La Russia e l’Europa

Tematiche: Europa

Se si riflette sul posto che la Russia occupa rispetto all’Oriente e all’Occidente, è necessario dapprima considerare la natura del problema e i suoi stessi termini. La questione se la Russia si collochi culturalmente nell’ambito dell’Occidente o dell’Oriente oppure in uno spazio intermedio ha assunto nei secoli in cui essa è stata consapevolmente posta, cioè a partire dalla fine del XVIII e dall’inizio del XIX secolo, un carattere sostanzialmente ideologico ed è stata la forma attraverso cui le diverse tendenze politiche e culturali della Russia moderna hanno cercato di trovare un’identità nazionale e di elaborare un programma di azione. In Occidente la stessa questione è nata come reazione all’affermarsi della Russia quale Stato e Impero sempre più decisivo per le sorti dell’intero continente. In passato, prima della nascita di un’ideologia secolarizzata nazionale, la questione del carattere orientale od occidentale della Russia aveva una forma sostanzialmente religiosa, riguardando le due principali confessioni cristiane e i loro complessi rapporti dottrinari e politici. Quando oggi si riflette sul posto che la Russia occupa rispetto all’Occidente e all’Oriente, la prima considerazione da fare è che, naturalmente, si deve tenere conto di queste secolari dispute di carattere teologico e ideologico, ma si deve mantenere verso di esse un distacco storico-critico, evitando di continuarle, come per lo più invece avviene, quasi un abisso non ci dividesse dall’idea di Mosca Terza Roma o dalla discussione tra slavofili e occidentalisti. Anche quando momenti e figure del passato russo sono state attualizzate in senso politico e culturale, come è il caso frequente di Pietro il Grande, come simbolo di apertura verso l’Occidente, o di Ivan il Terribile, come simbolo di un’autosufficienza statale, si tratta di decifrare il carattere ideologico di queste analogie storiche e di non restare prigionieri di una falsa continuità tra passato e presente.
La seconda riflessione preliminare riguarda la continuità storica stessa e quindi il carattere dei tre termini della questione che viene posta: Russia, Oriente, Occidente. Il pericolo quasi inevitabile e raramente evitato è quello di trasformare Russia, Occidente e Oriente in tre entità statiche, se non in tre essenze metafisiche e di disquisire poi sui rapporti tra un’eterna Russia e un non meno eterni Oriente e Occidente. Se consideriamo la Russia nella sua storicità e quindi come insieme di varianti e invarianti, vediamo che la sua caratteristica più paradossale rispetto ad altre entità nazionali è che il suo sviluppo secolare è scandito da nette “rotture” e che la discontinuità costituisce la nota dominante della sua continuità Esistono più Russie susseguitesi nel tempo, la cui unità nella diversità costituisce la Russia. Non per nulla il problema dell’identità si è posto e si pone in Russia in modo più intenso e drammatico che in ogni altra comunità nazionale e la soluzione di questo problema non è mai univoca e si orienta verso una pluri-identità, una comprensenza di Russie diverse.
Se si estende questa riflessione agli altri due termini della nostra questione – Occidente e Oriente – ad entrambi si deve togliere una fissità geografica una staticità pseudo-metafisica e si deve vederli entrambi nella loro dinamicità storica e nella loro complessità culturale, passando dalla categoria della spazialità e da quella dell’assolutezza a quella della temporalità e della relatività. Se l’Occidente e l’Oriente sono visti come un insieme di cultura, insieme che è più differenziato nel secondo che non nel primo, essendo l’Occidente unificato da un’unica religione, quella cristiana, mentre è propria dell’Oriente la compresenza di civiltà religiose profondamente diverse, è però vero che è stato l’Occidente a introdurre un momento di differenziazione radicale nell’intera storia umana e quindi anche nel rapporto tra sé e l’Oriente.
Questo momento è quello della temporalità del processo storico e di una accelerazione del suo movimento. Per Occidente in senso storico-culturale non intendiamo un’area geografica soltanto, ma quell’area nella quale ha avuto luogo la rivoluzione della Modernità ovvero la fine della Tradizionalità. Possiamo definire l’Oriente come l’area in cui la Tradizionalità ha avuto e ha conservato le sue radici più profonde e più antiche, radici che sono state intaccate dall’estendersi anche alla sua area della Modernità occidentale sotto forma di Modernizzazione o di subalternità all’Occidente moderno. Certamente, anche l’Occidente prima di essere moderno è stato tradizionale, ma per una serie di motivi, la cui individuazione costituisce il segreto forse maggiore della storia umana, la tradizione occidentale ha permesso e in un certo senso ha preparato il passaggio a quella sua autonegazione che è la Modernità, a differenza della tradizione orientale che da sola non ha operato questo passaggio.
