Le teologia della liberazione

Prima di parlare di libertà si dovrà parlare di liberazione e prima di parlare di liberazione bisognerà ascoltare il grido alla libertà. Iniziamo, quindi, con questo grido dal profondo, “de profundis”.

Il grido alla libertà oggi attraversa il mondo intero, ovunque troviamo i segni di una rivoluzione, di aspettative crescenti ed allo stesso tempo di una più profonda sensibilità per la sofferenza. Speranza e sofferenza sono fra loro congiunte: infatti, soltanto dove la libertà ci è venuta vicina le catene incominciano a soffrire, soltanto dove altri si sono liberati da un’oppressione secolare si comprende che i fallimenti che finora erano stati accettati mutamente non sono un destino, ma possono essere superati. La fame di liberazione si delinea sempre dove la sofferenza muta diventa dolore consapevole. L’apatia silenziosa si tramuta allora in una chiara protesta e il silenzio viene spezzato, la vita viene di nuovo amata.

Di che cosa soffrono gli uomini? Soffrono dello sfruttamento economico dell’uomo, ad opera dell’uomo, e invocano una giustizia sociale. Soffrono per l’oppressione politica dell’uomo, ad opera dell’uomo, e combattono per il riconoscimento politico della loro dignità di uomini. Gli uomini soffrono per l’estraniazione culturale dell’uomo attraverso il razzismo e il patriarcalismo, e si interrogano sulla pienezza del vivere umano nella solidarietà reciproca. Gli uomini soffrono per il vuoto della loro vita personale che scompare senza lasciare tracce nei computer di una società burocratica e sono alla ricerca di un’identità personale inconfondibile. Nel, con, e sotto il capitalismo, le dittature, il razzismo, il patriarcalismo e il nichilismo, gli uomini soffrono infine per quell’angoscia profonda che li rende così aggressivi nei confronti di altri uomini. Infatti gli uomini soffrono per un amore mancato nei confronti di Dio.

Il grido alla libertà non passa soltanto attraverso il genere umano: esso muove anche la creatura controllata dell’uomo: la natura, il nostro stesso corpo, ci sono diventati estranei. Noi abbiamo reso l’ambiente naturale materia del nostro dominio e sfruttamento. Abbiamo umiliato il nostro corpo, che noi siamo, e lo abbiamo reso a corpo che abbiamo. Abbiamo condannato a morte la natura: per questo – come dice Paolo – anche la creatura vuol rendersi libera dalla schiavitù dell’essere che passa e aspira profondamente alla manifestazione dei liberi figli di Dio. L’invocazione della libertà congiunge quindi il genere umano e la natura in un’unica speranza. Nella loro ostilità esse affonderanno insieme oppure sopravviveranno, in una simbiosi di tipo nuovo.

L’invocazione della libertà non passa, però, soltanto attraverso il genere umano e la natura: è anche il grido proprio di Dio. Nel sospiro di coloro che hanno fame, nei tormenti di coloro che sono in carcere, nella muta morte della natura, geme, ha fame e sospira lo Spirito di Dio stesso. Le tradizioni messianiche del giudaismo e del cristianesimo non parlano di un Dio apatico che troneggia in cielo, avvolto nella sua beatitudine intoccabile. Esse parlano di un Dio che soffre con la sua creatura abbandonata, e soffre perché la ama. Egli soffre con il suo popolo in esilio, soffre con la sua umanità mancata, soffre con la sua creazione asservita, condannata a morte. Egli soffre con loro, per loro e in loro.

Poiché Egli ha creato l’uomo per la libertà, a immagine del suo amore. Ha creato la natura per la gioia, come un gioco della Sua benevolenza.

Per questo motivo attraverso il Suo Spirito, Dio è coinvolto nella storia della sofferenza, è inviluppato nel dolore di questa storia. Il Suo Spirito – come dice Paolo – si riferisce anche a coloro che sono muti e attraverso di loro sospira con gemiti inerarrabili. Così, viene mantenuta in vita la speranza che anima la creatura.

