L’anno dell’attenzione

Tematiche: Letteratura

Marta Perrini: Per il ciclo “riflessioni per tempi incerti”, il secondo ciclo delle video-pillole della CCDC siamo qui oggi con Franco Arminio, poeta e paesologo. Ricordiamo soltanto gli ultimi due libri usciti “Cedi la strada agli alberi” del 2017 e “L’infinito senza farci caso” del 2019. Innanzitutto, grazie Franco di essere con noi. Ci tenevamo molto ad avere il tuo punto di vista di poeta, di uomo e di paesologo. Per iniziare ti chiederemmo anche il tuo punto di vista sulla cultura in Italia, sulla cultura di oggi e quella di domani. Sappiamo che il significato etimologico di cultura deriva da “colere” coltivare; in questo periodo, forse, c’è stato più tempo per coltivare pensieri e riflessioni. Sicuramente, per qualcuno, per altri magari no e al tempo stesso è stato un tempo piuttosto complicato per gli operatori culturali: pensiamo alle case editrici, alle librerie, ai teatri. È stato un tempo di profonda crisi economica, sicuramente. Speriamo che in questa crisi si affacci anche il significato etimologico: crisi come scelta, come decisione, anche se in questo momento, senza dubbio, sono principali le difficoltà. A te vorremmo chiedere come sarà la cultura di oggi e di domani, di questi mesi, e se cambierà qualcosa.

Franco Arminio: Purtroppo, la vicenda tragica della malattia è ancora in corso, ogni giorno ancora muoiono tante persone. La cultura, il lavoro, tutti i vari aspetti della vita, dipenderanno molto anche dall’evoluzione della malattia, da un eventuale ripresa e quant’altro. Sicuramente, in questo momento, la cultura è uno degli ambiti della vita nazionale che sta soffrendo di più. Io sono una di quelle persone che incontrava gente in tutta Italia e non so quando potrò riprendere questo scambio, che era molto bello, molto importante. Io spero, credo, che ognuno ha camminato un po’ dentro di sé in questi mesi, non potendo camminare all’esterno. E spero che tutti abbiamo capito che c’era qualcosa di superfluo, qualcosa di eccessivo, non solo nella vita in generale della società ma anche della nostra vita: c’è una quota di superfluo, secondo me, a cui possiamo rinunciare. Questa credo sia, essenzialmente, la lezione che mi riguarda direttamente, ma forse riguarda molte persone, non tutte. Secondo me, la cultura deve aprire un conflitto – democratico, civile, ovviamente – con chi altre visioni della società, per affermare la cittadinanza della propria visione, non per sostituirla ad altre. C’è bisogno della fabbrica e c’è bisogno della polizia, c’è bisogno dell’Industria e dell’agricoltura. Io sono per una cultura che si batte, che combatte per una modernità plurale, per una modernità che non sia con una sola direzione. Se la cultura fa questo lavoro, ha un senso nel tempo che sta per venire, altrimenti, secondo me, la possiamo ascrivere semplicemente a una variabile delle varie forme di consumo. Io credo che, invece, la cultura debba avere una funzione un po’ più particolare, quella che provavo a ritagliare prima.

 Marta Perrini: Mi pare di capire, che per questa tua visione, la poesia avrà un ruolo, se così si può dire, ancora più importante, rispetto a qualche tempo fa.

Franco Arminio: Sì, Io direi che la poesia è una sorta di sentinella del sacro. Noi abbiamo bisogno di intensità. Abbiamo bisogno di lavoro, ovviamente, di regole. Questo lo sappiamo. Però, abbiamo anche bisogno di intensità, di sacro, di senso. Direi pure che abbiamo bisogno di Dio, in qualche modo. La poesia è un po’ vicina a queste cose, è vicina alle cose grandi della vita: alla nascita, alla morte, al dolore, all’amore. Quindi, secondo me, è uno strumento umano prezioso. Nel tempo che verrà, sarà particolarmente prezioso scrivere, ma soprattutto leggere poesie e, soprattutto, incontrare nel proprio animo i poeti. Io credo molto alla “farmacia della poesia”: la lingua poetica può curarci i guasti che i farmaci tradizionali non riescono a curare.

 Marta Perrini: Se non ricordo male stai proprio lavorando anche a una raccolta che si intitola…

Franco Arminio: “Farmacia Nuova” dovrebbe chiamarsi il libro; l’altra ipotesi è “Piccola farmacia tascabile”. Comunque c’è la parola “farmacia” dentro proprio per dare quest’idea che la lingua può essere un farmaco. Io ci credo fermamente e lo so per esperienza personale: tante volte, leggendo un libro o cominciando a leggerlo con un senso di malinconia, di angoscia, andando avanti nella lettura ho visto che stavo meglio, che questo libro mi apriva il petto. Quindi, dobbiamo dare fiducia alla poesia. Non dobbiamo dare confidenze a chi non ha confidenza con la poesia.