Dopo queste brevi osservazioni preliminari, le quali a loro volta aprono un campo vastissimo di ulteriore approfondimento, è chiaro che l’antica questione del rapporto della Russia rispetto a Oriente e Occidente si presenta ben più complessa delle sue consuete trattazioni ideologiche o religiose, tutte degne della massima attenzione, evidentemente, ma come momenti di una trattazione critica diversa. Per la Russia, inoltre, il problema del suo rapporto con Oriente e Occidente non si può porre astrattamente e richiede una specificazione, data la relatività storico-culturale dei concetti di Est e di Ovest assunti in un modo non puramente geografico: l’orientalità della Russia, infatti, è interna a quell’occidentalità che è costituita dalla millenaria appartenenza della Russia alla civiltà cristiana, per cui il problema è quello di un rapporto tra Cristianesimo occidentale e Cristianesimo orientale, visti non nella loro contrapposizione dottrinale ed ecclesiale, ma nella loro differenziazione culturale. E poiché la Russia, a partire dal XVIII secolo, ha conosciuto in un modo suo proprio una secolarizzazione analoga a quella europeo-occidentale, si tratterà di analizzare il suo particolare passaggio da un Cristianesimo tradizionale a un Cristianesimo secolarizzato. Anche da questo punto di vista si mette in luce che l'”orientalità” della Russia è interna alla cultura europeo-occidentale, della quale costituisce una parte assai particolare, indubbiamente, ma non radicalmente eterogenea, come è il caso invece dell’Oriente non cristiano.
Ci si può domandare, tuttavia, se non si sia qui storicizzato eccessivamente il problema del rapporto della Russia con l’Oriente e l’Occidente e non si sia trascurato o sottovalutato il momento non tanto geografico quanto geoculturale, ossia quella spazialità bicontinentale che fa della Russia una nazione polietnica euroasiatica. Si può rispondere che, se si deve evitare un geografismo ideologico come quello dell’eurasismo, incline ad assolutizzare la bicontinentalità russa e ad attribuire ad essa un significato esclusivo che farebbe della Russia un’entità del tutto a sé stante, non si deve, d’altra parte, ignorare il peso che lo spazio ha nel destino di una nazione, sempre che, però, si congiunga quello spazio geografico al tempo storico e lo si veda quindi in una dinamica che ne varia i significati. La storia russa appare allora come un processo di espansione e di colonizzazione che non si colloca interamente nella logica dei grandi sistemi imperiali, anche se esso ha costituito uno dei più grandi Imperi mondiali.
Un altro paradosso della storia russa, infatti, dopo quello che fa della discontinuità il momento centrale della sua continuità, consiste nel fatto che la sua identità nazionale è caratterizzata come nessun’altra dalla permeabilità ad altre identità nazionali ovvero dalla sua capacità di assimilazione e di inglobamento che ha fatto dell’Impero russo, grazie anche alla continuità spaziale che lo ha contraddistinto, un caso assai particolare tra gli altri Imperi europei, caratterizzati, invece, da una netta distanza sia spaziale che nazionale e culturale tra centro metropolitano e periferie coloniali. E’ una caratteristica che, in termini ideologici nazionalistici, è stata esaltata da Dostoevskij come universalità e apertura dello spirito russo e che, in realtà, costituisce un aspetto della complessa e difficile identità nazionale russa.
Il problema del rapporto della Russia con l’Oriente e l’Occidente coincide col problema dell’identità nazionale della Russia. Un’identità, come si è detto, tra le più complesse e composite. Il rapporto con l’Oriente, come quello con l’Occidente, per la Russia è stato duplice e di diversa natura. Il primo rapporto è stato col Cristianesimo orientale, l’adesione al quale ha costituito l’atto di formazione della Russia come entità culturale. Ma la cristianizzazione del popolo russo non cancellò il passato precristiano, pagano, come, del resto, non lo cancellò nell’area del Cristianesimo occidentale. Nel caso russo, tuttavia, la coesistenza tra paganesimo (slavo) e Cristianesimo (orientale) restò più marcata, meno superata in una sintesi sotto il predominio della nuova religione, dando luogo a una doppia fede e a una doppia cultura, distinguendo in particolare credenze popolari e religiosità ecclesiale. Il secondo contatto con l’Oriente non avvenne più all’interno del Cristianesimo, che pur nella divisione delle confessioni costituiva il fondamento della civiltà europea, né avvenne per una libera adesione pacifica, bensì si attuò nei riguardi dell’Oriente non cristiano e ostile degli invasori mongoli, che stabilirono un lungo dominio sulle terre russe. Anche in questo caso si creò una dualità tra Russia originaria pagano-cristiana e Russia modificata dal giogo mongolico, dualità che sta alla base della Russia moscovita, unificata, liberata e ampliata promossa dalla futura Russia pietroburghese imperiale.
Con la formazione della Russia pietroburghese, per quanto essa fosse in parte preparata dai decenni che precedettero la riforma di Pietro il Grande, una nuova dualità si viene a creare tra la Russia medievale, tradizionale e la Russia modernizzata, “europea”. Su questa scissione tra vecchia e nuova Russia si basò il dibattito tra slavofili e occidentalisti, iniziato ante litteram già verso la fine del XVIII secolo. La cultura russa postpetrina, pur nella sua complessa unità storica, si articolò in due diverse culture fondamentali interagenti, culture che ebbero una profonda connotazione storica essendo l’una autoctona (per quanto anch’essa, come si è detto, nata dal contatto col mondo non-russo), e l”‘importata”, derivando dall’Europa occidentale (per quanto si trattasse di una “importazione” adattata alle condizioni locali). Ma non basta: ben presto si determinarono due altre dualità di decisiva inimportanza. La prima fu quella tra cultura dello Stato e cultura dell’intelligentsija. La seconda dualità fu quella che divise la cultura dello Stato tra conservatori e riformatori e la cultura dell’intelligentsija, tra liberali e radicali. In entrambi i casi si trattava di culture di tipo europeo che operavano nell’ambito di una situazione storica priva di omogeneità, date le varie stratificazioni di cui era fatta la cultura russa nel suo complesso. Anche la religiosità, in questo contesto, assunse in Russia una molteplicità di forme: religiosità pagano-cristiana popolare, religiosità istituzionalizzata statale, religiosità libera intellettuale, religiosità secolarizzata radicale (quest’ultima caratterizzata da uno specifico ateismo religioso). Tutte queste differenziazioni creavano un terreno culturalmente assai fertile, dal quale nacque la grande letteratura russa moderna, ma anche un terreno socialmente instabile, dal quale nascevano scosse rivoluzionarie, fino all’ultima, quella del 1917, che sconvolse l’intera configurazione culturale russa.
La duplice rivoluzione russa del 1917, a parte ogni considerazione sulla situazione internazionale e sulla guerra perduta che ad essa offrì l’occasione favorevole, fu il portato di tutte le contraddizioni della cultura russa, una cultura di tipo europeo su fondamenta occidentali e orientali, nella quale s’incrociavano diversi tempi e modi di sviluppo socio-economico: alcuni residui di un passato medievale, che l’Europa aveva sostanzialmente superato, altri, invece, omogenei allo sviluppo europeo moderno. Lo stato autocratico, che era nato dalle particolari condizioni storiche di sviluppo della Russia moscovita prima e pietroburghese poi, costituiva ormai il residuo più anacronistico che si scontrò con un altro anacronismo, legato però a una particolare diramazione della cultura europea moderna: il comunismo marxista. Fu quest’ultimo a cogliere l’occasione storica unica e sfuggente che derivava da un duplice concorso di circostanze: da una parte, la disgregazione causata dalla guerra che poneva fine a un’autocrazia di tipo medievale, dall’altra una rivoluzione socio-politica che apriva una prospettiva moderna di tipo democratico. Grazie a questa congiuntura e soprattutto all’abilità di un politico come Lenin, la rivoluzione liberatrice del febbraio 1917 venne imprigionata nella rivoluzione totalitaria dell’Ottobre dello stesso anno, rivoluzione la cui sorte si spiega se la si vede come una doppia rivoluzione, in cui la seconda, quella totalitaria, sequestra e soffoca la prima, quella liberatrice. In entrambe le rivoluzioni si ha uno sbocco dello sviluppo occidentale-orientale della Russia, della sua cultura europea, come risulta più chiaro se si ricorda, da una parte, che la rivoluzione totalitaria non restò russa e divenne base di un movimento internazionale che si estese sia all’Occidente che all’Oriente e, dall’altra, che il nuovo regime politico totalitario non ebbe soltanto la sua originaria versione comunista, ma divenne il prototipo di un altro regime, antitetico e affine, quello nazista, nato, a sua volta, da una duplice radice: da una reazione al bolscevismo sovietico e da uno sviluppo di una particolare tendenza della cultura tedesca. Qui si aprirebbe un ampio terreno di analisi comparativa tra sviluppo storico-culturale tedesco e russo, diversi tra loro, ma con notevoli momenti di affinità e di interconnessione, ed entrambi diversi dallo sviluppo socio-economico di Paesi europeo-occidentali come l’Inghilterra e la Francia, cuore dell’Occidente moderno.
