Il messaggio di Seneca

Vorremmo mettere il messaggio di Seneca nel vivo di un discorso che riguarda politica e diritto per umanizzarli. Questo libro di Matteo Perrini “Seneca. L’immagine della vita” ci provoca sia come occasione, sia come sostanza. La linea di illuminare il messaggio di Seneca cercando di guardarlo sotto un interresse attivo e finalizzato al recupero è sempre presente in questo libro. Perrini, oltre ad aver fatto di Seneca l’amore di una vita, è studioso avveduto che sa tenersi lontano da quelle attualizazzioni selvagge che vorrebbero trovare nel presente analogie col passato. Proiettando i problemi attuali sul passato si finisce per alterarne la retta comprensione. Operazioni in questo senso sono poco paganti anche nell’altra direzione. Invocare oggi gli auctores, finisce per infastidire. Noi non dobbiamo attenderci dagli antichi delle risposte eternamente valide. Piuttosto dobbiamo osservare come essi si ponevano di fronte ai problemi, problemi che anche oggi tentiamo di risolvere. Sarà utile non fare nostre le loro risposte, ma prendere atto della problematizazzione che essi offrono di alcuni aspetti della realtà.
Così Seneca stesso con una fede assoluta nello stoicismo, al momento di saggiarne l’applicazione pratica, provvide a correzioni e adattamenti, in modo da superare quel duro rigorismo che egli stesso aveva saputo evitare. La rilettura di Perrini si incentra proprio su questo: l’umanizzazione della teoria, cioè l’abbassamento del sistema stoico così duro ed assoluto. Tutta la storia dello stoicismo a Roma è sotto il segno di questa parabola di abbassamento. Per non lasciare il sapiente stoico nella sua irraggiungibile assolutezza si è cercato, sin dall’età degli Scipioni, lo stoico imperfetto, di cui Seneca, Plinio il giovane e Marco Aurelio saranno perfetti modelli.
Il modo migliore di continuare il dibattito è seguire lo schema del libro di Perrini. Esso si divide in due parti. La prima è dedicata ad una ricostruzione della vita e dell’ambiente storico in cui Seneca ha operato. Mette in stretta relazione vita e attività filosofica. Le due sfere risultano da un nesso necessario e reciprocamente influente. L’evoluzione della filosofia è scandita dalle tappe dell’esistenza in uno schema ternario. La giovinezza, i periodi di lontananza da Roma sono caratterizzati da una ricerca del perfezionamento individuale. L’inizio dell’attività pubblica è l’apertura dei suoi interessi alla vita politica. Il forzato ritiro finale porta ad una penetrante ricerca dell’interiorità. Non si tratta di una sterile circolarità, di un ritorno al punto di partenza, come se lo sforzo di ricerca si aprisse per un momento alla dimensione politica per ripiegare, sconfitto, sulla cura di sé. Si tratta invece di un’apertura progressiva, su aree concentriche sempre più ampie, la ricerca di sé stesso, l’ars vivendi che garantisse la tranquillità e la felicità. Seneca passa ad occuparsi della società romana per giungere poi, dopo il ritiro, ad un’aspirazione di totalità che trascende ai limiti di spazio e tempo e si rivolge ai posteri cittadini di una sorta di repubblica universale. Merito non secondario del volume di Perrini è aver collegato queste tre fasi non soltanto tra loro, ma ciascuna ad una precisa base teoretica e filosofica, quel sistema che è pur sempre la dottrina ortodossa degli stoici.
Vediamo in particolare queste fasi. L’esistenza di Seneca fu un susseguirsi di colpi di scena, con innalzamenti e cadute, quasi a dimostrare come il gioco della fortuna si abbatta sulle vicende degli uomini per mettere alla prova la costantia sapientis. Appartenente ad una ricca famiglia provinciale, entrò a far parte di un’élite culturale, si trovò vicino alla corte ebbe a che avere con gli ultimi tre imperatori della dinastia giulio-claudia, mal visto da Caligola, rischiò una prima volta la pelle. Venne esiliato in Corsica dall’imperatore Claudio, per le mene di Messalina, dove ebbe modo di meditare sulla sua visione della vita. La svolta che segnò la seconda fase della sua vita fu il richiamo a Roma da parte di Agrippina che lo volle come tutore del giovane Nerone, del quale accompagnò l’ascesa al trono, reggendo l’impero in più di un quinquennio. Questa fase della vita pubblica si conclude nel 62; Seneca, rendendosi conto di perdere l’influenza sul suo ex discepolo avviato ormai a diventare il Nerone mostruoso, si ritirò a vita privata. Venne coinvolto nella congiura di Pisone, forse senza esserne direttamente partecipe. Si tolse la vita nel 65 d.c. e Tacito racconta che Seneca chiese impavido che gli venisse portato il suo testamento, ma il centurione glielo impedì. Seneca allora disse ai suoi amici che poiché non poteva dimostrare la sua gratitudine, lasciava a loro la cosa più bella che aveva, l’immagine della sua vita. Se volevano, essi avrebbero potuto conseguire la gloria della virtù come compenso di un’amicizia tanto fedele. Tacito mette in bocca a Seneca questa idea dell’immagine della vita che Perrini ha voluto come titolo del suo libro. Essa è infatti un’idea sintesi dell’umanesimo senecano. Seneca non voleva fare a sé stesso un monumento, voleva indicare una serie di percorsi ai posteri, così da lasciare aperta la strada delle imitazioni. Questo lascito sarà funzionale al cammino verso la virtù.
