Matteo Perrini, testimonianze e scritti

Tematiche: Testimoni

1. Aprile 1976. La strage di Piazza Loggia si è consumata da poco, il ricordo è bruciante, il cordoglio diffuso, la rabbia monta per una giustizia che non riesce a dare un volto agli assassini che si annidano nella destra eversiva. Sul versante opposto le Brigate Rosse programmano l’assalto allo Stato e alle sue istituzioni. Assassinano molti esponenti dell’Italia democratica, in testa giudici, servitori dello Stato, giornalisti, sindacalisti. Ogni giorno inizia nell’attesa di un nuovo bersaglio: a chi toccherà ? La gente ha paura. La democrazia è in pericolo. Non c’è spazio per un dialogo tra opposti estremismi. Anche fra i partiti, che si riconoscono nella Costituzione repubblicana, il confronto è difficile. Il mondo cattolico è intimorito, anche se non arreso a tanta violenza.
Il clima era questo, nell’aprile 1976, quando nasce la CCDC. A volerla è la Direzione provinciale del primo partito della città. Senza clamore. D’altro canto, che cosa può significare la nascita di una cooperativa?
A Matteo Perrini è affidata, con unanime decisione, la cura della Cooperativa cattolico democratica di cultura, perché creasse le condizioni per un dialogo civile fra realtà estranee e contrapposte. Nell’endiadi cattolico-democratica c’è l’eco del pensiero di Sturzo, De Gasperi, Maritain, Jemolo, Moro, Scoppola e di tanti altri.

2. Niente più che uno strumento era la Cooperativa di cui allora non sapevamo neppure coniugare l’acronimo CCDC. Perché lo strumento si rivelasse utile, occorreva una persona di esperienza culturale, di indomito coraggio, di intelligenza politica. Era il ritratto di MATTEO.
Segretario provinciale della Democrazia Cristiana per un periodo brevissimo, nel corso del 1964 succedette a Bruno Boni, sindaco e segretario politico, costretto ad optare per la Loggia. Successione condivisa perché MATTEO aveva nel partito della Democrazia Cristiana molti estimatori.
Per uno studioso come lui, legato alle figure più rappresentative della Scuola Editrice -Vittorino Chizzolini e don Enzo Giammancheri – impegnato nell’insegnamento della filosofia, la politica rappresentava un arricchimento di vita, la risposta ai bisogni della gente. Ma il suo atteggiamento libero, severo e realistico lo avrebbe posto ben presto di fronte alla necessità di una scelta scoprendosi inadatto non tanto alla politica, quanto alla lotta interna al partito, che gli chiedeva compromessi e aggiustamenti incompatibili con la sua visione di servizio alla causa comune, solidaristica, ispirata ai principi del cristianesimo militante e con l’idea di un partito garante del confronto.
Così che dopo pochi mesi – da persona coerente (come lo descrive Padre G. Cittadini – “ribelle ad ogni tentativo di coercizione , assolutamente allergico ai compromessi, alle piaggerie, alle astuzie” –) MATTEO ritenne che fossero maturate le condizioni per il suo spontaneo ritiro dalla politica – commenta il sen.Fabiano De Zan – “senza dimissioni” e “senza clamore come accade alle scelte della vita: posto nell’alternativa di compromettere la sua coerenza o porsi in antagonismo con un mondo in cui non si riconosceva, scelse sé stesso, cioè di non essere politico” tornando ai suoi studi prediletti, che per la verità non aveva mai interrotto. Lo avevo conosciuto da sindaco di Dello nei mesi della sua segretaria e tanto mi era bastato per apprezzarne la lucidità e l’impegno.
Non fui sorpresi della sua scelta.