Non si tratta di identificare comunismo e nazismo, fenomeni culturalmente diversi, anche se strutturalmente affini, ma di capire le ragioni profonde della nascita di questi nuovi regimi nell’ambito di una crisi della cultura europea e delle sue istituzioni liberali e democratiche. Così diventa possibile anche vedere la Russia non come una nazione votata a una sorte di illibertà, prima autocratica e poi totalitaria, bensì come un momento di una storia complessa del mondo moderno occidentale nei suoi rapporti con la sua periferia orientale e con un Oriente vero e proprio, aperti entrambi a una “occidentalizzazione” differenziata, non priva di reazioni e resistenze.
La Russia non è stata e non è in bilico tra Occidente e Oriente, né costituisce un’entità a se stante, né occidentale, né orientale: essa nel corso della sua storia millenaria è stata alla ricerca di se stessa e, insieme, ha costruito se stessa nell’ambito di un processo storico mondiale che ha trovato i suoi centri prima nel Cristianesimo come base della civiltà europea in formazione e poi nella rivoluzione della Modernità come inizio di una nuova fase secolarizzata dell’umanità. Nella sua storia millenaria la Russia, lungi dal costituire un’entità statica, ha assunto forme assai diverse che vanno, per sommi capi, da una Russia pre-moderna (con tutta una sua periodizzazione interna) a una Russia in via di modernizzazione (anch’essa divisa in periodi particolari) e a una Russia non più Russia perché diventata sovietica, cioè diventata momento, per quanto quantitativamente preponderante, di una nuova entità che non si sa se definire multinazionale, internazionale oppure nazionale: l’Urss. Ora la Russia tenta di diventare nuovamente Russia, ma una Russia radicalmente diversa da quella presovietica per due ragioni evidenti: prima di tutto perché settant’anni di denazionalizzazione totalitaria non possono essere cancellati e, secondariamente, perché dopo tre secoli la Russia cessa di essere parte centrale di un impero, sia di quello zarista, finito nel 1917, sia di quello, diversissimo, comunista, finito nel 1991.
Ancora una volta per la Russia si pone il problema del suo rapporto con l’Oriente e con l’Occidente. Ma si apre un discorso radicalmente diverso rispetto a quello che tale problema ha avuto nei secoli precedenti poiché, se mutata è la Russia, non meno mutati sono l’Occidente e l’Oriente, cioè profondamente mutato e in continua mutazione è il mondo. Per questo, come si è detto all’inizio, la vecchia querelle tra slavofili e occidentalisti è molto interessante anche oggi, se però la si considera con distacco critico e non si pretende di continuarla come se fosse attuale. Alla fine del ventesimo secolo la storia russa sembra giunta a una sua conclusione provvisoria: non si tratta di una “fine della storia”, ma di una sua trasformazione, di un passaggio a una fase nuova che è problematica sia per la Russia sia per il resto di un mondo, la cui interconnessione determina un destino comune e non consente più contrapposizioni radicali di tipo assoluto. Non solo Russia e Occidente europeo sono compresenti l’una nell’altro, ma tutti i punti cardinali, assunti nel loro significato profondamente storico e non puramente geografico, costituiscono le direzioni di un’attività unificata e insieme articolata di quell’entità astratta e insieme concreta che è l’umanità. Umanità non come dato biologico ma come compito culturale di unificazione pur nelle insuperabili diversità continentali, nazionali, locali di civiltà e di religione.
In questo nuovo mondo complesso e turbolento, ricco di contraddizioni e povero di soluzioni, sovraccarico di antichi valori inoperanti e incapace di nuovi valori attivi la Russia è una parte tra le altre e forse la sua cultura, se rinascerà dal deserto totalitario, potrà portare un particolare contributo di nuova universalità dialogica grazie alle stesse tragiche contraddizioni del suo passato occidentale-orientale che ha fatto di essa il concentrato esplosivo della civiltà europea in un tempo crisi e di rinnovamento.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 2.12.1991 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. Vittorio Strada, nato a Milano nel 1929, è ordinario di lingua e letteratura russa all’Università di Venezia. Dirige la rivista Rossija/Russia e l’Istituto italiano di cultura a Mosca.