Va rilevata l’assunzione di una scelta di metodo propria dello stoicismo, che prevedeva l’uso di immagini, metafore, parabole per spremere puoi dalla loro interpretazione problematizzata spunti di verità. In particolare, proponeva vite esemplari più o meno immaginarie, perché il saggio conosce e pratica la virtù, e la rappresenta nella sua vita. La virtù viene resa visibile vivendo, e viene immessa nel corso della storia. Il saggio la insegna agli altri uomini. Anche nel cristianesimo la santità è umanamente possibile. La proposta di un modello di vita si incontra con un altro aspetto che è tipico della romanità, non attraverso praecepta astratti, ma attraverso la concretezza degli exempla maiorum aveva costruito le basi di quel sistema morale seguito dall’aristocrazia sentoria che andava sotto il nome di mos maiorum.
Nella seconda parte del libro di Perrini cercheremo di mettere in evidenza tre temi, seguendo i tre punti principali: la condizione umana, l’umanesimo politico e la filosofia come esercizio di umanità. La condizione umana si definisce chiarendo che lo stoicismo è dottrina della totalità. Gli atti più banali come quelli più dannosi della vita dei singoli sono inseriti entro un disegno razionale e provvidenziale garantito da un ordine superiore. Una volta compiuto questo atto di fede preliminare nell’ordine razionale dell’universo, quello che si chiede all’uomo è di rendersi disponibile al progetto di universale, dove ciascun essere ha una sua parte. Gli stoici intendono parte come elemento teatrale e quindi sviluppano il tema della maschera. Per intenderci possiamo usare parte in un altro senso, come la partitura di un’orchestra: ciascuno dei musicisti deve rendere al meglio la propria parte. Il suo lavoro è di prepararsi a questa esecuzione, indipendente dal ruolo e dal prestigio che a questa parte viene dato. Chi dà solo un colpo al triangolo in due ore di concerto, contribuisce quanto il primo violinista al successo finale. Il suonatore in orchestra non è libero di eseguire qualunque suono, ma deve eseguire al meglio i suoni predisposti dal grande compositore. La sua felicità sta nell’eseguirli nel modo migliore, inserendo il suo contributo nel grande disegno che vede realizzarsi. In pratica, accetta la necessità come atto di libertà. Così il saggio va necessariamente dove deve andare, controlla il proprio atteggiamento interiore di fronte al corso del mondo che guarda. Anche la sventura, l’avversità va vista come un prodotto di un destino razionale. Non si tratta di un abbandono mistico, ma l’accettazione che genera felicità, è conseguenza rigorosamente logica di una comprensione della concatenazione di causa con cui si articola la storia.
Una concezione di questo tipo va oltre la concezione del pensiero politico di Seneca. Seneca è un filosofo che di fatto ha retto per un tempo lungo uno dei più grandi imperi della storia. La sua ascesa al potere fu frutto di caso e di volontà. Il caso fu il favore di Agrippina che sosteneva il figlio adolescente. Donna abile e ambiziosa, trovò il precettore per un rampollo piuttosto problematico, ma anche l’uomo che poteva rappresentare un collegamento con l’aristocrazia senatoria. La scelta di Seneca era un segnale l’aristocrazia senatoria, la cessazione delle ostilità e la possibile ripresa di collaborazione. Se Seneca arrivò al potere, questo fu anche un atto di volontà. Quanti filosofi hanno voluto usare la politica per raggiungere un disegno? Seneca in questo agì in due direzioni; verso l’alto, tentando di addomesticare l’autocrate, e verso il basso nel tentativo di confirmare i senatori. La sua è un’epica molto sensibile verso il gruppo sociale. Vuole rassicurare questo gruppo sociale con un senso e uno scopo per cui vivere. Un ars vivendi che trova la sua sicurezza proprio nel fatto di prevedere anche una ars moriendi. Questo filosofo legato ad una grandiosa utopia, sa dare lezioni di politica reale. Non discute l’operato dell’impero. La migliore condizione per una società è quella monarchica per Seneca, che scrive: “La società romana ha perso ogni interessasse per i richiami sentimentali alla vecchia repubblica. Nelle guerre civili migliaia di uomini si sono affrontati non per essere schiavi di qualcuno ma per di quale delle due parti essere sudditi. Il principato continui a mantenere la facciata repubblicana, ora non ha più senso. È finita l’aequalitas civilis iuris. La libertà non è più il sommo dei valori. Il problema è avere un rex iustus e preparare i suoi collaboratori”.