Il grido alla libertà è universale, è la fame dell’uomo, è il bisogno della natura, è il respiro dello spirito divino. Finchè non saranno liberi tutti gli uomini, nemmeno coloro che oggi sono liberi sono veramente tali. Non esiste una felicità perfetta finchè l’uomo non giunge alla natura e la natura non giunge all’uomo, finchè Dio stesso rimane nella sua passione e non è ancora giunto alla Sua gloria, in una creazione nuova, a Lui rispondente, e tutto vive di ciò che è realmente vivente.

Una teologia della liberazione, che sia al tempo stesso realistica e teologica, vede le singole sofferenze che esistono nel mondo sullo sfondo di una storia universale della passione di Dio. Vede anche le liberazioni parziali entro l’orizzonte di una storia definitiva della liberazione di Dio. Così, essa rende la testimonianza della passione di Dio e della volontà liberante di Dio all’interno dei singoli movimenti di liberazione. Dio: ciò che significa libertà.

IL DIO DELLA LIBERTA’

Dalla rivoluzione francese in poi e dalla reazione generalmente conservatrice da parte delle Chiese Cristiane in Europa, per molti uomini l’interrogativo da porsi non era “Dio e la libertà”, bensì “Dio o libertà”. Incominciando da Bakunin fino a Sartre si è argomentato sempre in termini alternativi: o esiste Dio, ma allora l’uomo non è libero, o l’uomo è libero, ma allora non esiste Dio. L’ateismo divenne il presupposto per la liberazione dall’alienazione religiosa, politica ed economica. L’ateismo è diventato il postulato di una moralità adulta: non più l’immagine delineata da Albrecht Durer – le famose mani che pregano – bensì l’altra – i pugni chiusi – divenne simbolo dell’amore di libertà. Che cosa mettere sul calendario dei santi? Cristo o Prometeo? Il servo di Dio o il liberatore dagli dei?

Non si tratta di un problema teoretico. Già nella rivoluzione borghese del 1848 molti di coloro che lottavano per la resistenza spiegarono il Cristianesimo come la religione della libertà e intesero la fede come coraggio di vivere e combattere per una collettività che non conoscesse privilegi. Dopo la repressione dei movimenti borghesi civili per la libertà ad opera delle truppe prussiane l’idea venne però modificata: dal regno di Dio al regno della libertà. Ecco la nuova trinità di una religione d’ordine conservativo; Dio, re e patria. Anche nelle lotte di liberazione che si fanno nel Terzo Mondo si nota ai nostri giorni un analogo sviluppo, molto pericoloso. Ma dovranno proprio i nodi della storia distanziarsi in questi termini: il Cristianesimo con lo sfruttamento e la liberazione con l’ateismo?

Questo interrogativo non viene deciso alla periferia dei nostri problemi e valutazioni come innocentemente si dice. Verrà deciso invece al centro della stessa fede cristiana, nella sua esperienza di Dio. A chi si affiderà allora colui che crede in Gesù? Una prima risposta viene trovata dalle antiche e nuove teologie della liberazione in una tradizione biblica che è stata rimossa perché considerata sovversiva. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe non è il Dio dei Faraoni, dei Cesari e di coloro che tengono schiava la gente, bensì è il Dio che conduce il Suo popolo dalla schiavitù d’Egitto alla libertà della Terra Promessa. Questo Dio definisce se stesso, come il primo comandamento mostra, attraverso la sua opera storica di liberazione: “Io sono il tuo Signore, il tuo Dio, Colui che ti ha liberato dall’Egitto, dalla terra della schiavitù”.

Il popolo che è uscito passando attraverso l’esperienza dell’esodo e che si ricorda di questa esperienza fondamentale, nella sua Festa del Passaggio può celebrare la presenza di Dio e la sua propria libertà soltanto in un unico respiro. Nella comunità di vita con il Dio dell’esodo l’alternativa moderna “Dio o libertà” appare assurda. Dio e la libertà umana qui vengono definite attraverso la negazione reciproca: nell’esperienza dell’esodo l’agire di Dio, al contrario, è la ragione unica e il garante permanente della libertà del popolo. Perciò anche il futuro potere mondiale del Dio dell’esodo potrà essere solo il regno universale della libertà. Ogni altra rappresentazione del potere divino verrebbe a contraddire l’esperienza fatta con l’esodo. Per questo è corretto sostenere che tutte le teologie della liberazione sono teologie dell’esodo.

