nel suo passo fondamentale sull’ortodossia, definisce l’ortodossia come spirito di scissione radicale tra il vecchio e il nuovo mondo: essere marxisti ortodossi non vuol dire ripetere alla lettera Marx, ma vuol dire interpretarlo in questo senso di scissione radicale. Ora io ritengo che egli abbia abbandonato il crocianesimo senza giungere al marxismo. Pensa infatti che il pensiero crociano, se avesse obbedito rigorosamente alla sua logica, avrebbe dovuto concludere in uno storicismo rivoluzionario che coinciderebbe col migliore marxismo (storicismo, cioè la concezione per cui non esiste altra realtà se non la storia); ma questa logica sarebbe stata fermata in Croce dalle abitudini intellettuali e morali conservatrici, che lo avrebbero portato ad un compromesso con la religione tradizionale, da lui vista come la prefigurazione, in forma mitica adeguata alla mentalità popolare, della verità. Tutte le critiche di Gramsci al pensiero idealistico hegeliano, sia nella forma crociana, sia nella forma gentiliana, riguardano il rapporto tra religione e filosofia; quindi possiamo dire che il problema religioso è centrale nel pensiero di Gramsci.

Secondo lui, il rapporto di superamento-conservazione della religione nella filosofia dello storicismo di tipo idealistico crociano e gentiliano costituirebbe una incrinatura della coerenza logica, incrinatura che sarebbe conseguente a disposizioni psicologiche conservatrici così di Croce come di Gentile.

In realtà le cose stanno diversamente. Si può concedere che nello storicismo ci sia un nesso tra il conservatorismo e il compromesso ideale con la religione, però questo compromesso con la religione consegue nello storicismo crociano alla possibilità di essere pensato come verità. Infatti il criterio di verità per lo storicismo, o almeno per quello storicismo italiano con cui Granisci fa i conti, non può consistere in altro che nel mantenere in una forma più elevata (come i suoi assertori dicono: purificata dalla mitologia) la verità della tradizione. Perciò quando alla filosofia di Croce e di Gentile venga tolto il carattere, sia pure inadeguatamente, cristiano, viene tolto anche il carattere di filosofia. E’ quello che del resto Croce mostra di avere inteso assai bene nell’ultimo periodo del suo pensiero, che direi essere il periodo più antigramsciano, anche se egli non era a conoscenza dell’opera di Gramsci, un periodo in cui l’avversario era di nuovo il marxismo.

La posizione gramsciana è dunque una versione rivoluzionaria dello storicismo, a cui è tolta la possibilità di essere pensato come verità, così da essere ridotto ad ideologia.

Ma che cosa intendo con questi termini verità ed ideologia? Intendo questo: la filosofia è legata all’idea di verità, l’ideologia è legata all’idea di potere.

Quindi lo storicismo rivoluzionario di Gramsci non è soltanto una contraddizione in termini, come parecchi marxisti hanno già detto: la maggioranza dei marxisti stranieri ha considerato questa interpretazione storicistica fatta da Gramsci come una posizione eclettica, relativa alla cultura italiana, ma estranea al marxismo autentico; è la tesi di Althusser in Francia, riguardo alla negazione che il marxismo possa essere interpretato come storicismo; nei paesi oltrecortina, invece, Gramsci è stato esaltato come martire, ma non è stato considerato come un teorico valido del marxismo.

Questo storicismo rivoluzionario atrofizza la stessa domanda filosofica, per ciò che riduce le concezioni del mondo a tecniche di organizzazione del mondo sensibile o di mobilitazione dei consenso, cioè le filosofie non oltrepassano il mondo sensibile e si spiegano a partire dal mondo sensibile. Quindi l’idea di verità, in un certo senso, sparisce di fronte all’idea di efficienza.

Ora, la riduzione delle filosofie e delle religioni a ideologie risparmia un particolare dominio, quello della scienza, cioè il dominio di quello che è verificabile sensibilmente. Ma quando venga meno una filosofia che definisca i limiti della scienza, si passa alla più dogmatica e alla più irreligiosa delle forme di pensiero: allo scientismo.

Personalmente Gramsci è del tutto estraneo alla mentalità scientistica, tuttavia paradossalmente si può dire che contro le sue intenzioni, contro la sua mentalità, il gramscismo rappresenta storicamente la transizione dall’umanesimo allo scientismo, la transizione, in Italia, dalla cultura di tipo umanistico a quella di tipo scientistico. Questo sembra un paradosso, perché nessuno forse come Gramsci è stato tra i marxisti ferocemente avverso allo scientismo e al sociologismo. Tuttavia, come molto spesso accade nella storia della filosofia, si ha un rovesciamento delle intenzioni, si ha il fatto che gli esiti che una filosofia ha nella cultura contraddicono quelle che erano le intenzioni originarie dell’autore.

E infatti guardiamoci attorno, guardiamo la situazione della cultura italiana: è ormai un quarto di secolo che all’egemonia della cultura crociana si è sostituita l’egemonia della cultura gramsciana; è avvenuto che la mentalità predominante è diventata la mentalità scientista; il marxismo stesso, se guardiamo le tante pubblicazioni (non dico quelle ufficiali del partito, ma le tante pubblicazioni che escono dalle case editrici legate alla cultura marxista) ha preso una forma che Gramsci avrebbe aborrito: di marxfreudismo, combinazione tra il marxismo e la psicanalisi di sinistra, oppure commistione tra il marxismo ed un certo sociologismo.