Da qui l’idea di muoversi su due fronti. Ecco allora il De Clementia, dedicato a Nerone; una sorta di gabbia costituzionale che l’autocrate deve accettare. Non esibisce buone intenzioni, né filantropia. È una teologia del potere imperiale. La clementia era una delle quattro virtù che Augusto aveva esibito nello scudo in tutte le altre parti dell’impero. La clementia è un instrumentum regni, che va esibito nei confronti di quella classe senatoria di cui l’imperatore cerca la collaborazione e deve in ogni modo rassicurare. L’altro cardine dell’azione di governo è il beneficium, una qualità deducibile dalle premesse che ha un rex nell’impianto stoico: operare al massimo livello per il bene comune, in vista di un bene universale. Seneca si riteneva sufficientemente tutelato, perché vedeva in Nerone una mansuetudine originaria, una propensione naturale al bene: Cecità o ipocrisia, in chi si trova fianco al rex. Si può parlare di mansuetudine nell’anno del fratricidio?
Perrini deduce dalle scelte di Seneca due concetti fondamentali, il legame tra potere e responsabilità. Seneca fa leva sulla responsabilità che ogni persona investita da un potere deve sentire; l’azione per il bene comune. L’altra osservazione molto significativa è conseguente all’attività politica, cioè lo sforzo che deve avere chi la eserciti di evitare l’usura per la ripetitività e l’automatismo rafforzando le risorse interiori e procedendo verso la cura di sé. L’attività pubblica non offre più le motivazioni che erano state sufficienti alle generazioni precedenti ora che un autocrate regge irrazionalmente le vite di tutti. Del resto neppure l’antica alternativa che si offre al romano delle classi elevate, l’otium, la fuga nel privato, basta più. Al di là della precarietà dei tempi, Seneca osserva che ogni fuga è inutile se non è avvenuta una radicale trasformazione di sé stessi e del proprio rapporto con il mondo. Una vera conversione, nel valore etimologico del termine, una svolta radicale della propria esistenza. L’inizio di questo cammino è proprio quello di rivolgere l’attenzione all’interno, riconoscendosi individui bisognosi di terapia morale. La scelta della cura di sé era stata indicata da Socrate ed era stata fatta propria anche da scuole come l’epicureismo. Questa tendenza solo ora in età imperiale assume il carattere di prescrizione generalizzata, che fuoriesce dal suo significato originario filosofico, per diventare stile di vita. Già Zenone, fondatore dalla scuola stoica, aveva insistito sulla cura di sé. Negli stessi anni di Seneca, Busonio Rufo ripeteva che chi voleva salvarsi doveva vivere curando sé stesso. Anche Seneca con ampiezza di formule ne parla. “Rivendica a te il possesso di te stesso”, frase della prima lettera a Lucilio. “Strappati via dalla gente”, “Devi essere chiamato via da tutto ciò che è esterno verso un’interiorità”.
Dopo un coinvolgimento della filosofia con il potere e con la vita pubblica, alla filosofia sembra dato il compito di guidare la ritirata. La cura di sé potrebbe essere una sorta di rivalsa in cui non può più guidare la vita pubblica. Non si tratta di un cedimento dell’individualismo di fronte alle troppo gravi contraddizioni della storia. L’individualismo è presa di coscienza che spinge un uomo ad intensificare i rapporti con sé stesso, ad assumere sé come oggetto di conoscenza e come campo di azione, allo scopo di trasformarsi e di correggersi. Questo ultimo senso sembra preminente. Non si tratta di una chiusura rinunciataria ed egoistica, ma un invito ad un’interiorità. È una salvezza tutta umanistica, un recupero della propria interiorità da un’aggressione di una violenza esterna che ai suoi tempo era la realtà atroce e sanguinosa dell’ultimo principato neroniano. Ai nostri può anche essere la distrazione sistematica dal concentrarsi sulle cose che contano.
Seneca risulta interessante anche quanto si presenta come filosofo per tempi di sventura. Quando la storia raggiunge un punto in cui non sembra esserci più rifugio all’aggressione di una violenza esterna, che dappertutto si insinua e tutto occupa, il suo recede in te ipsum, suona come richiamo alto all’interiorità e alla cura di sé, per riconquistarsi e conquistare una pace più profonda. In una lettera a Lucilio, dice: “Come una lucerna anche noi ci accendiamo e ci spegniamo. Nel tempo intermedio soffriamo un poco, ma prima e dopo, c’è una pace profonda”.

Testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 20.5.1998 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.