Lustiger, il cardinale ebreo

No, non è una favola. La persona di cui si parla nacque a Parigi nel ’26 da genitori ebrei emigrati dalla Polonia. Si convertì al cattolicesimo nella giovinezza. Studiò lettere, filosofia e teologia. Prete a diciannove anni, nel ’45, vive quindici anni con gli studenti universitari di Parigi. Era anch’egli alla Sorbona il giorno in cui Cohn Bendit trattò Aragon da crapulone stalinista e accordò la parola solo per cinque minuti a Sartre, avvertendolo di essere “breve e chiaro”, tanta era grande la voglia di scuotersi di dosso il mandarinaggio degli stessi dioscuri della sinistra. Quel prete fu poi inviato in tutt’altro ambiente, in una parrocchia di periferia, presso Boulogne. Il papa polacco, un anno dopo l’ascesa al soglio pontificio, nominò quel sacerdote ebreo-cristiano vescovo di Parigi. Il suo nome è Jean Marie Lustiger.
Di Jean Marie Lustiger è uscito Abbiate il coraggio di credere (Edizioni Paoline, Milano, 1988, pp. 330), un libro che documenta il modo in cui una delle personalità più eminenti della Chiesa si lascia investire da tutti i grandi temi del nostro tempo. “Ogni frase di questo libro – scrive Urs von Balthasar nella prefazione- è espressione di una lucidità intellettuale tersissima, di un coraggio che potrebbe sembrare temerario, se non fosse parresia cristiana, di una franchezza che non elude neppure le domande più insidiose”.
Le pagine di questo libro – che è tutto intessuto di fatti, conferenze realmente tenute, prese di posizione su problemi scottanti di ogni tipo – hanno il pregio di farci incontrare un uomo totalmente alieno da qualsiasi forma di fanatismo e, proprio per questo, capace di farsi ascoltare da tutti, credenti e non credenti, agnostici e atei, purché non aprioristicamente sigillati in pregiudizi tanto presuntuosi quanto acritici e settari.
Agli ebrei e ai cristiani – i quali debbono comprendere che la prima forma di ecumenismo è quella di approfondire il dialogo tra le chiese cristiane e la sorgente stessa della loro fede, l’ebraismo – è dedicata la seconda sezione del libro “Le nostre radici ebraiche”. Sono pagine luminose che solo un ebreo-cristiano poteva scrivere, ma che ogni lettore può benissimo far sue nei loro contenuti. Non meno stimolanti sono le analisi spietate, senza attenuazioni di sorta, su ciò che esige il Vangelo o sui rapporti tra cristianesimo e mondo moderno, così come le riflessioni sulla Polonia, sull’Europa, sulla fecondità spirituale del Terzo Mondo, sui giovani e la scuola.
Abbiate il coraggio di credere (più felice il titolo originale francese: Osez croire. Osez vivre) è scritto in uno stile sobrio, che va dritto allo scopo e da tutti fruibile. Riassumerlo è impossibile. Qualche citazione, come aperitivo alla lettura diretta, tuttavia s’impone. Questa, ad esempio: “I Paesi più sviluppati muoiono della morte dei Paesi meno sviluppati. Una nazione ricca che perde l’anima è una nazione di morti”. O quest’altra: “Bisogna che comprendiamo il segno mortale e lo strano paradosso della cultura contemporanea. Il nostro secolo scopre con orrendo stupore che le nostre liberazioni più legittime sfociano in atroci ingiustizie politiche, economiche, biologiche, morali. Mai come oggi si sono tanto moltiplicate le schiavitù, anche tra i cittadini dei Paesi liberi, nel nome stesso della libertà”. “Stiamo entrando in un’epoca terribile”, scrive colui che prima si chiamava Aron Lustiger; ma il suo acuto realismo non si arrende ad alcun pessimismo, così come disdegna il profetismo catastrofico a buon mercato. A riprova, ecco un altro passo quanto mai significativo:“Viviamo in un’epoca in cui le questioni fondamentali riaffiorano con l’intuizione che forse il cristianesimo ha un’importanza vitale per la società. In questo senso credo che ci troviamo di fronte a grandi possibilità per una nuova evangelizzazione. Credo che il cristianesimo sia come un’aurora. Esso è in grado di prendere l’uomo come è e di accogliere la sua dignità, senza disperare di lui”.
Qual è la pagina più drammatica? Quella del penultimo “pezzo” del libro, in cui è riportato l’indirizzo di saluto, registrato a Parigi e letto a Radio Colonia, per il Katholikentag, il 29 agosto 1982. Già le prime parole sono di una sincerità sconvolgente. Il cardinale ebreo-cristiano di Parigi, rivolgendosi ai correligionari , confessa: “Vi parlo da Parigi, vi parlo senza vedervi, come si parla a qualcuno di sera. Forse così riuscirò a dirvi cose che non sarei capace di esprimere guardandovi negli occhi, cose che forse voi non sopportereste se mi guardaste negli occhi…”. Quello che viene confidato poi in quel brano – il dono della misericordia – costituisce un vertice, forse il più alto giudizio espresso sull’olocausto.
Elie Wiesel, scrittore ebreo, premio Nobel per la pace, che ha formulato spesso condanne tanto comprensibilmente aspre da essere oggettivamente ingiuste, nei confronti di Lustiger ritrova il suo spirito di equanimità. “Non è un segreto per nessuno – ha scritto Wiesel – la scomodità di Lustiger. È scomodo per i cristiani tradizionalisti, perché si considera ancora ebreo. È scomodo per gli ebrei, perché è diventato cristiano. Aggiungiamo che inquieta e turba anche i laici per l’umanesimo che predica attraverso la fede e la tolleranza che lo pervadono”. Non si poteva dire meglio.
Giornale di Brescia, 11.9.1998.