L’amministrazione della giustizia in una democrazia avanzata

Martedì 23 aprile 2004 nella Sala Bevilacqua di via Pace 10 a Brescia, ore 20,45, Federico Stella, ordinario di diritto penale nell’Università Cattolica di Milano, autore del libro Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime e Mino Martinazzoli, avvocato, hanno parlato sul tema: “L’amministrazione della giustizia in una democrazia avanzata”. L’incontro è stato promosso dalla Associazione avvocato Pietro Bulloni e dalla Ccdc.

Federico Stella. Nato in un paesino del trevigiano, Sernaglia della Battaglia, nel 1935, Federico Stella compie i suoi studi liceali al Collegio S. Pio X di Treviso, conseguendo la maturità nel 1953. Vince una borsa di studio all’Università Cattolica e si trasferisce a Milano, dove si laurea in giurisprudenza nel 1958. Si dedica poi alla ricerca scientifica e nel 1966 consegue la libera docenza in diritto penale. Vince, come primo ternato, il concorso di diritto penale nel 1970. Insegna due anni all’Università di Catania e viene poi chiamato all’Università Cattolica, alla prima cattedra di diritto penale, di cui rimane titolare fino alla prematura scomparsa, nel luglio del 2006. Numerosissime sono le sue pubblicazioni scientifiche: tra le più importanti, vanno ricordate le monografie su “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale” (Milano, II ed., 2000) e su “Giustizia e Modernità” (Milano, III ed., 2003), autentiche pietre miliari del dibattito penalistico recente, nonché il volume “La giustizia e le ingiustizie” (Bologna, 2006), che rappresenta l’ultima e più profonda riflessione di Federico Stella sul tema del male e sulle possibili risposte che il diritto, e in special modo il diritto penale, può fornire a tale problema. Tra le pubblicazioni appena citate, “Giustizia e Modernità” si segnala altresì per il fatto di essere l’opera prima della collana “I temi della modernità” che, ideata e diretta da Federico Stella, ha affrontato, grazie al contributo di molti studiosi, alcuni tra i temi più scottanti del dibattito attualmente in corso tra gli esperti del diritto penale. Dal rapporto tra “Etica e mercato”, oggetto dell’importante monografia di Cristina De Maglie, al problema della “Normalità dei disastri tecnologici”, affrontato dall’indagine di Francesco Centonze, il panorama dei temi della modernità spazia fino ad abbracciare i fondamenti stessi della pena (con la rivoluzionaria opera di Kiran Bedi, dal titolo “La coscienza di sé”) e questioni d’importanza capitale quali il ruolo delle prove statistiche nella prassi giudiziaria (oggetto dello studio di Benito Vittorio Frosini “Le prove statistiche nel processo civile e nel processo penale”). Più di recente, con la monografia intitolata “I saperi del giudice”, è stato affrontato il rapporto tra la causalità e il ragionevole dubbio, grazie anche al contributo di due celebri studiosi americani come Richard Wright e Laurence Tribe. Tale rapporto è stato nuovamente analizzato da Federico Stella nel volume “Il giudice corpuscolariano”, che ha aperto la strada ad una rinnovata riflessione sulle regole probatorie e di giudizio del processo penale, prese approfonditamente in esame nella pubblicazione italiana del celebre volume di Alan Dershowitz dal titolo “Dubbi ragionevoli”. Infine, l’indagine di Francesco D’Alessandro sul tema “Pericolo astratto e limiti-soglia”, in corso di pubblicazione nella sua edizione definitiva, affronta il tema dell’anticipazione della tutela penale, nel perenne sforzo di costruire un giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza della collettività e i diritti di garanzia di ogni individuo. Federico Stella ha inoltre diretto una importante collana di criminologia, politica criminale e diritto penale, che ha consentito di far conoscere in Italia opere straniere di straordinaria importanza, prime fra tutte “La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel” – una raccolta di saggi sul problema del male e contro l’idea retributiva della pena – e “Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita” del teologo austriaco Eugen Wiesnet che, attraverso una moderna esegesi delle fonti Bibliche – che si contrappone ad una interpretazione secolare – illustra l’idea di giustizia divina come “giustizia del primo passo”. Infine, assieme ad Alberto Crespi e Giuseppe Zuccalà, ha diretto il Commentario Breve del Codice Penale (Padova, V ed., 2008) e ha svolto per moltissimi anni un’intensa attività professionale, che lo ha visto protagonista di alcune tra le più importanti vicende della storia giudiziaria italiana (dal crac del Banco Ambrosiano al disastro di Stava, dall’inchiesta “Mani Pulite” al processo sul Petrolchimico di Porto Marghera). Nell’aprile 2005 Federico Stella ha avviato il progetto “Stella Homes 4 Tsunami” che, portato avanti dalla famiglia dopo la sua scomparsa, ha consentito la ricostruzione di un intero villaggio di pescatori nello Sri Lanka. (https://centridiricerca.unicatt.it – 2019)