 Marta Perrini: Nella tua poesia “Abbiamo bisogno di contadini”, che è inclusa nel volume “Cedi la strada agli alberi”, hai toccato temi di grande attualità che, in particolare in questi giorni, hanno risuonato. Vorremmo chiederti di leggerla e, se puoi, anche spiegarcela.

Franco Arminio:

Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.

Questa poesia, forse, dice un po’ le cose che dicevo anche prima: questa alternativa tra il mondo della crescita a tutti i costi e quello dell’attenzione. Soprattutto nelle zone più colpite dal virus, che sono zone molto operose, con una grande tradizione appunto industriale, bisogna ragionare bene su qual è il limite che si deve dare a questa attività, che, ripeto, è fondamentale, ma quando confligge con la salute, evidentemente, bisogna ragionare qual è la soglia da non superare. Io sono convinto che per esempio la qualità dell’aria, aldilà del virus, debba essere considerata come un fattore molto importante: in un qualunque territorio deve essere buona. Se l’aria comincia a diventare veleno, bisogna ragionare su che cosa debba essere fatto in quel territorio. Io ho quest’idea, che vale ovviamente per la Lombardia, ma per qualunque altra zona d’Italia e del mondo. Noi respiriamo tutti i giorni non è che respiriamo due volte al giorno. Quindi, respirare veleno ovviamente ci predispone a una serie di malattie. Deve esserci un ripensamento dell’attività industriale, ma di tutte le attività dell’Occidente complessivamente. A me sembra che l’occidente abbia un po’ esagerato in questo sforzo, anche ammirevole, di produrre, crescere, ampliare le possibilità. Ma questa cosa accade sempre a dispetto di qualcun altro: degli animali, della natura e, in questo momento, anche a dispetto noi stessi. E, quindi, questa poesia un po’ esprime questo bisogno di lentezza, questo bisogno di prudenza, di affiancare all’ottica della crescita quella dell’attenzione.

 Marta Perrini: Questo dell’attenzione è un tema che ci interessa molto. A partire da qui, vorremmo chiederti innanzitutto che cosa significa essere “paesologo”, così come ti definisci, e, a proposito di attenzioni, se ritieni che i piccoli borghi italiani, così spesso dimenticati da un turismo ormai sempre più massivo, quest’estate possano ottenere un qualche beneficio dalla situazione tragica che abbiamo vissuto.

Franco Arminio: “Paesologo” è un po’ il contrario di “paesanologo”, non è lo storico locale, che si occupa del suo paese e del passato del suo paese. Il paesologo si occupa di tutti i paesi e del presente e dell’avvenire di questi paesi; creature che spesso non hanno attenzione neppure da parte di chi li abita. In Italia, veniamo da decenni di disattenzione verso questi paesi. Non a caso, si chiama “Italia minore” (che poi non è affatto minore). Ora, questa vicenda del virus sembrerebbe aprire delle prospettive nuove per i paesi, se non altro perché il paese non dà il problema del distanziamento sociale, perché sono talmente rarefatti questi posti, talmente poco abitati. Io credo che quest’estate almeno alcuni paesi – quelli più organizzati, più attrezzati – potrebbero avere un giovamento. Però, occorrerà per il futuro, a parte quest’estate, fare delle politiche specifiche per riportare una parte di italiani dalle coste, dalle pianure, alle colline, alle montagne. Questo è un grande progetto politico che dovrebbe impegnare l’Italia e, ovviamente, è una cosa che non si realizza in un anno o due, ma ci vorranno 20-30 anni. Però, secondo me, è un processo da fare adesso che possiamo scegliere, prima che diventi inevitabile perché le pianure magari, a un certo punto, collasseranno. Quindi, la questione di paesi non è una questione solo per paesologi, non è un fatto per anime belle alla ricerca della natura. È una cosa importantissima e ne va della sopravvivenza di tutti gli italiani. Gli italiani devono distribuirsi. L’Italia è molto piccola, però, ha delle zone troppo densamente abitate e altre troppo poco densamente abitate, è evidente. La forma del paese, secondo me, è la forma ideale per abitare il mondo. Non il paese come luogo di grettezza, come luogo abitato dagli scoraggiatori militanti, come luogo chiuso. Non la comunità a pozzanghera, ma la comunità a ruscello. Bisogna arieggiare i paesi, portare gente nuova, residenti forti, gente che ha entusiasmo, che ha che ha voglia di stare il paese. Il problema del paese non è tanto lo spopolamento, ma la sfiducia di chi è rimasto. Questa è la grande azione culturale e politica da fare per ridare fiducia a chi abita i paesi e per incentivare quelli che stanno in città, che ci stanno di malavoglia e che potrebbero vivere meglio nel paese.

 Marta Perrini: Come scrive Franco Arminio le sue poesie?