Ma qualcuno potrebbe chiedere: “le teologie dell’esodo, sono davvero cristiane ?”. Le tradizioni bibliche della libertà nel Nuovo Testamento non sono più deboli e nemmeno più spirituali che nell’Antico, come alcuni ritengono: in verità, invece, sono più vigorose e realistiche. All’esodo del popolo dalla schiavitù del faraone, qui risponde la resurrezione di Cristo dalla morte per la gloria di Dio. Ma chi è Dio? Dio è Colui che ha resuscitato Gesù dai morti: lo si ripete continuamente nel Nuovo Testamento. Questo non significa altro che Dio si è definito definitivamente come quel Dio che ha resuscitato Gesù, come quella potenza che resuscita i morti.

Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento il nome di Dio viene posto in relazione con l’agire liberante che Dio stesso manifesta. L’esperienza fondamentale di Israele sta nella liberazione dall’asservimento politico; l’esperienza fondamentale della cristianità sta nella liberazione dall’asservimento alla morte. Israele rappresenta la liberazione da un tiranno storico: il faraone; la cristianità la liberazione dalla tirannia della storia, dalla forza ineluttabile del male. Il popolo che nell’Eucarestia ricorda la morte di Cristo finchè Egli giunga può celebrare il Dio della resurrezione e la propria libertà soltanto in un unico respiro. Anche ai nostri giorni l’alternativa moderna, “Dio o libertà”, appare come assurda. Il Dio che resuscita è la ragione unica e garante permanente per quella libertà dei figli di Dio verso la quale, secondo Paolo, aspira l’intera creazione asservita. La signoria universale del Padre di Gesù Cristo può venir sperata solo come regno universale della libertà: un altro definitivo compimento dell’esperienza cristiana di fede che non sia l’annientamento di ogni potere, autorità e forza, l’annientamento della morte stessa, fino al momento in cui Dio sia tutto in tutti, non è concepibile. La teologia cristiana della liberazione nel suo nucleo teologico è teologia della resurrezione.

Ora, si pone una domanda molto semplice, che spesso i teologi della liberazione non prendono in considerazione: “chi paga i conti della libertà?”. Secondo la storia dell’esodo il Faraone, il suo esercito e i primi nati in Egitto dovevano morire perché Israele si rendesse libero. Anche quest’aspetto negativo della liberazione, l’annientamento del potere antidivino, rientra nell’esperienza fondamentale di Israele. Quando i profeti, in seguito, prospettarono al popolo nell’esilio babilonese un esodo nuovo e definitivo nella libertà, svilupparono diverse raffigurazioni sul riscatto da pagare per Israele. Si tratta di popoli lontani e della fine di Babilonia. Gli scrittori apocalittici conoscono una battaglia che aumenta fino al punto da assumere proporzioni universali, una battaglia finale che Dio ingaggia contro i suoi nemici e che termina con l’annientamento di tutti questi. Il faraone della storia assume i lineamenti dell’Anticristo, la Babilonia storica diventa la grande prostituta, il caos che esisteva prima della creazione si tramuta nella fiera che sale dagli abissi.

Già nella profezia dell’Antico Testamento troviamo una risposta diversa al problema del sacrificio. Quest’altra risposta la ritroviamo nei cantici del servo di Dio, soprattutto nel 53. Dio invia il suo servo per pagare lui stesso il riscatto per Israele, il prezzo per la libertà. Dio assume su se stesso i pesi e i sacrifici necessari per la liberazione. La libertà di Israele ha la sua radice più profonda nella sofferenza di Dio. Ma il servo di Dio dimostra un altro potere: egli libera in quanto assume su di sé la sofferenza. Attraverso le sue ferite siamo stati sanati. Egli guadagna in quanto si perde “siccome Egli ha dato la Sua vita alla morte, io Gli darò un gran bottino e i grandi e i vigorosi Gli daranno il gran bottino” (Isaia 53). Questa libertà generata dalla sofferenza non è un privilegio e non è nemmeno esclusiva. Soltanto in questo modo Israele può portare la libertà fra i popoli senza esigere sacrifici.

