La resistenza tedesca al nazismo

Un autore di grande spessore, Heinrich Böll, ma che non sempre è padrone del suo estro polemico, ha scritto una grande sciocchezza: “La resistenza tedesca fu una causa privata”. La si legge sull’”Epilogo” del volumetto “La capitolazione” di Carl Amery, pamphlet che offre spunti felici, ma che non è il libro di uno storico distaccato e nemmeno problematico, come riconosce il prefatore Gabriele De Rosa. L’affermazione di Böll è confutata dal grandissimo numero di tedeschi arrestati, internati in campo di concentramento e uccisi. Fu sistematica la ferocia con cui il nazismo estirpò i suoi avversari. Il martirologio degli oppositori tedeschi al nazismo è molto lungo e ad esso bisogna aggiungere le persecuzioni patite anche dai parenti dei condannati, dal 1933 sino agli ultimi giorni del regime, nell’aprile-maggio del 1945. Il campo di Dachau fu aperto già nel 1933, posto sotto il comando delle SS e additato a modello degli altri luoghi di detenzione e di lavoro forzato. Lì le “norme straordinarie” giustificavano barbari crimini come “punizioni”; lì venne addirittura proclamata la legge marziale e la pena di morte era inflitta – anche negli anni che precedettero il conflitto – da un tribunale interno presieduto dal comandante del lager. Il comandante di quel campo, il quarantunenne Theodor Eicke, nominato nel 1933 da Himmler, divenne il vero pioniere del nuovo terrore. Le prime vittime prime di quel terrore furono i tedeschi, i figli stessi della Germania che sperimentarono, sulla loro pelle, quella stessa bestialità che poi avrebbero sperimentato gli altri popoli una volta occupati.
L’opposizione tedesca al nazismo è stata numericamente assai più consistenza di quanto molte volte non sia stato ammesso: furono oltre mezzo milione i tedeschi che trovarono la morte nei campi di concentramento. In realtà la resistenza è stata molto più estesa di quanto non si potesse attendere, date le condizioni di terrore. Essa si è sviluppata attraverso varie forme. C’è stato il non-allineamento, ma anche l’aperta condanna, il rigetto. C’è stata l’ostilità soffocata dietro le mura delle prigioni e il filo spinato e c’è stata la vasta rete di aiuti organizzati alle vittime e soprattutto ai loro familiari. È esistita, dunque, l’altra Germania, la vera grande Germania della rivolta morale, religiosa e politica all’infamia totalitaria e ad essa si deve finalmente rendere giustizia, perché la verità storica lo esige e il dovere della comprensione reciproca tra i popoli di questa nostra Europa impone a tutti di mettere in comune quanto di meglio ogni popolo ha, per consegnarlo nelle mani dei giovani, come l’eredità più preziosa, quella di cui nutrirsi ulteriormente, l’insieme di quei valori a cui non rinunciare mai. La mostra “La Resistenza tedesca al nazismo dal 1933 al 1945” al Salone Cavallerizza non a caso inaugura il “V Colloquio Internazionale su pace, diritti dell’uomo, sviluppo dei popoli”, che si svolge nella nostra città grazie alla collaborazione tra l’Amministrazione comunale e la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. Essa vuol essere un contributo alla verità e un mezzo per far cadere pregiudizi duri a morire, ma anche un appello e un monito.
Con giusto orgoglio va ricordato che nel documentare il significato universale della lotta contro il neo-paganesimo razzista la nostra Brescia ha dato contributi di primaria importanza. È stata pubblicata, infatti, qui presso la Queriniana la biografia “Dietrich Bonhoeffer” di Bethge e dello stesso Bonhoeffer “Frammenti da Tegel”. L’Editrice Morcelliana ha fatto conoscere nel nostro Paese tre grandi figure della Resistenza cristiana al nazismo: Bernard Lichtenberg, il prevosto del duomo di Berlino che pregava pubblicamente per gli ebrei perseguitati; Helmut James von Molte, anima del cosiddetto “Kreisauer Kreis”, la cui eccezionale statura di leader politico e di cristiano appare in tutta la sua luce nelle lettere che inviava alla moglie e che sono raccolte nel volume “Futuro e Resistenza”, e Friedrich Muckermann, che ci ha lasciato una sobria, lucida testimonianza della battaglia combattuta ne La via tedesca. Né si può tacere il monumentale contributo “Germania religiosa nel Terzo Reich – Della testimonianza” (1933-1945) “alla storiografia” (1946-1976) di Mario Bendiscioli. Lo storico bresciano ebbe il merito di studiare, su documenti di prima mano, la spaventosa realtà del neopaganesimo nazista nel momento stesso in cui andava svolgendosi. L’opera – che uscì nel 1936 in Italia e nel 1939 in Inghilterra – poté essere ripubblicata nel 1977 “senza ritocchi” perché ciò di cui parlava era rigorosamente accertato. Il libro di Bendiscioli fu, però, completato per gli anni che vanno dal ’36 al ’45 ed ebbe il suo compimento in uno scritto in cui veniva passato in rassegna un trentennio di dibattiti sui rapporti intercorsi tra il nazismo al potere e Chiese cristiane.
Un’ultima considerazione. L’opposizione tedesca venne a trovarsi allo scoppio della guerra nella più difficile delle situazioni, per cui la lotta per la liberazione della patria era inevitabilmente collegata alla prospettiva di una sua umiliante sconfitta. L’unica via per sciogliere quel tragico conflitto era la sostituzione di un ideale negativo con uno positivo, con uno che andasse al di là della lotta contro i nazisti. C’era bisogno di un più alto e forte impulso, che potesse pretendere credito e ascolto presso tutti, presso i popoli europei e gli americani. Ci fu la piena coscienza di un sacrificio purificatore, così nobilmente espresso da Karl Friedrich Goerdeler nella lettera di addio alla moglie, prima di essere giustiziato: “Io prego il mondo di accogliere il nostro destino di martiri come espiazione per il popolo tedesco". Ma c’era anche nei più la coscienza di essere l’avanguardia di una nuova Europa, che doveva essere liberata per sempre dai conflitti fra le nazioni e dall’alienazione totalitaria. La Resistenza tedesca, nelle sue componenti più preparate, era molto più che agli antipodi di Hitler e del suo sistema. “Il problema vero – scriveva Moltke – è assai meno un problema di confini, di organizzazioni ipertrofiche e di pianificazioni grandiose, quanto piuttosto di capacità di rispondere alla questione: come restaurare l’immagine dell’uomo nel cuore dei tedeschi dopo una così immane follia”. Non erano parole, infine, bensì progetto di un avvenire degno per il nostro continente, quelle con cui Moltke espresse al vescovo di Chichester il convincimento profondo dell’opposizione a Hitler: “I principi basilari… all’interno della federazione dei liberi popoli europei dovrebbero essere edificati o riedificati conforme ai fondamenti della fede e della vita cristiana”.

Giornale di Brescia, 22.9.1988. Articolo scritto in occasione della mostra “La Resistenza tedesca al nazismo” organizzata dalla CCDC.