3. MATTEO si mise subito al lavoro e qualche mese dopo, nel dicembre 1976, la CCDC fece il suo esordio pubblico presentando alla città (e a Manerbio) Jurii Mal’cev, capofila del dissenso nella patria sovietica. Nel volumetto, dal titolo emblematico L’umanesimo cristiano fonte di ispirazione e stile di vita, pubblicato nel venticinquesimo dalla fondazione (2001), l’evento è da MATTEO presentato così: “…fin dai primissimi incontri pubblici la CCDC aveva posto all’attenzione della città due temi fortemente caratterizzanti come il dissenso nei Paesi dell’Est e l’ecumenismo…Jurii Mal’cev parlò de Le tensioni spirituali nella letteratura del dissenso sovietico. La volta successiva, il valdese Renzo Bertalot e il cattolico Gianni Capra presentarono la prima edizione ecumenica del Nuovo Testamento, in quei giorni appena pubblicata…”.
Erano i due filoni – dissenso e ecumenismo – in cui si è dipanata per anni – grosso modo fino al meraviglioso evento (sic!) della caduta del muro di Berlino – l’iniziativa di MATTEO. Non lo scoraggiarono l’accoglienza fredda e talvolta preoccupata dell’ambiente cattolico, soprattutto in campo ecumenico, ed anzi intensificò le aperture in quella direzione: “Il nostro proposito – scrive – era far emergere i valori di fondo andando anche decisamente contro corrente, come spesso è accaduto, e aprire un varco negli animi agli ideali che rendono la vita degna di essere vissuta: i diritti dell’uomo, la pace e lo sviluppo dei popoli; la responsabilità della scienza, l’europeismo, il dialogo ecumenico, le grandi testimonianze religiose; la difesa degli oppressi e in particolare le testimonianze più significative sugli orrori dei sistemi totalitari, nazismo e comunismo, e delle dittature dell’America Latina”.
Era un programma ambizioso che, nella misura in cui dava visibilità alla Cooperativa, suscitava reazioni scomposte nei confronti del suo simbolo: la libreria di corso Magenta, bersaglio di incursioni nei cortei della sinistra. La chiudemmo – permettetemi questo plurale, essendo all’epoca il suo vice – non perché timorosi degli assalti, ma per l’impossibilità di mantenere uno standard di reddivitività appena sufficiente a tenere aperto il negozio, nonostante la sua riconosciuta abilità di venditore (di cui c’è l’eco nella biografia tracciata da Fulvio Manzoni).
Facendo il bilancio dei primi venticinque anni MATTEO orgogliosamente constatava che “…Brescia ha apprezzato il taglio della nostra proposta culturale: un taglio di alto profilo e di grande competenza e, insieme, di estraneità totale alle diatribe e alle insulsaggini della cronaca”.
Nell’ultimo decennio – è ancora Lui ad annotarlo – si ampliava il panorama culturale della CCDC perché “…abbiamo voluto marcare in modi diversi il debito di riconoscenza che la civiltà europea ed anche quella del mondo, debbono alla cultura greca classica e all’ebraismo”. E si capisce: cessata l’emergenza degli anni del dissenso, l’attenzione si allargava agli Apologisti e ai Padri della Chiesa, con lo sguardo rivolto ai filosofi greci. MATTEO lo spiega così: “…la nuova fede iniziava allora il suo cammino e la rivendicazione della propria originalità poteva indurre i cristiani ad atteggiamento di rifiuto e di incomprensione nei confronti di ciò che l’aveva preceduta: …..accanto ad una storia ebraica della rivelazione procede quindi una storia sacra dei pagani, una grandiosa ricerca di Dio che avanza nell’oscurità”. E prosegue: “Questa è anche la nostra visione ed è per ragioni profonde, e non occasionali, che abbiamo voluto riproporre con forza in primo luogo la figura ed il messaggio di Socrate, ma anche le conquiste più solide di Platone e Aristotele”. Si spiega così l’apertura della CCDC anche al teatro.
Leggendo il libro, si percepisce un dato rivelatore: la Cooperativa cresce, anno dopo anno, ma con essa cresce, direi (se non apparisse impropria) matura anche la riflessione filosofica, in una parola la sua Weltanschauung (parola sua). Come a dire che l’ultimo MATTEO si rivela il maestro in perenne ricerca di verità (filosofica) verso l’approdo certo quale era per lui la rivelazione e la salvezza cristiane.

4. Nel leggere i profili che di lui tracciano tanti amici nella prima parte del libro, rivedo a tutto tondo il MATTEO che ho seguito da vicino nei primi anni di vita della Cooperativa con aperture coraggiose, ma senza azzardi, e con la consapevolezza di un valido registro di confronto, anche quando aveva i tratti della sfida (parla proprio di sfida) specialmente in tema di libertà religiosa, che diventerà ben presto una palestra per la Cooperativa, ospitando impavidamente i testimoni del dissenso sovietico (e non solo). Di tante iniziative, quelle che recano il sigillo del suo ingegno e del suo coraggio sono proprio gli incontri pubblici con grandi personalità della cultura nazionale ed internazionale. Onorava in tal modo l’impegno assunto nel 1976.
E si capisce: se – come osserva Ilario Bertoletti – “l’attività pubblica di Perrini è stata…una testimonianza del primato di questa libertà (cioè “(del)la coscienza del singolo nell’insondabile libertà”), lì è emersa la genuina ispirazione etico-culturale con il forte richiamo dei valori della politica. “Faceva politica – chiosa G.B Lanzani, in continuità con il giudizio di De Zan – ma non era un politico, era piuttosto un uomo di cultura”. Ma anche capovolgendo l’ordine degli addendi, la conclusione non cambia, quasi a dire: da vero uomo di cultura, fiero della sua libertà di coscienza, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, stimolava il confronto, anche politico e rifiutava il pregiudizio. In lui – trascrivo la notazione di L.Morgano – “la difesa della libertà della cultura si univa a quella della democrazia” nel senso “della sua difesa e della animazione morale della politica”. Proprio così: avendo appreso la grande lezione degli uomini più rappresentativi del cattolicesimo democratico, non disdegnava di suscitare un libero dibattito ovunque ci fosse la disponibilità a misurare le rispettive opinioni.
Non è difficile riconoscere in queste annotazioni il senso del suo impegno pubblico. Infatti “la testimonianza politica di MATTEO non può essere circoscritta alle breve esperienza di segretario provinciale della DC”, perché – lascia intendere A.Onger – nei lunghi anni della sua presidenza della CCDC è emersa la vocazione politica nel senso alto da lui professata.