Nel Nuovo Testamento Dio manifesta la sua forza, il suo potere, non nella resurrezione di Gesù dai morti, ma già sacrificando il figlio alla morte in Croce. La resurrezione è quindi soltanto pura libertà, poiché il prezzo della liberazione nel sacrificio di Cristo alla schiavitù viene già pagato alla condanna e alla morte. Sarebbe sbagliato ritenere che la ragione della libertà di fede consistesse nella forza della resurrezione. Si trova invece nella sofferenza dell’amore, in un Dio che si è abbassato. La teologia cristiana della liberazione, quindi, nel suo nucleo, è teologia della Croce. Dio diventa uomo per rendere partecipi gli uomini della libertà divina. Dio si dona perché gli uomini risorgano. Dio sopporta la morte perché noi viviamo.

Riassumiamo in tre brevi frasi questi concetti:

1) Il fondamento della libertà è la Croce di Cristo.

2) La forza della libertà è la resurrezione di Cristo.

3) La verità della libertà è l’amore dello Spirito.

Si danno certo delle liberazioni nella lotta universale per il potere, ma solo facendo pagare agli altri i costi. Si dà anche una liberazione dalla lotta per il potere, solo, però, a favore degli altri. Nella lotta per il potere bisogna dominare i propri nemici; nella lotta contro la lotta del potere bisogna istituire una comunità permanente, perché giusta. Questa poggia sulla libertà che Israele esperimenta nella comunione con il Dio sofferente e poggia nella libertà che la cristianità sperimenta nella comunione del Dio crocifisso.

LA FEDE CRISTIANA E’ UN ESPERIENZA DI FEDE E DI LIBERTA’, NON UNA NUOVA OPPRESSIONE O UNA NUOVA OBBEDIENZA

La fede cristiana si comprende all’origine con l’inizio di una libertà che rinnova la vita e vinca il mondo. Come dice Paolo “Cristo ci ha liberati alla libertà, per cui non lasciatevi mettere sotto il giogo della schiavitù” (Galati 5, 1).

Ovunque un uomo realmente creda, egli esperimenta la propria resurrezione nella libertà della vita eterna in questa vita che conduce alla morte. Cristianamente libertà non significa inserimento nel complesso mondano, come presso i Greci e non significa inserimento neppure capacità assoluta di disporre del singolo o delle corporazioni politiche, né di se stessi, come vorrebbe il liberalismo. La libertà cristiana viene generata dalla resurrezione di Cristo: attraverso la fede l’uomo prende parte alle possibilità inesauribili di Dio. Tutte le cose sono possibili a colui che crede, si dice nel Vangelo.

Questa pienezza inesauribile di possibilità, Dio la manifesta nell’atto creativo della resurrezione del Cristo crocifisso. Credere, quindi, è partecipare all’atto creatore di Dio, al processo della creazione nuova del mondo, da parte dello Spirito di Dio.

Se si intende la libertà come libera scelta del volere, libertà di pensiero e di azione, allora si sottopone all’uomo una sovranità di tipo assoluto e lo si munisce dei predicati divini. In tal caso la libertà non è altro che potere. In verità, la libertà di scelta sorge per l’uomo soltanto da un processo fondamentale e molto più esteso. Se non esiste uno spazio aperto di possibilità, non esiste neppure libertà; se non c’è liberazione, non si dà nemmeno una vita libera.

Per questo motivo non si può riferire la libertà al puro soggetto: secondo la concezione liberale ogni uomo è nato libero e perciò i suoi diritti di libertà sono irrinunciabili e inalienabili. Ogni uomo ha il diritto a determinare da se stesso la propria felicità, basta che rispetti il diritto degli altri. Egli ha pure il diritto di mettere in dubbio tutto ciò che gli venga dettato dallo stato, ossia da altri uomini, e proposto come suo bisogno e sua felicità. La miseria della società borghese consiste però nel fatto che ogni uomo trova nell’altro uomo soltanto la barriera della sua libertà, come giustamente Marx rilevava. Ogni singolo appare all’altro come un concorrente rispetto alla libertà. Ciascuno potrà realizzarsi solo contro l’altro.