Franco Arminio: Spesso le scrivo di notte, sfruttando le mie insonnie, il mio reflusso esofageo. E scrivo da tanti anni, sono un grafomane. Scrivo da quando avevo 15 anni. Quello che ho pubblicato è il 2 per 1000 di quello che ti ho scritto. È l’unica compagnia vera che ho: quando sto male, mi rifugio nella scrittura. Siccome sto male molto spesso, scrivo molto spesso.

 Marta Perrini: Un’ultima domanda: vorremmo chiederti di leggere altre due poesie a tua scelta.

Franco Arminio: La prima è un auspicio. L’ho scritta un paio di anni fa:

Quando nessun essere umano ti cerca

accarezza un albero,

bevi a una fontana,

guarda le cose che stanno

nel mondo

come se il tuo sguardo potesse salvarle.

Esci, cammina,

ricordati che prima di morire

puoi fare cose impossibili,

impensate.

Sono tornati i miracoli.

Quest’altra l’ho scritta, invece, nei giorni del coronavirus. Si chiama “Sono giorni preziosi”:

Tutto ciò che non era nostro
è caduto, ora dobbiamo vivere
con ciò che ci resta,
ora sappiamo che la vita è enorme
anche quando è silenziosa e ferma.
Il sacro è tornato, è sacro
scrivere una lettera aspettare un abbraccio
alla fine di questa sventura, parlare d’amore,
accompagnare qualcuno nel fiordo
della tua paura.
Sono giorni rari, sono giorni preziosi,
facciamo qualcosa per meritarceli,
in fondo è un privilegio essere qui,
ognuno a casa sua
ma tutti assieme nella casa del mondo.

Questo è un auspicio a usare bene queste giornate. Devo dire che quando ho scritto questa poesia ero più speranzoso, negli ultimi giorni sono un po’ non dico sfiduciato, ma ho qualche paura che questa famosa ripresa si risolva sostanzialmente in un ritorno alla normalità, e secondo me questo sarebbe un errore. Bisogna approfittare di quello che è successo per provare almeno a correggere qualcosa nella nostra organizzazione sociale, ma anche nella scelta di vita che ogni individuo fa. Questo è il mio ufficio, ma ovviamente il mondo non lo guido io: è la risultante di tante persone, di tante scelte e, sicuramente, chi ha posizioni di responsabilità in questo momento non mi lascia ben sperare. Mi pare che ci siamo orientati a un semplice ritorno alla normalità e per me non va bene.

 Marta Perrini: Forse quello che possiamo fare è un po’ quello che scrivi tu: cercare di essere “custodi del Sacro”, cercare di avere attenzione verso ciò che è minimo, eppure infinitamente importante, e portare avanti così ognuno la propria piccola rivoluzione personale.

Franco Arminio: Sì, io credo che alla fine piuttosto che invocare chissà quale trasformazione, ognuno di noi può ingentilire il mondo, piuttosto che biasimarlo. Biasimare il mondo è un esercizio molto facile, trovare il difetto, il guasto è molto facile È più difficile, anche in modo silenzioso, anonimo, prendersi cura di un piccolo pezzo di mondo. In questo modo si cambia veramente il mondo, perché io credo che noi non dobbiamo consegnarci all’impotenza. Ogni individuo è centro e in realtà è questa la vera sacralità: l’attenzione alla vita ordinaria, alle cose ordinarie, l’attenzione al minimo e al minore. Sembrano cose che non nota nessuno, ma poi perché non le nota nessuno sono le cose che, in realtà, cambiano il mondo. Il resto è tutta schiuma, è tutta superficie, sono tutti effetti speciali, che poi alla fine lasciano le cose come erano. Invece, questi piccoli gesti fanno delle mutazioni piccolissime, ma durature. Io voglio credere che la bontà c’è ancora, che è semplicemente un po’ disoccupata; che i buoni ci sono ancora, ma sono attori non protagonisti. Bisogna invogliare i buoni a federarsi, a essere più visibili e, quindi, a prendere fiducia reciprocamente. Uno dei problemi della bontà è la luce che è circondata dal buio: queste piccole fiammelle di luce rischiano di spegnersi per sfiducia, per scoramento. Dobbiamo federare le nostre luci.

 Marta Perrini: Sai già dirci quando uscirà il tuo prossimo libro?

Franco Arminio: Non lo so. Dovrebbe uscire o a fine giugno o a fine agosto, inizio settembre. Comunque sarà un libro farmaceutico. Spero che qualche lettore, leggendo quel libro, abbia un qualche motivo di consolazione. La letteratura è anche chiamata a consolare. È un gesto nobile consolare gli afflitti. Bisogna riabilitare questa parola che è tipica dell’ambito religioso, ma non dobbiamo aver paura di pronunciare. C’è una differenza poi fra la letteratura consolatoria e la letteratura consolante. Vorrei che questo libro avesse un po’ il significato di una stretta di mano, altro gesto che, sembra incredibile, in questo periodo non possiamo fare.

Nota: Testo non rivisto dall’Autore.