Gramsci avrebbe visto in queste forme il riassorbimento del marxismo nella cultura borghese, come del resto dice in un rapido accenno scrivendo un giudizio su Freud, che ritengo fondamentalmente esatto, anche se egli non conosceva direttamente la sua opera: “si può affermare che Freud sia l’ultimo degli ideologi”.

Cioè Gramsci vuol contrapporsi al materialismo degli, ideologi: per materialismo degli ideologi intende il materialismo di quella corrente francese che va da Condorcet fino a Comte, e cioè la linea scientista propria del pensiero francese, che nei primi decenni aveva la sua roccaforte nell’Ècole Politecnique che rappresenta, secondo lui, il materialismo di tipo borghese rispetto al quale il marxismo deve prendere le distanze.

Questo passaggio allo scientismo verifica quello che prima ho detto: se le concezioni del mondo sono ideologie, vale a dire sono strumenti pratici di potere, saranno oggetto di una scienza, la sociologia appunto, che si sostituisce alla filosofia. Lo scientismo, poi, è un pericolo assai maggiore per la religione di quanto non lo sia lo spirito rivoluzionario.

Lo spirito rivoluzionario è infatti lo spirito religioso secolarizzato, così che il rivoluzionario, attraverso una critica rigorosa di sé, può ritrovare, com’è accaduto, la religione. Lo scientismo è invece il secolarismo allo stadio puro e lo scientismo inibisce la domanda metafisica Il suo principio è che oltre il mondo sensibile non c’è nulla e che la domanda stessa rispetto ad una realtà ulteriore è una domanda priva di senso.

Questa mentalità scientistica si è, in Italia e un po’ in tutto l’Occidente, estremamente diffusa: ad essa il gramscismo non può opporre nulla. Notiamo che la mentalità scientista di per sé è contraria sia allo spirito religioso, sia anche allo spirito rivoluzionario.

Arriverei perciò a dire che dalla sconfitta ideale di Gramsci o dal successo del partito che si è formato sulla sua filosofia deriva il pericolo maggiore per la coscienza religiosa.

Ed è questo che mi divide da quei cattolici del dissenso cui ho prima accennato: essi hanno una percezione giusta dell’instabilità del gramscismo, ma pensano che in ragione di questa instabilità teoretica esso debba aprirsi alla religione, sia pure nel senso dei passaggio da una posizione di lotta ad una posizione di neutralità.

Io, invece, mentre sottoscrivo l’idea che la posizione di Gramsci sia intenibile, penso però che essa sia necessariamente orientata verso un processo di cedimento rispetto allo scientismo, cioè rispetto a quello che rappresenta, come abbiamo detto, per la coscienza religiosa un pericolo maggiore dello spirito rivoluzionario.

Si può osservare che la sconfitta di Gramsci nei riguardi dello scientismo sul piano filosofico ha un suo riscontro esatto sul piano pedagogico. A questo proposito bisogna dire che l’intransigenza di Gramsci sul bando dell’insegnamento religioso è assoluta. La sua polemica, per esempio, con Gentile è estremamente violenta, ma non tanto per l’adesione del Gentile al fascismo, quanto perché Gentile aveva introdotto l’insegnamento religioso nella scuola elementare.

Introdurre nella scuola primaria l’insegnamento religioso vuoi dire per Gramsci consegnare il popolo a quella fase arretrata della storia a cui corrispondono le religioni, significa rifiutare di educarlo, volerlo mantenere nella concezione magica del mondo e della natura.

Ma cosa ne viene? Espellere l’insegnamento religioso vuoi dire mettere il fulcro della scuola primaria nelle nozioni scientifiche. Per estraneo che sia lo scientismo alla sua mentalità, Gramsci accetta dichiaratamente questa conseguenza: “l’insegnamento scientifico può guarire il bambino dalle concezioni magiche che assume dall’ambiente ancora impregnato del folclore”.

A questo punto vediamo riprodursi le contraddizioni dei gramscismo.

Servirsi infatti della scienza in funzione antireligiosa, come propedeutica dello storicismo, senza cadere nello scientismo è, in realtà, impossibile. Gramsci pensa che l’insegnamento scientifico sia propedeutico al passaggio alla coscienza rivoluzionaria, ma, in realtà, se guardiamo bene, questo passaggio è improponibile: il soggetto di questo tipo di educazione si fermerà alla mentalità scientista senza passare alla mentalità rivoluzionaria.

Oggi Gramsci ha trovato degli alleati che non si aspettava: i liberatori da tutti i tabù e da tutte le concezioni tradizionali; così che diversi elementi si sono composti in una pessima lega, atta ad annullare nelle coscienze il ricordo indelebile dell’atto religioso, presupponendo nel fanciullo la piena responsabilità per la scelta di una ideologia che dovrebbe imprimere un ricordo indelebile per tutta la vita.

Ma il punto essenziale è che è proprio la disfatta dei gramscismo il pericolo che grava sulla coscienza religiosa. Cioè non bisogna credere che il gramscismo sia una forma di marxismo, di comunismo moderato e che quindi possa aprirsi alla religione. In realtà il gramscismo non ha la sua continuità in una apertura alla religione, ma, semmai, nello scientismo.

Il gramscismo è una posizione in cui il marxismo cede a quella mentalità radicale, che, oggi, è la mentalità prevalente nella società italiana.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 9.12.1977 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.