Questa è però una minaccia, in apparenza, della libertà, perché conduce a determinare uno spazio aperto contro gli altri e non a volerlo plasmare e sfruttare appieno insieme.

Soltanto nell’ambito sociale la libertà giunge all’esistenza e si realizza: qui la libertà non significa pura autodeterminazione, bensì comunione nell’amore; qui l’altro uomo non è la barriera della mia libertà, bensì il compagno della nostra libertà. Dal punto di vista sociale, la “libertà”, come mostra una radice vetero – tedesca, è soltanto un’altra espressione per indicare l’amore, la comunione nell’integrazione e nello stimolo reciproco. Venir sentiti da te come integrazioni della tua stessa essenza e come parte indispensabile di te stesso, quindi sapersi confermati dal tuo pensiero e dal tuo amore: questa è l’esistenza sociale della libertà, la libertà vera è comunità, non potere. La libertà cristiana è ben più di una libera scelta, è ben più di una comunione libera: è una passione comune per il futuro della vita. La libertà cristiana non è , ma avviene, ed avviene dove vengono spezzate le catene che tengono legati gli uomini al passato e a ciò che passa, perché essa osa un’anticipazione di ciò che è nuovo, di ciò che deve ancora venire. Questa libertà cristiana inizia dove ha inizio quella nuova creazione di tutte le cose che Cristo porterà a compimento nel Suo giorno. L’uomo ha il proprio essere libero solo nel continuo diventare libero. La libertà come processo completo della liberazione per la speranza cristiana è il fine escatologico della nuova creazione di Dio. Questo futuro, però, getta fin d’ora in Cristo e nell’opera dello Spirito, attraverso le liberazioni, la sua luce nella storia. La realtà della libertà è la creazione nuova e futura: gli effetti di questa libertà sono presenti nelle esperienze e azioni di liberazione. In modo immaginifico potremmo dire: noi non siamo ancora liberi nella Terra Promessa, bensì nell’esodo che parte dalla schiavitù e che procede nella lunga marcia attraverso il deserto.

DOVE FACCIAMO ESPERIENZA NOI DELLA LIBERAZIONE E DOVE NOI DOBBIAMO COMBATTERE LA LIBERTA’?

A questa domanda si può rispondere in cinque punti:

1) Nell’impegno per la giustizia economica contro lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

2) Nell’impegno per la dignità dell’uomo contro l’oppressione politica dell’uomo da parte dell’uomo.

3) Nell’impegno per la solidarietà umana contro l’estraniazione dell’uomo dall’uomo.

4) Nell’impegno per la pace con la natura contro la distruzione industriale dell’ambiente.

5) Nell’impegno della speranza contro l’apatia, a favore della verità nella vita personale.

Sfruttamento, oppressione, alienazione, distruzione della natura e angoscia interiore costituiscono ai nostri giorni quel cerchio demoniaco nel quale gli uomini, insieme, conducono se stessi e il loro mondo alla morte. In questo cerchio diabolico il singolo spesso si tramuta in male, poiché la liberazione in un settore viene raggiunta soltanto esercitando delle repressioni su altri settori. Certo, si può scacciare un demonio con un altro demonio, ma questa non è liberazione, anche se ne assume le sembianze. Ciò che risulta importante è allora una cooperazione fra le diverse liberazioni e le diverse strategie.

Vorrei illustrarlo con alcuni esempi.

Non esiste liberazione da una necessità economica se non c’è anche un impegno per l’affermazione di una libertà politica. E non si dà alcuna libertà politica del singolo se non si costruisce una giustizia economica: se, e nella misura in cui socialismo significa giustizia economica e se, e nella misura in cui democrazia significa libertà politica e diritti civili fondati sui diritti dell’uomo, dovremmo dire con Rosa Luxemburg “Non c’è socialismo senza democrazia, non c’è democrazia senza socialismo”.

