Per una cultura dell’ambiente

Trent’anni fa, pensare che tante persone si radunassero per parlare d’ambiente era una cosa che sarebbe stata inconcepibile perché allora, parlare di ambiente significava parlare di stanze, di chiesa, oppure, diceva mia madre: “Non andare con quella compagnia, perché è un brutto ambiente”, di un’osteria, eccetera; quindi erano problemi etici o architettonici. Questa sera parliamo di ambiente come una realtà che veramente ci tocca tutti, giorno per giorno. Nella mia vita da scout, quando io avevo 15 anni, si parlava di natura, c’era il brevetto natura e tante altre cose. Si usciva dalla città e ci si immergeva nella natura. Oggi anche all’interno dello scoutismo la natura è importante, ma si parla di ambiente, perché tutti i movimenti educativi e, primo lo scoutismo, hanno compreso che l’ambiente deve comprendere sia la natura che la città, il bosco, ecc. Allora ci si chiede come è avvenuta questa trasformazione, com’è nata questa nuova attenzione, questo nuovo rapporto personale con questo ambiente. Ad un certo punto siamo stati intimamente toccati: inquinamenti, aria, acqua, suolo, dissesti idrici.
È successo che questi drammi che sono emersi dentro ciò che ci circonda, l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali, le piante, la violenza urbana, certi aspetti di distruttività a cui non abbiamo assistito, tutta questa realtà, interpretata dai movimenti ambientali e, fate attenzione che le associazioni ambientaliste hanno avuto storicamente un grande ruolo, perché hanno interpretato il malessere della gente, dicendo il malessere ha questa origine. Il cambiamento di ottica che si è avuto da trent’anni a questa parte, anche negli stessi sistemi produttivi, mi riferisco soprattutto all’industria, meno al settore terziario, molto poco al turismo, molto poco anche all’agricoltura, tutto questo si è verificato grazie al terrorismo economico che ha in qualche modo provocato a pensare come risolvere questi problemi. E’ saltata fuori in quel periodo anche attraverso i movimenti ambientalisti un po’ sprovveduti. Molto spesso io stesso partecipavo e si era tutti un po’ naif per alcuni aspetti. Allora c’era un po’ la colpevolizzazione dell’uomo e si diceva: “Guarda l’uomo che disastri ha fatto”.
Adesso il discorso si è raffinato, si legge sui giornali o si sente a volte a qualche conferenza, che l’uomo è chiamato il cancro del pianeta. E’ un’espressione assurda, scientificamente errata, perché prima che l’uomo venisse sul pianeta sono successi tanti e tali disastri provocati non certo da lui e di ciò ne abbiamo la testimonianza. Non bisogna pensare che la natura lasciata senza l’uomo sia in tutti i casi uccellini, profumi. D’altra parte l’uomo venendo sul pianeta ha messo all’interno dello spazio, della realtà come l’arte, la musica, la pittura e l’architettura, ma soprattutto ha buttato nello spazio un altro essere vivente.
La natura ha un suo corso, il bosco e tutto il resto è un equilibrio e da qui nasce la qualità dell’ambiente. Per mezzo di un meccanismo di base che si chiama preda predatore, mangiare ed essere mangiati, inventando una catena alimentare le nostre acque sporche vengono depurate quando non sono presenti molecole non biodegradabili, la natura quindi funziona e l’equilibrio si ricostituisce proprio grazie a questa lotta. L’uomo ha inventato un altro modo di essere vivente sul pianeta, ossia quello della gratuità, della fantasia, della creatività, del fare comunità, del partecipare alla festa, alla gioia di vivere, al sacrificarsi: ciò ha costituito la novità dell’uomo. L’uomo ha fatto certamente delle stupidaggini quali l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, ma non per questo si deve dire che è il cancro del pianeta. Noi stiamo parlando di cultura nuova e quindi cerchiamo di puntualizzare bene i termini indicando come parola giusta “ambiguità”. Tutti noi abbiamo un carattere ambiguo, possiamo fare, creare un ambiente stupendo, dove la gioia di vivere ha le sue fondamenta concrete e reali o possiamo distruggerlo. Questo discorso dell’ambiguità apre un grande progetto educativo, ci si domanda quindi dove sia il progetto educativo di un padre, di una madre, dei movimenti. Il progetto consiste nel dare motivazioni, conoscenze, metodi per fare in modo che uno non distrugga, ma costruisca e diventi un attore con fantasia, con volontà di riuscita della sua realtà personale e costruttore di questa realtà che lo circonda, di questo ambiente. Allora voi capite che non è più una parola strana e vuota.