Fermo Mino Martinazzoli (Orzinuovi, 30 novembre 1931 – Brescia, 4 settembre 2011) è stato un politico italiano, più volte ministro della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana. Fu senatore dal 1972 al 1983 e dal 1992 al 1994, e deputato dal 1983 al 1992. Martinazzoli, frequentato il liceo classico Arnaldo a Brescia, si laurea in giurisprudenza come alunno dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, ed esercita la professione di avvocato. Comincia poi la sua attività politica nel suo paese natale, Orzinuovi, nella bassa bresciana, come assessore alla Cultura. A partire dagli anni sessanta-settanta si afferma nelle file della Democrazia Cristiana di Brescia. Entra a far parte del consiglio provinciale e diviene presidente dell’amministrazione provinciale dal 1970 al 1972. Nel 1972 è eletto senatore, e contemporaneamente è consigliere comunale e capogruppo dello Scudo Crociato al comune di Brescia. Dopo vari anni al senato il salto di qualità avviene nel 1983, quando diventa ministro della Giustizia, incarico che ricopre per 3 anni, fino al 1986. Dal 1986 al 1989 si conferma uno tra i più importanti dirigenti democristiani, essendo eletto presidente dei deputati DC. Nel 1989-90 torna a fare il ministro, questa volta alla Difesa (sua la storica decisione di equiparare in termini di durata il servizio militare a quello civile). Si dimette però (insieme ad altri ministri della sinistra democristiana: Sergio Mattarella, Riccardo Misasi, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani) in seguito all’approvazione della legge Mammì, che regolamentava il sistema televisivo italiano e che riteneva inadeguata. Nel 1991-92 è invece ministro delle Riforme Istituzionali e degli Affari Regionali nel settimo governo Andreotti. Il 12 ottobre 1992, con la Democrazia Cristiana travolta da Tangentopoli, è eletto per acclamazione dal Consiglio Nazionale segretario del partito, col compito non facile di salvare la DC e farla uscire dalla crisi. Martinazzoli è scelto col consenso di tutti, per la sua reputazione di uomo onesto e anche perché settentrionale, proveniente da una terra (il Bresciano) in cui avanza minacciosamente il fenomeno delle “leghe” e la protesta contro i partiti e la politica. Con inevitabili difficoltà, deve fare i conti col terremoto politico degli anni 1992-94: la crisi profonda del pentapartito, i problemi gravi del risanamento finanziario del paese, l’avanzata delle leghe, l’approvazione per referendum del nuovo sistema elettorale maggioritario, l’avanzata delle sinistre alle elezioni amministrative del 1993 (con la conquista di città come Roma, Napoli, Trieste, Venezia, Genova), e soprattutto la discesa in campo di Silvio Berlusconi e lo “sdoganamento” della destra missina. Alle prese con un partito in crisi e sempre più diviso sulle scelte da compiere, Martinazzoli sceglie la via dello scioglimento della Democrazia Cristiana (in realtà senza mai nessuna delibera del Consiglio Nazionale del partito), considerando esaurita, nella nuova stagione politica, la forza trainante del partito di Alcide De Gasperi. Nel 1993 assume quindi i pieni poteri, lanciando la proposta di costituire, sulle ceneri della DC e in continuità ideale con essa, ma in discontinuità di classe dirigente, il nuovo Partito Popolare Italiano, che riprenderà il nome del partito che fu fondato da don Luigi Sturzo. Nel nuovo sistema maggioritario Martinazzoli colloca il PPI in una posizione di centro, alternativo sia alla sinistra dei progressisti sia alla destra missina e alla Lega. Dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel gennaio del 1994, Martinazzoli manifesta distanza e freddezza nei confronti del Cavaliere, rifiutandosi d’allearsi con lui. Questa linea di centro, equidistante dai progressisti e dall’alleanza di centrodestra che si andava profilando tra Berlusconi, Fini, Casini e Bossi, lo porta a scontrarsi, nel partito, coi fautori di un’alleanza a sinistra o a destra. Alle elezioni politiche del 1994 Martinazzoli s’impegna nella costruzione di un polo autonomo di centro con le culture riformiste, liberali e repubblicane. Trova un alleato in Mario Segni, col quale fonda la coalizione del Patto per l’Italia, che si presenta in tutti i collegi di Camera e Senato contro i candidati della sinistra (i progressisti) e della destra (il Polo delle libertà o Polo del Buon Governo). Aderiscono all’alleanza di centro anche i repubblicani di Giorgio La Malfa, i liberali di