La virtù dell’anima salute per il corpo

Ogni giorno veniamo a sapere di nuove scoperte per curare i nostri mali ed i mezzi per farlo diventano sempre più sofisticati. Di ciò non possiamo che rallegrarci; e tuttavia noi siamo divenuti sempre più insicuri e ci sentiamo corrosi dal malessere, insidiati da un «male oscuro» che ci debilita anche fisicamente e ci dispone alla malattia. Questa è la situazione paradossale dell’uomo contemporaneo: la ricerca scientifica più avanzata nel campo della medicina ha avuto uno sviluppo superiore ad ogni previsione, ma ad esso si accompagna uno spaventoso disorientamento spirituale. Il vuoto di valori, la perdita di senso della vita stessa ha un esito terribile: le malattie dell’anima generano le malattie del corpo e l’assenza di una vera «cura dell’anima» prolunga l’efficacia distruttiva delle malattie che sconvolgono la vita del corpo. Alcuni anni fa il filosofo Hans Georg Gadamer – che da giovane era stato colpito da poliomelite e che guarì curandosi da solo senza medicine – aveva affrontato il problema in “Dove si nasconde la salute” (ed. Raffaello Cortina, Milano). Oggi la stessa domanda se la pone il maggiore degli antichisti italiani, Giovanni Reale, autore di uno splendido volume – “Corpo, anima e salute. Il concetto di Uomo da Omero a Platone” – pubblicato anch’esso da Cortina.
Il discorso di Reale è semplice, documentato, ma non rivolto esclusivamente agli specialisti; ne risulta una lettura avvincente, in cui spaccati di storia del pensiero greco e citazioni illuminanti sono collegati di continuo alle risonanze che hanno avuto nelle teorie posteriori e nella sensibilità del nostro tempo. La prima domanda che sorge spontanea è questa: se l’uomo non è pensabile se non nella sua unità globale di corpo e anima, comunque poi la si spieghi dal punto di vista metafisico, si può curare veramente il corpo senza occuparsi anche dell’anima del malato? E questa domanda rinvia ad un’altra: che cos’è l’anima, la psyche, e come nell’Occidente si è arrivati alla sua elaborazione concettuale? Il punto di partenza va cercato nei poemi omerici, anche se in essi mancano quasi completamente il concetto di corpo e di anima. Soma e psyche hanno anzi un significato esattamente contrario a quello che assumeranno a partire dal V secolo: soma significa, infatti, per Omero non l’organismo vivente ma quello morto, ossia il cadavere, e psyche significa non il principio vitale del sentimento e del pensiero, ma “il fantasma del morto”, privo ormai di vita, di sensibilità e d’intelligenza.

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Al centro del lungo viaggio sta l’intuizione rivo1uzionaria di Eraclito espressa – nel frammento 45: «I confini della psyche non li potrai mai raggiungere per quanto tu proceda innanzi nel percorrere le sue strade, tanto è profondo il suo rapporto con il logos». Bruno Snell ha chiarito le novità straordinarie che comporta il concetto di «profondità» che Eraclito attribuisce al logos e qui non posso che rinviare a quella sua celebre pagina riportata per intero dal Reale; tuttavia tutti concordano nel riconoscere che il punto di arrivo dell’indagine greca sull’uomo è contrassegnato da Socrate e Platone. Con Socrate l’uomo prende coscienza di ciò che egli è e di ciò che il logos esige; con lui il bisogno più urgente e difficile da soddisfare, quello di conoscere se stessi, diventa il vero tema della formazione della personalità e della ricerca filosofica. Con Socrate l’anima non è una sorta di misterioso secondo «io», o un frammento anonimo del cosmo, ma la realtà che s’identifica con la nostra stessa coscienza. Con Socrate qualcosa di nuovo è entrato nella storia dell’umanità ed è la scoperta del mondo interiore. Quello che colpisce è che quando Socrate pronuncia la parola «anima», vi pone sempre come un fortissimo accento e sembra avvolgerla in un tono appassionato ed urgente, quasi di evocazione. «Labbro greco non aveva mai, prima di lui, pronunziato così questa parola», scrive Werner Jaeger. Qui per la prima volta nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che noi ancora oggi chiamiamo con la stessa parola, anche se gli psicologi moderni non associano ad essa la nozione di sostanza reale. La parola «anima» per noi, grazie alle correnti spirituali per cui è passata nella storia, suona sempre con un accento etico o religioso, come espressioni quali «servizio di Dio» e «cura dell’anima»; ma questo alto significato, essa lo ha preso per la prima volta con Socrate.

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In piena sintonia con queste idee il maggiore dei filosofi cechi del XX secolo, Jan Patocka, individua nel suo lavoro più organico – “Platone e l’Europa”, edito da Vita e Pensiero nel 1997 – la componente primaria dell’ identità europea precisamente nella «cura dell’anima», da cui nasce il dovere di opporsi a ciò che impedisce la libera espressione di sé e il formarsi di una consapevolezza critica sia del mondo in cui si vive, sia delle responsabilità che competono ad ogni singolo. «Questo lascito socratico ha determinato – scrive Patocka – la specificità dell’Europa: unicamente in Europa la filosofia è nata come appello al risveglio, per cui l’uomo si libera dalla tradizione per entrare nel presente. Ciò è accaduto solo in Europa, o più precisamente in ciò che è stato il germe dell’Europa, la Grecia». Ciò che è singolare, e che va posto nel dovuto rilievo, è che alle considerazioni terapeutiche, ampiamente illustrate nel volume del Reale, il pensiero greco non giunge a partire da esigenze del corpo, ma dalla vita dell’anima. La stessa nozione di corpo emerge dalla riflessione sulla natura di quel principio vivente ed eccezionale che è la vita del pensiero e degli affetti e si staglia sullo sfondo di quella conoscenza di sé che inizia come un interrogarsi sull’ anima.
L’unità psicofisica non è un’ acquisizione che nasce da un contrasto fra l’anima ed il corpo, ma da una consapevolezza intuitiva, dalla percezione che l’unità dell’uomo esige sempre un’attenzione, un’ apertura al suo centro interiore, all’anima chiamata a costruire giorno per giorno anche la salute del corpo. Il corpo compare in tal modo sullo sfondo della comprensione dell’ anima ed è agendo sull’anima che si può stabilire sempre di nuovo l’armonica composizione tra le parti, contribuendo a guarire disarmonie, e dunque malattie. Molte sono le esemplificazioni che Platone offre di questi concetti essenzialmente socratici, e molti sono pure i temi svolti in questo libro che possono interessare i lettori (la salute del corpo secondo Platone, Platone e la psicoanalisi, il superamento del dualismo nel “Simposio” e nei dialoghi della vecchiaia, ecc.), ma non è questo il posto per parlarne. Chiudo anch’io questa nota introduttiva alla lettura di “Corpo, anima e salute” con la citazione con la quale il Reale suggella la sua appassionante ricerca. È tratta dalla “Repubblica” di Platone (III, 403 d): «Non mi risulta che un corpo in buona forma possa rendere buona l’anima in grazia della propria virtù, viceversa un’anima buona, per la sua stessa virtù può perfezionare il corpo in misura straordinaria. E tu che ne dici?».

Giornale di Brescia, 25.10.1999. Articolo scritto in occasione della conferenza di Giovanni Reale su “Corpo, anima e salute secondo Platone”.