Il montinismo spartiacque per la Chiesa

Corriere della sera, 29 marzo 2015

Il genere letterario delle biografie oscilla tra due rischi: scivolare nello psicologico, o schiacciare la vita del personaggio ritratto sullo sfondo della storia generale. Un rischio ancor più sottile nel caso della vita di un papa, dove forte è la tentazione di eludere l’oscillazione tra psicologia e grande storia risolvendo la biografia a capitolo della storia della Chiesa.

Per eludere questi rischi, Fulvio De Giorgi sceglie di introdurre la sua corposa biografia di Giovan Battista Montini (Paolo VI. Il papa del Moderno, Morcelliana, collana Montiniana, pp. 784, in libreria da domani) con un capitolo dal titolo: «Biografia di un papa dal punto di vista della storia della Chiesa». Una sorta di discorso sul metodo, nel quale l’autore delinea le categorie che rischiareranno i capitoli successivi. Di qui l’uso di «Chiesa totalitaria» per render conto dei pontificati di Pio XI e Pio XII, nel loro tentativo di resistere ai regime totalitari — di destra e di sinistra — nella prima metà del Novecento . Dove per «Chiesa totalitaria» (l’espressione è di Pio XI) si intende il sogno di una «ecclesia autosufficiente» impermeabile alle sfide della modernità.

A fianco di questa categoria, altre due: il «lungo Ottocento», per designare il tempo interno alla Chiesa, dalla caduta del potere temporale (1871) alla fine nel 1965 del Concilio Vaticano II, che segna l’apertura di un confronto con la Modernità; eil «secolo spezzato», per indicare come nel Novecento, pochi anni dopo la morte di Paolo VI (1978), la storia si infranga e cada (nel 1989) il mito del progresso irreversibile della storia.

Aiutato da queste categorie, che danno l’orizzonte epocale in cui declinano la vita di Montini e la storia della Chiesa in cui egli opera, il lettore è accompagnato, con una scrittura chiara e rigorosa, a ripercorrere le tappe della biografia del beato bresciano.

Capitoli contrassegnati da un triplice registro: uso di prima mano delle fonti, confronto con la più avveduta storiografia, attenzione ai mutamenti interni alla vita stesso di Paolo VI. L’apertura è a Brescia: la formazione nel cattolicesimo dove il padre è uno dei protagonisti, l’esperienza culturale con la nascita della Morcelliana come segno di un respiro internazionale della sua formazione teologica; un’educazione teologica contrassegnata dalla traduzione di Maritain; l’amicizia e il discepolato con padre Giulio Bevilacqua.

Segue il trasferimento a Roma, sotto il pontificato di Pio XI, con la funzione di assistente alla Fuci prima e poi nella Segreteria di Stato. Nell’interpretazione degli anni romani sta una delle novità della ricostruzione di De Giorgi: Montini fa proprio il paradigma prima di Pio XI e Pio XII di una difesa della «Chiesa totalitaria», ma lo fa alla luce di una spiritualità «cristocentrica» che è agli antipodi di quella «ecclesiocentrica» degli esponenti conservatori della Curia (Ottaviani, ad esempio). Donde le tensioni che, a partire del suo schierasi per una scelta democratica dei cattolici in politica dopo il 1945, porteranno al suo allontanamento da Roma e la nomina ad Arcivescovo di Milano.

Anche per gli anni a Milano, si ha una lettura innovativa. In gioco sono il modello pastorale attento alla questione sociale – tanto che Montini fu attaccato dalla destra cattolica come «Arcivescovo dei lavoratori» – e la sua posizione nei confronti del nascente centro-sinistra: da Montini non avversato, nonostante in diocesi non si esimesse dal criticare il movimentismo della sinistra democristiana.

Qui l’autore ha finissime pagine sulla tensione tra Montini e il cardinale Siri, esponente del conservatorismo, sui nuovi scenari pastorali e politici dei primi anni Sessanta.

Il Concilio: De Giorgi mostra la duratura affinità spirituale tra Montini e Roncalli, quasi che la successione al soglio pontificio fosse una possibilità teologico e spirituale che la Chiesa Cattolica non poteva perdere se voleva portare a compimento la fuoriuscita dal modello tridentino.

Il lettore troverà intense pagine sulla direzione montiniana del Concilio Vaticano II. Con i suoi pronunciamenti, si assisteva a un cambiamento di paradigma: la Chiesa come orizzonte di una «civiltà dell’amore», dove libertà religiosa, dignità, e diritti dell’uomo erano il fondamento. Nel contempo, si aveva la fuoriuscita da una concezione «romana» del futuro del cattolicesimo: questo è il senso profondo dei viaggi internazionali di Paolo VI.

De Giorgi non nasconde le amarezze e le difficoltà del papa negli ultimi anni di pontificato, segnati dalla tragedia di Moro, l’amico interlocutore politico di una vita. L’autore alla fine si chiede: se la cifra storica di Montini è stata quella di inaugurare una nuova età della Chiesa, il «montinismo», come sintesi di tensione teologica per riaffermare la fede in Cristo e il riconoscimento della autonomia culturale del Moderno, non è il futuro della Chiesa anche nel «secolo spezzato»?

 

Al punto che v’è da chiedersi se dopo due pontificati retti da due autorevoli esponenti della destra montiniana (Wojtyla e Ratzinger), non stiamo assistendo al papato del più alto esponente della sinistra montiniana, Bergoglio…