Valerio Zanone e un gruppo di ex socialisti e socialdemocratici guidati da Giuliano Amato. Martinazzoli non si candida alle elezioni e chiede a molti notabili democristiani di fare lo stesso, per favorire il rinnovamento della cultura democratico-cristiana nel nuovo Partito Popolare. I risultati delle elezioni sono tuttavia deludenti: il Patto per l’Italia ottiene pochissimi collegi maggioritari (solo 4 alla Camera: 3 nell’Avellinese con Gianfranco Rotondi, Antonio Valiante e Mario Pepe e uno in Sardegna con Giampiero Scanu), e le liste del PPI nella parte proporzionale raccolgono un modesto 11%, un terzo dei voti della vecchia DC. I seggi ottenuti non consentono nemmeno di essere ago della bilancia in Parlamento, dove si afferma l’alleanza di centrodestra guidata da Berlusconi. Dopo le elezioni Martinazzoli si dimette da segretario e annuncia l’intenzione di abbandonare la politica attiva.
Nell’autunno successivo (del 1994), tuttavia, pressato dalle richieste di molti e preoccupato della nuova alleanza di centrodestra al potere, accetta di candidarsi a sindaco di Brescia in una coalizione di centrosinistra (col sostegno del PPI e del PDS), prefigurando quell’alleanza che, col nome di Ulivo, qualche mese dopo Romano Prodi estenderà a tutta l’Italia. Vince al ballottaggio la sfida contro Vito Gnutti. Guida il comune cidneo per l’intera consiliatura, fino al novembre del 1998, quando decide di non ripresentare la propria candidatura. Nello scontro che vede nel 1995 il PPI diviso tra un’ala favorevole alla coalizione di centrosinistra (guidata da Gerardo Bianco) e un’ala favorevole all’alleanza con Berlusconi (guidata da Rocco Buttiglione), Martinazzoli si schiera con Bianco. Nel 2000 accetta di candidarsi alla presidenza della regione Lombardia in una sfida difficile contro il presidente uscente Roberto Formigoni, sostenuto anche dalla Lega. Il risultato è deludente: sostenuto da tutto il centrosinistra (inclusa Rifondazione Comunista, ma non i Comunisti Italiani), ottiene solo il 32% dei consensi. S’impegna comunque come consigliere regionale fino alla scadenza naturale del mandato (2005) nel gruppo “Centro-sinistra, PPI, la Margherita”. In occasione delle elezioni politiche del 2001 dà il suo sostegno alle liste della Margherita, ma nel 2002 non condivide lo scioglimento del Partito Popolare Italiano e la sua confluenza nella lista rutelliana.
Nel 2004 si schiera a fianco di Clemente Mastella, e è nominato presidente dell'”Alleanza Popolare-UDEUR”, sempre con l’obiettivo di mantener viva una presenza autonoma del cristianesimo sociale e democratico nella politica italiana. Successivamente si dimette dall’incarico, preferendo una posizione più lontana dai riflettori. Nel 2006 s’impegna attivamente nel comitato per il NO nel referendum costituzionale del 25 e 26 giugno, manifestando forti critiche verso la riforma costituzionale approvata dal centrodestra. Nel 2009, in occasione del referendum sulla legge elettorale, si schiera per l’astensione, insieme ad altri esponenti del centrosinistra bresciano. (www.wikipedia.org)

FEDERICO STELLA
Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio Vescovile Pio X di Treviso si iscrisse all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum. Divenne professore di diritto penale nel 1970, dapprima nell’Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso l’Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa, avvenuta nel 2006.
I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato. Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale” (1975), monografia in cui Stella ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi: solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.

Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l’ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale.

Propose, attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, che la regola di giudizio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” trovasse applicazione anche nel pocesso penale italiano. Dapprima avversato da parte della Dottrina processual penalistica, il principio venne accolto – in tema di nesso causale – dalla Corte Suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite.

Diresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.

Nei successivi decenni gli interessi scientifici di Stella si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto.

Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.
(www.wikipedia.org)