Nuove regole per i conti pubblici: la riforma dell’art. 81 della Costituzione

E’ legittima la domanda se sia utile o meno un’operazione dì sofisticazione dell’articolo 81. E su questo punto credo che la risposta corretta si possa formulare solo se si riconosce che probabilmente è utile solo entro certi limiti e che in nessun modo occorre enfatizzare, come invece spesso accade. Ricordo spesso che la nostra cultura riformatrice è abbastanza precaria, secondo me aggravata da valenze ideologiche dalle quali difficilmente riusciamo a liberarci. Anche quando muoiono le ideologie, le sostituiamo con una sorta di manierismo ideologico. La nostra cultura riformista somiglia molto all’apologo del millepiedi malato di artrosi e del grillo che lo visita. Il grillo sentenzia che per far guarire il millepiedi dall’artrosi bisogna tagliargli le zampine. Mentre il millepiedi ringrazia, sua moglie, che come tutte le mogli è più realistica del marito, chiede all’illustre clinico come farà dopo a camminare. L’illustre clinico si adonta e spiega che egli ha dato la risposta politica e che i problemi tecnici non lo riguardano.
Credo ci sia forse al fondo della nostra cultura riformista questo vizio ideologico. Però, chiarito questo, mi pare che possiamo leggere l’esigenza di una correzione ed anche il limite di vitalità che ha avuto l’art. 81, in una prospettiva storica.
E allora, come ricorda Andreatta, noi constatiamo che nel primo decennio di vita, l’art. 81 è rispettato dalle politiche economiche. Sostanzialmente c’è un equilibrio di bilancio.
Poi si apre una fase che secondo me corrisponde esattamente al Centro-Sinistra, quando si avvia più risolutamente una politica eli Stato sociale, di Welfare. In quel momento l’art. 81 entra in crisi e mi sembra che le cose stiano così non per una coincidenza.
La ragione è che una cultura di bilancio di un certo tipo, statica e tendenzialmente liberale, va in crisi nell’impatto con politiche di programmazione, cioè di lungo periodo, non più verificabili nei bilanci annuali. E mi pare ancora di intendere, in questa lettura di prospettive, che lo strumento della legge finanziaria viene adottato quando si riconosce che non vi è più nessuna relazione tra il modello e la effettività. Ed allora si pretende con questo strumento di riportare ordine.
Andreatta ha spiegato come ha funzionato la legge finanziaria. A me pare però difficile, prendendo atto dei risultati, non riconoscere che questo ordine non è stato in nessun modo imposto.
Nasce da qui il tentativo di un nuovo art. 81 che risulti meno improprio rispetto alla realtà, ma in qualche modo più capace di regolarla. lo sono molto d’accordo con quel che ha detto prima il prof. Onida: non si può chiedere alla norma costituzionale di imporre i comportamenti attivi, però mi parrebbe che in questo modo si identifica anche la potenzialità, la virtualità delle eventuali correzioni.
Mi pare che il prof. Bognetti nella sua relazione, in sostanza e in modo tutt’altro che immotivato, attestava una qualche debolezza di questa iniziativa riformatrice; gli sembra debole rispetto ai problemi forti che abbiamo davanti.
Io, aprendo una parentesi, debbo dire che questo disegno di legge è frutto di tanti autori e meno che mai del ministro delle Riforme Istituzionali, come era giusto che fosse. Debbo dire che se mi riconosco un ruolo in questa vicenda preparatoria è stato quello, lo ammetto, dello scrivano. La mia idea è che la Costituzione ha una sua sintassi, un linguaggio che ha una sua concisione. Ha insomma esigenza, per essere la norma delle norme, di non assomigliare alla legge ed ai regolamenti; per cui il mio problema era quello di prosciugare al massimo le formule che venivano via via raffigurate.
Per quel che mi riguarda davo molta importanza – e continuo a darne – ad un’altra clausola contenuta nel nuovo art. 81, che è una clausola di buonsenso amministrativo: cioè l’idea che solo le spese d’investimento possono autorizzare il ricorso al credito, mentre invece le spese correnti non possono autorizzarlo.
Per la verità, anche qui, se ricordo bene, ho imparato che la distinzione tra spese correnti e spese d’investimento non è una soluzione, ma apre un problema.
Quindi mi domando se questa formulazione, questa definizione, questa distinzione, sia davvero lo strumento che serve, o se non sia uno strumento troppo debole. Avrei invece (in riferimento al prof. Bognetti) qualche difficoltà a riconoscere una debolezza per quel che riguarda le spese ulteriori, perché qui abbiamo scritto che per nuove leggi che implicano nuove spese occorre indicare le fonti di spesa per tutto l’arco della vita della legge ed a me non riesce di trovare una formula che sia ulteriormente persuasiva rispetto a queste. Ma, anche qui, ammetto che capire come si farà a garantire che l’indicazione delle fonti di entrata corrispondente per tutto l’arco di durata della legge siano vere e non finte è un problema ulteriore.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 29.2.1992 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.