Luciano Zizioli, avvocato e uomo politico

È un debito che doveva essere pagato. Chi ha conosciuto Luciano Zilioli sa che quell’uomo ha onorato come pochi la sua città. Si dice che è una vera gioia leggere in questi giorni il bel quaderno «Luciano Zilioli» pubblicato nella collana «Profili e memorie bresciane» dal Centro di Documentazione (Brescia, pp. 48), in cui sono raccolte su di lui testimonianze significative che non dovevano andare perdute. Luciano veniva – e ne era orgoglioso – da una famiglia di piccoli e qualificati artigiani-commercianti, da un mondo fatto di operosità onorata, di forte religiosità, e la sua personalità coniugò con naturalezza i valori di quella «cultura popolare», in cui affondava le sue radici, e gli apporti del più avvertito dibattito culturale. È stato posto giustamente in rilievo in tutti gli interventi il personalissimo modo con cui Zilioli interpretò la professione di avvocato, essendo il «mestiere» non il dolo, ma certamente il primo attestato di serietà. «Allo studio-azienda preferì lo studio-biblioteca. E così visse la professione come un’arte» (P. Bonazza). «Era dotato di innata intuizione e di acquisita capacità tecnica» (A. Venditti), «Aveva una cultura giuridica eccezionale e multiforme, anche se le sue predilezioni andavano al diritto amministrativo, al canonico e a talune parti del civile e del processuale» (C. Mosconi). Stefano Minelli ricorda «quelle chiacchierate che solo la giovane età giustifica, senza principio e senza fine, colme di paradossi e di superlativi» e annota con tristezza: «La discussione poteva essere accanita, senza debolezze per l’avversario, non eludibile la constatazione del profondo fossato che divideva due tesi, ma tutto ciò non avvelenava la mente e il cuore, il buon umore aveva sempre la meglio, il rispetto cavalleresco e la cameraderie prevalevano su ogni altro sentimento meno nobile». In effetti incontrare Luciano e conversare con lui era sempre un’esperienza stimolante. «Ché sempre, folti anche se non tumultuosi – scrive Gian Battista Lanzani, in una "lettera" all’amico cristianamente, romanticamente disinteressato" – ti si affollavano dentro fatti, problemi, persone; attento com’eri non a ricordare passivamente, ma a riflettere, a capire, a rielaborare. Con quella tua naturale inclinazione alla lunga minuziosa analisi che quasi sempre guizzava per intelligenza e per intuito in una sintesi felice, a volte paradossale, mai banale». Padre Manziana, che un po’ tutti quelli della mia generazione hanno incontrato nel momento in cui si sentiva il bisogno di approfondire le ragioni della speranza cristiana, lo ricorda così: «Mi colpì subito in lui una semplicità di comportamento pari alla delicatezza dei sentimenti. profondamente credente, era attento con rara acutezza ai problemi culturali e sociali. Di contro alla prestanza della sua statura, si irradiava in lui serena bonarietà, oserei dire una certa ingenuità».
Gli autori delle meditate testimonianze su Luciano Zilioli ne ricordano tutti – e, in particolare, Cesare Trebeschi nella breve, appassionata commemorazione in Consiglio comunale non appena apprese la notizia della morte – l’amore profondo per la città, la collaborazione attiva all’Amministrazione comunale di Brescia (fu assessore agli affari legali e generali per molti anni) e degli Spedali Civili, il suo impegno per far sorgere la Civica Avvocature e l’Associazione tra i Comuni bresciani, la sua lunga battaglia – per promuovere l’istituzione dell’Università a Brescia. Zilioli lasciò il segno della sua presenza anche nel Consiglio di amministrazione del «Giornale di Brescia», essendosi adoperato attivamente, insieme ad altri amici, affinché la direzione fosse affidata ad un uomo di sicura fede democratica e di grande umanità come Vincenzo Cecchini.
Due scritti meritano una particolare menzione per la coraggiosa volontà dei loro autori di dire quanto in coscienza avevano da dire sul come Zilioli fece politica a Brescia: tema questo in cui le suscettibilità sono sempre roventi. Alludo a Rubens Carzeri e a Fabiano De Zan, così diversi tra loro, eppure tanto vicini quando si tratta di portare il discorso sulle cose essenziali: «Luciano Zilioli – scrive Carzeri – porta nella politica il segno di una rottura con il mondo clericale cittadino… La sua figura ha un grande spazio nelle pagine più belle della Democrazia cristiana bresciana, quando questa è movimento più che partito… La sua ostilità alle scelte di corrente fu addirittura clamorosa». De Zan ne ricorda affettuosamente le distrazioni e i ritardi proverbiali, le simpatie per uomini di spiccata concretezza, come Pietro Bulloni, o di cultura raffinata, come Stefano Bazoli; ma anche le improvvise accensioni e le aperte denunce, come quando nel ’53 furono esclusi dalla lista dei candidati al Parlamento due delle figure di maggior rilievo della D.C., Laura Bianchini e Stefano Bazoli.
Zilioli disdegnava soprattutto la mediocrità, e non soltanto nella politica; aveva un profondo rispetto per gli umili e detestava i presuntuosi. Della sua eroica accettazione della lunga sofferenza non oso parlare, perché è cosa troppo grande.

Giornale di Brescia, 17 febbraio 1988.