Paradosso Europa

Giovedì 14 marzo 2019 alle ore 20,45 nella Sala Bevilacqua di via Pace n.10 a Brescia gremita in ogni ordine di posti, Ágnes Heller, una tra le più importanti pensatrici viventi, ha parlato sul tema “Paradosso Europa”, intervistata dal giornalista e scrittore Francesco Comina.  L’incontro è stato promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. A motivo della morte della filosofa intervenuta il 19 luglio 2019, quella di Brescia è stata l’ultima conferenza pubblica di Ágnes Heller.

Ágnes Heller è una famosa pensatrice ed è pure una testimone diretta della Shoah, avendo vissuto l’esperienza del ghetto di Budapest e aver visto morire quasi tutta la sua famiglia nei campi di concentramento nazisti. Nata nel 1929 da una famiglia ebrea di origini austriache, la Heller fin da piccola è costretta a vivere con la paura delle persecuzioni razziali. Il padre è un musicista e scrittore e infonde nell’animo di Agnes una grande passione per l’arte, per la musica e per la cultura in genere. La madre ha un ruolo più normativo. Insieme vivranno l’esperienza drammatica del ghetto di Budapest e la liberazione con la Todesmarsch dove morirono centinaia di persone. Il padre, scoperto mentre dava aiuto ad ebrei in fuga venne deportato e ammazzato ad Auschwitz nel 1943. Dopo essersi iscritta alla Facoltà di Medicina cambiò radicalmente corso, nel 1947, dopo aver partecipato ad una lezione di filosofia di György Lukács, il pensatore più influente e importante dell’Europa di quegli anni. In breve tempo divenne la più stretta collaboratrice di Lukács e dal 1947 professoressa associata nel suo dipartimento. Insieme ad un gruppo di filosofi che si ritrovavano intorno alle idee di un marxismo riformatore di Lukács, la Heller fondò la Scuola di Budapest, che ebbe un ruolo molto importante nella ricerca di una riscoperta umanistica di Marx. Ma ben presto entrò nel mirino dell’ortodossia del partito comunista sovietico che reagì violentemente a questo tentativo di rileggere criticamente Marx spogliandolo da paludamenti troppi ideologici. Destituita dai suoi incarichi accademici insieme con Lukács per motivi politici dopo la rivoluzione ungherese, trascorse molti anni ad insegnare in scuole secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protestò contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subì una nuova persecuzione politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam delle autorità del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici. Nel 1977 emigrò in Australia insieme al marito Feher Ferenc, anche lui uno degli esponenti principali della Scuola di Budapest. Ma quatto anni più tardi venne invitata a insegnare Filosofia Politica alla New School di New York prendendo di fatto la cattedra che era di Hannah Arendt. E in questo suo periodo americano la Heller diventa una delle pensatrici più famose tenendo collaborazioni e corsi con i più importanti filosofi del mondo. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, tornò nella nativa Ungheria dove è stata designata membro dell’Accademia ungherese delle scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il ‘Szechenyi National Prize’ in Ungheria, e l’Hannah Arendt Prize’ a Brema. Ha ricevuto la laurea ad honorem causa dalla ‘La Trobe University’ di Melbourne nel 1996 e dall’Università di Buenos Aires nel 1997. Ha ricevuto ancora nel 2010 a Goethe Medaille, Il premio Concordia a Vienna nel 2012, il premio Carl von Ossietzky a Oldenburg nel 2012, la laurea honoris causa all’Università di Innsbruck, il premio Internazionale Willy Brandt a Berlino e il Manés Sperber Preis 2017 di Vienna. E’ una delle voci critiche più forti e ascoltate in tutta Europa contro il governo nazionalista ungherese di Viktor Orbán.

Francesco Comina, giornalista e scrittore. Lavora da sempre ai temi della pace e dei diritti raccontando le vite di alcuni grandi maestri come Raimon Panikkar, di cui è stato amico insieme ad Arturo Paoli, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Thomas Merton, Rigoberta Menchù, Adolfo Pérez Esquivel, Enrique Dussel e tanti altri, vedi “Il monaco che amava il jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti” (il Margine). Ha scritto la prima storia in Italia del beato Josef Mayr-Nusser, il giovane sudtirolese che si rifiutò di giurare fedeltà a Hitler e venne condannato a morte: “L’uomo che disse no a Hitler” (il Margine). Ha raccontato gli ultimi due anni della vita di Oscar Arnulfo Romero attraverso il suo diario, “Monsignor Romero, martire per il popolo” (la Meridiana). Con Agnes Heller ha scritto il libro “I miei occhi hanno visto”. Ha lavorato in varie redazioni di quotidiani in Trentino Alto Adige e per dieci anni, fino al dicembre del 2017, ha coordinato il Centro per la pace del Comune di Bolzano.