5. I contributi che compongono la prima parte del volume (oltre quelli già ricordati, ci sono scritti di Gitti-Bazoli, Canobbio, Paganuzzi, Sabatucci, Taccolini) tratteggiano il profilo dell’uomo come meglio non si potrebbe
Nella seconda parte, invece, sono raccolti 37 tra articoli e saggi di MATTEO, pubblicati in larga parte sul Giornale di Brescia che ho riletto, a distanza di anni, con commozione e dove ho trovato anche un ritratto di De Gasperi, pubblicato nel 1976 su “Il Cittadino”, giornale della D.C., e (per ultimo) un affettuoso ricordo di padre Giulio Bevilacqua. E altri articoli dedicati a argomenti vari, alla ricerca di fonti, episodi, uomini che hanno onorato, spesso nel silenzio e talvolta con il martirio, le proprie convinzioni.
Scrittore – anzi (il più delle volte) giornalista – efficace, acuto, capace di suscitare suggestioni immediate nel lettore occasionale e riflessioni approfondite nel lettore abituale, propone (e ripropone) le tematiche centrali del pensiero moderno, alcune anticipatrici di processi ancora in nuce, lungo percorsi che si mantengono nell’alveo del suo umanesimo cristiano, locuzione che sollecita un’idea non convenzionale della fede e dei suoi approdi concreti. Autore di numerosi saggi pubblicati nel corso del suo ministero culturale (compreso l’ultimo, dal titolo squisitamente perriniano, Filosofia e coscienza dedicato a Socrate, Seneca, Agostino, Erasmo, Thomas More e Bergson), ha fatto comprendere, soprattutto negli interventi suggeriti dalla attualità, le sue riflessioni di studioso, pensatore ed educatore, non disdegnando anche quelle più scabrose. Alludo, ad esempio, all’articolo dedicato a Padre Bevilacqua, imperniato sul leit motiv della “urgenza per la Chiesa di porsi in prima linea nella difesa della libertà di coscienza ovunque, non solo dove i cristiani sono emarginati o perseguitati”.
A MATTEO, infatti, sembrava giusto evocare il grande filippino che considerava la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa la “premessa inderogabile e assolutamente prioritaria per un dialogo tra la Chiesa cattolica e il mondo contemporaneo”. Anche per lui, infatti, l’evento conciliare, condotto a termine da Paolo VI, per il quale nutriva un riverente e filiale affetto, rappresentava il termine di paragone della volontà della Chiesa di perseguire le grandi mete poste dai Padri conciliari.

6. Due articoli meritano una anticipazione rispetto alla Vostra lettura. “Morale e politica” (apparso sul Giornale di Brescia l’11 gennaio 1991) e “I cristiani e lo Stato: la fedeltà secondo coscienza” (apparso sul medesimo Giornale il 24 giugno 1995). Li segnalo perché, se da una parte, convalidano il mio convincimento delle forti connotazioni “politiche” della sua Weltanshauung, dall’altra, mi sembrano degni della Vostra attenzione perché riscontriate la fedeltà di MATTEO alle scelte etico-politico-culturali che hanno connotato la sua missione.

7. Trattando dell’Europa – un tema a lui caro (Che cos’è l’Europa, sul Giornale di Brescia del 18 giugno 1991) – lancia un messaggio: “L’Europa …ha potuto resistere alle violente negazioni della sua civiltà generate dal suo interno e farsi portatrice di libertà nel mondo perché il messaggio religioso che l’ha fecondata, il Vangelo, porta dentro di sé il principio stesso della pluralità delle sfere della vita”. Cristo – aggiunge, con il “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” – condanna senza appello l’integralismo “la cui logica perversa comanda la cancellazione delle differenze e della distinzione tra fede e politica, Chiesa e Stato, religione e partito”.