Controprova: se noi volessimo trionfare sul bisogno economico ricorrendo ad una dittatura di tipo politico, scacceremmo un demonio con un altro e non ci avvicineremmo di un solo passo alla libertà completa. Se, viceversa, volessimo affermare una democrazia politica sacrificando la giustizia sociale, verremmo di nuovo presi nello stesso cerchio demoniaco. Di fatto ai nostri giorni, in molti paesi, noi troviamo un socialismo privo di democrazia, dove è invece presente una dittatura di partiti. Conosciamo altri paesi nei quali la democrazia politica si è congiunta con il potere economico esercitato su altri popoli (il caso della Repubblica Federale di Germania e degli Stati Uniti).

Questa è democrazia priva di socialismo; questi rapporti sbagliati non promuovono la libertà. Potremmo dire, per quanto paradossale suoni, che nelle democrazie politiche si fa pressione per la giustizia sociale e nei paesi socialisti per l’affermazione dei diritti fondamentali dell’uomo. In caso diverso, la liberazione, nel contesto di queste due sfere di vita, quella economica e quella politica, non è raggiungibile.

Inoltre non si giungerà all’edificazione di una società più umana che meriti tale nome se non attraverso la pace con la natura. E’ insensato superare i problemi connessi con una fame che conduce alla morte attraverso uno sviluppo industriale forzato, perché in tal caso si porta il mondo stesso alla morte ecologica.

La crisi economica stranamente è neutrale nei confronti dell’industrializzazione sia capitalistica che socialistica, come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Ciò dimostra che anche qui ci troviamo di fronte ad un ambito che non può venire ridotto all’altro: ci troviamo di fronte ai limiti del progresso, contro i quali si sta urtando. Attraverso la sua muta morte, la natura sfruttata eleva la sua protesta: il conflitto fra capitalismo e socialismo non diventa certo privo di qualsiasi significato di fronte a questi limiti, ma è pur sempre relativo. Dopo una lunga fase di liberazione dell’uomo dalla natura, oggi deve subentrare una nuova fase di liberazione della natura dallo sfruttamento senza alcun rispetto, affinchè le società umane giungano con dei sistemi naturali ad una simbiosi che permetta la sopravvivenza. Il mutamento dei sistemi di valore, quelli di progresso, profitto, intensificazione del potere verso quelli di solidarietà, partecipazione e rispetto è necessario ed avrà delle ripercussioni benefiche anche su altre sfere pratiche del nostro vivere umano.

Infine, bisogna che sia chiaro che il miglioramento delle condizioni di vita sul piano economico, politico, culturale e naturale non produce automaticamente uomini nuovi e migliori: sarebbe un’illusione materialistica. Senza la liberazione di persone umane da una vita mancata nei confronti di Dio, una vita che li rende angosciati ed aggressivi, non c’è nessuno qui che possa migliorare le condizioni di vita. Nel fondo della coscienza personale e pubblica si diffonde oggi in molti paesi un’insicurezza crescente, uno scoraggiamento. Si vede bene che cosa bisogna fare per la liberazione, ma non si trova nessuno che lo faccia. Un avvelenamento interiore dell’interesse per la vita sta diffondendosi non soltanto nelle società in cui regna la miseria, ma anche in quelle del benessere. Angoscia, aggressività ed apatia non vengono sconfitte attraverso il superamento del bisogno economico, dell’oppressione politica e dell’alienazione culturale: sono la miseria propria dell’uomo, una miseria che non può venire ridotta ad altre sfere.

La fede cristiana è una liberazione dell’uomo dall’angoscia verso la risurrezione, ma priva di una speranza nell’azione, la speranza della fede diventa irresponsabile.

Esistono storicamente diverse vie di liberazione, ma c’è solo un fine cui tende la libertà. Noi ascoltiamo l’appello divino alla libertà soltanto quando prestiamo ascolto all’appello universale alla libertà, soltanto quando ce ne appropriamo interamente e non in modo parziale.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 2.3.1978 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura