In difesa della vita

Il dibattito sul tema dell’aborto, che negli ultimi anni ha scosso e per certi versi lacerato la coscienza civile e la stessa coscienza religiosa degli italiani, si è svolto tutto sullo sfondo di un decisivo, anche se inespresso, interrogativo: l’aborto è “a destra” o “a sinistra”, segna cioè un progresso o un regresso, è una conquista o un arretramento per la società civile? Domanda drammatica, alla quale sono state date risposte di segno contrario. Vi è stato infatti chi ha presentato la liberalizzazione, o depenalizzazione, del procurato aborto come un raggiunto traguardo di civiltà che finalmente allineerebbe l’Italia ai paesi “più progrediti”; ma vi sono stati anche coloro, i cattolici ma non soltanto essi, che hanno visto nella rinunzia alla difesa della vita umana sin dal suo concepimento un preoccupante segno di involuzione della nostra società.

Ancora una volta, tuttavia, si sono riproposti quasi schematicamente nel Parlamento e nel paese uno schieramento “di destra” (contrario all’aborto) e uno schieramento “di sinistra” ad esso favorevole. I cattolici, e coloro che ne hanno condiviso l’impegno per il rispetto della vita, sono stati collocati a destra, sulla sponda della conservazione, dell’arretratezza culturale, se non del fascismo. Ma il problema è appunto quello di sapere, al di là di astratti problemi di schieramento dai quali il gioco politico, purtroppo, nemmeno questa volta ha potuto prescindere, da quale parte stia il progresso civile e da quale parte la reazione.

Occorrerebbe, preliminarmente, intendersi su ciò che si intende per “destra” o per “sinistra”; tema assai arduo e impegnativo che non può certo essere affrontato e tanto meno risolto in queste brevi note. In termini essenziali, ma fondamentalmente non inesatti, l’atteggiamento conservatore si esprime nel mantenimento dell’esistente, l’atteggiamento rivoluzionario nel cambiamento dell’esistente. In questo senso è uomo di destra chi guarda al presente per mantenerlo o al passato per riproporlo, è uomo di sinistra chi guarda al futuro per favorire l’irruzione del nuovo nella storia.

Riferiti al tema dell’aborto, questi due atteggiamenti si esprimono in una tendenza a mantenere lo status quo e in un tentativo di cambiarlo. Stabilire chi è a destra e chi è a sinistra, dunque, significa prima di tutto e innanzitutto esaminare chi è per la conservazione dell’esistente e chi è per il cambiamento.

Ma il punto sul quale mette conto di richiamare maggiormente l’attenzione è quello riguardante le cause, soprattutto le cause sociali, dell’aborto. L’enorme maggioranza delle donne che richiedono l’aborto non sono né madri di futuri presunti “mostri”, né ragazze violentate, ma donne non sposate che non intendono accettare di diventare, nell’impossibilità o nel rifiuto di sposarsi, ragazze-madri; oppure donne sposate che non ritengono di potersi assumere il carico, economico e insieme psicologico di un altro figlio.

Se di fronte ai casi eccezionali si può pensare che la società possa soltanto operare una scelta nei tempi lunghi, migliorando ad esempio le conoscenze eugenetiche, rendendo più frequente il ricorso ad accertamenti pre-matrimoniali frenando la spinta all’erotismo che è una sicura componente dall’aumento dell’aggressività in campo sessuale, di fronte ai casi “normali” di aborto gli atteggiamenti possibili sono essenzialmente due: prendere atto dei fatti, e consacrarli nella legge; o cercare di cambiarli. Ed è appunto il primo l’atteggiamento conservatore, e dunque “di destra”, perché non opera sulle cause ma si limita ad agire sugli ultimi effetti, non innova ma mantiene, non incide sul futuro ma conserva l’esistente.

Alla donna che non vuol essere ragazza-madre perché sa di essere rifiutata da una società che è tanto più permissiva prima, in tema di sessualità, e tanto più repressiva dopo, quando si annuncia la gravidanza (una società di cui sono una dolorosa componente quei genitori che si latino essi stessi consiglieri o aperti istigatori all’aborto), non si contrappone né il tentativo di modificare la coscienza civile, di creare un clima di rispetto e di comprensione, se non di fraternità, verso una donna che si viene a trovare in una situazione difficile e forse drammatica. A colei che si sente abbandonata, emarginata, rifiutata, il legislatore non sa proporre altro che la consacrazione di questa condizione di emarginazione, che riguarda insieme la madre e il figlio che essa attende.

Alla donna sposata che ha problemi di conflittualità con il coniuge, che sta attraversando un periodo di tensione se non di crisi, e che appunto per questo vede con apprensione e con paura il profilarsi di una nuova nascita (rivela infatti la psicologia che assai spesso il rifiuto del figlio è in realtà il rifiuto del padre), la società non offre una struttura che l’aiuti a prendere coscienza e per quanto possibile a risolvere i propri problemi, ma soltanto una clinica in cui risolvere il suo dramma alla radice, abortendo.

Alla coppia senza lavoro e senza casa, afflitta dal pendolarismo e dal dissesto della vita urbana, la società non sa offrire né un lavoro né un’abitazione, non sa proporre al limite nemmeno i mezzi per realizzare una procreazione responsabile: l’unica via di uscita che sa indicare è quella dell’aborto.

Ci sembra dunque di poter affermare che l’aborto è una soluzione eminentemente conservatrice e, al limite, regressiva, che non risolve realmente nessun problema ma tutti li lascia aperti e in un certo senso li aggrava, perché oltretutto favorisce l’affermarsi di un clima di deresponsabilizzazione nei confronti dell’impegno, pur a parole riaffermato anche dal legislatore, per il rispetto della vita.

Al di là delle profonde ragioni ideali che la motivano e che       dovrebbero meritare da parte di tutti un giudizio più sereno e       più rispettoso, l’azione che i cattolici italiani vanno conducendo per il rispetto della vita ci sembra dunque non possa essere in alcun modo etichettata come conservatrice e reazionaria. Vi è anzi da domandarsi perché mai forze politiche che pure in altri ambiti sono per il mutamento siano, in questo caso, per la conservazione. Assistiamo probabilmente ad un di imborghesimento degli stessi partiti operai, al penetrare nel loro ambito di ideologie assai più vicine al radicalismo che non                al marxismo. In questo senso ci sembra di potere affermare che la quasi assoluta compattezza del “fronte laico” sul tema dell’aborto si verifica su posizioni di destra e non di sinistra. Non sono i partiti borghesi, cioè, che assumono un atteggiamento avanzato, ma viceversa; ed è su questa base che si ricompone il composito e variegato mondo laico favorevole all’aborto, da Plebe a Berlinguer, da Susanna Agnelli a Pietro Nenni.

Rispetto a questo vasto “fronte borghese” che ha l’appoggio della grande stampa (borghese) e spesso della televisione (di Stato) i cattolici democratici appaiono come minoranza numerica e come forza minoritaria e soccombente. Ma, al di là della battaglia dei numeri, che può essere vinta o perduta, rimane la battaglia delle cose, ed a questa i cattolici non possono e non devono rinunziare, quale che sia l’esito della vicenda parlamentare. Di fronte ad una legge che pretenderebbe puramente ed esclusivamente di consacrare l’esistente, spetta ai cristiani operanti nella società l’impegno per cambiare l’assetto della società, per renderla più umana, più giusta, più rispettosa della vita, per creare strutture di sostegno per le ragazze madri, per le coppie in crisi, per i coniugi alle prese con difficoltà economiche apparentemente insormontabili. E resta il dovere di impegnarsi a fondo per favorire da parte di tutti, e soprattutto dei giovani, l’assunzione di un atteggiamento di autentica responsabilità nei confronti della sessualità, condizione necessaria per non soffocare nella coscienza civile quel valore fondamentale che è il rispetto per la vita.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 15.3.1977 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.