8. La testimonianza di MATTEO ha il suo apice nell’omaggio commosso tributato ai cinque giovani della associazione segreta Die Weisse Rose, tratto da volume edito dalla CCDC con il Comune di Brescia nel 1999, dal titolo evocativo “La Rosa Bianca, un evento nell’ordine della nobiltà interiore”: il più bello (a mio giudizio), sicuramente il più ispirato degli scritti pubblicati nel libro. Vi trabocca un sentimento di meraviglia (è quella che gli attribuisce mons.Canobbio “per le scoperte cui la lettura dei grandi maestri lo conduceva”) per l’onore del nome cristiano e del popolo tedesco e dell’umanità che traspare dai volantini ciclostilati dei cinque martiri: “La tragica purezza delle scelte operate da quei giovani ragazzi – scrive MATTEO – è di un così alto livello da far quasi scomparire la loro dimensione politica”. E continua: “E tuttavia il valore propriamente politico della resistenza di quegli studenti sta nell’aver compreso con straordinaria lucidità e nell’aver scritto a chiare lettere che prima di ogni discussione sull’una o sull’altra forma di Stato, sull’una o sull’altra legge, la cosa assolutamente necessaria è che lo Stato diventi Stato di diritto, che renda cioè praticamente riconoscibile nel suo operare il primato del valore morale a cui ogni legislazione e lo stesso potere esecutivo debbono incessantemente essere ricondotti”. E continua con lo sguardo rivolto alla attualità italiana: “Noi sappiamo che non v’è questione più importante di questa anche per la politica dei nostri giorni e del nostro Paese. Se non si vuole degradare la democrazia a scelta illusoria, a menzogna convenzionale”.
Ebbene: se mi è permesso, nei giorni in cui i cattolici italiani a Todi si interrogano sulle loro responsabilità verso il Paese, queste parole tracciano una rotta precisa.

9. Se toccasse a lui la risposta, i valori che devono motivare l’azione dei cattolici in campo politico affiorano nelle righe appena trascritte: è nello Stato di diritto – l’espressione più alta dello Stato liberal-democratico – che si realizzano le condizioni di una convivenza pacifica e laboriosa. Le tirannie, i dispotismi, le persecuzioni, le discriminazioni razziali, al contrario, hanno una matrice comune nella negazione della libertà di coscienza e, con essa, della libertà religiosa che è il cardine delle libertà politiche e civili. Anche i gesti che, con il pretesto di tutelare l’identità socio-culturale di uno Stato o di una Regione, pongono limiti severi o, peggio, territoriali alla devozione religiosa di una etnia, tradiscono una intrinseca intolleranza che genera il mostro della disuguaglianza e della segregazione.
Confesso di essermi indignato di fronte al manifesto di un partito politico affisso in città che rendeva merito al Sindaco di aver bandito dal nuovo PGT le aree da destinare ad insediamenti religiosi islamici. Ma come, mi sono chiesto, nella città di MATTEO, dove la CCDC ha testimoniato e professato il principio basilare della libertà religiosa!

10. La CCDC di MATTEO è nata e cresciuta su questo fondamento, affermandosi come vettore libero e autonomo della cultura cattolico-democratica. Essa, nel nome dell’umanesimo cristiano – locuzione in cui condensava i suoi sentimenti di cristiano impegnato nel pubblico e che ha testimoniato fino all’ultimo respiro – ha pieno titolo per far sentire la sua voce ovunque siano calpestati i valori della coscienza e della libertà religiosa, della giustizia, della solidarietà.
MATTEO è stato il protagonista indiscusso di una stagione politico-culturale, il ricordo della sua operosità, generosa e gratuita, ci stimola a continuare nel solco tracciato. Non mi separo da lui senza accennare al volto più intimo e discreto – quello degli affetti famigliari e degli amici – e alla sua anima di poeta rivelata post mortem. E’ vero: ci manca di MATTEO il sorriso, l’accoglienza, la voce – sì proprio la voce – ma il suo passaggio in terra bresciana ha lasciato tali e tanti segni del suo amore per la vita, del suo rispetto per le opinioni altrui e della sua fede cristallina in Cristo da non permetterci di smarrire la strada di fronte alle prove – meno violente, ma non meno difficili – che dobbiamo affrontare.

NOTA: testo, rivisto dall’Autore, dell’intervento tenuto a Brescia il 19 ottobre 2011 h. 18.30 – Libreria Università Cattolica.