Il secondo aspetto è il seguente: l’uomo ed ognuno di noi (provate a confrontare con ciò che pensate voi) è dentro la natura, noi non siamo fuori o sopra, siamo dentro, facciamo parte della natura e costituiamo l’intera catena alimentare. Siamo talmente dentro la natura che se ad esempio noi creiamo un grosso inquinamento di una sostanza velenosa e poi ci buttiamo dentro non possiamo dire che non ci interessa, perché le conseguenze si ripercuoterebbero su di noi. L’ambiente esterno e la nostra realtà interna sono realtà inscindibilmente unite. Stiamo molto attenti, perché noi non possiamo modificare i mali in senso peggiorativo all’ambiente esterno senza avere un riflusso su di noi, sulla nostra psiche, sul nostro fisico e sulla nostra biologia. E perché? Perché siamo un tutt’uno, andiamo a fondo insieme o emergiamo insieme.
L’uomo è inserito nella natura, l’ambiente esterno gli è proprio. Certamente non lo è come una pianta o un animale che seguono le loro leggi, per cui secondo il tipo deterministico nella catena alimentare un carnivoro mangerà sempre un animale del livello precedente, un erbivoro mangerà sempre quell’erba, quelle cose che per istinto va a cercare. Verrà a sua volta mangiato dall’anello seguente se non si batterà per non essere mangiato o se non scapperà o si mimetizzerà. Questo è il determinismo che riguarda però solo le piante e gli animali. L’uomo ha un’altra caratteristica e cioè la consapevolezza di sé e dell’ambiente che lo circonda. Questa consapevolezza non ci pone fuori della natura, come normalmente si pensa, si scrive o si dice. Noi siamo dentro e finché non riusciamo a capire ciò e quindi abbiamo dei rapporti stretti da cui dipende anche il nostro stato di salute fisico e mentale, non risolviamo certi problemi. Noi in realtà siamo corresponsabili delle dinamiche esterne, siamo strettamente legati e ciò che ci caratterizza. Ci sentiamo responsabili, la responsabilità nella gestione di sé e del proprio ambiente che ci circonda. Tutto quanto noi facciamo giorno per giorno, nel nostro posto di lavoro, nella scuola, in officina, nello scoutismo per voi che siete scout, tutto questo dà un’entità ad ognuno di noi.
La cultura è quel complesso di idee che ognuno di noi ha, di espressioni che usa, di modi con cui si muove, di realizzazioni che ha fatto e questo fin da quando era ragazzino a uomo di 90 anni. La sua cultura è la sua identità.
La cultura non è una realtà che hanno solo coloro che leggono molti libri, coloro che fanno ricerca, come a volte si pensa. In realtà la cultura è l’identità di ognuno e vuole essere oggettivata e quindi abbiamo la cultura contadina, degli intellettuali, degli operai, dei giovani. Tanto è vero che per me, personalmente, non riuscirei oggi a capire e a convivere a livello di linguaggio con ragazzi di 16, 17 anni, è difficile perché hanno una cultura diversa, finché hanno 25, 30 anni riesco.
Ha una sua cultura anche la città: come la gente si muove, i monumenti che ci sono. Ciò vuol dire che la cultura nasce dal sistema dei rapporti che si creano fra tutte le realtà che formano la struttura di quella città, che formano quel gruppo. Quindi per noi personalmente, l’importante è diventare costruttori di rapporti nel modo migliore. Il progetto educativo che oggi la cultura ambientale ci chiede è di diventare costruttori di rapporti. Per quale motivo, secondo voi, un turista quando arriva a Brescia, non è ansioso di andare a visitare le periferie, ma piuttosto la città storica, non è ansioso di andare a visitare le fabbriche, a meno che non sia un industriale? Sembra strano, ma la nostra generazione non lascia segni nell’architettura che meriteranno nelle generazioni future di essere visitati. Noi non lasciamo memorie storiche e Brescia dopo di voi sarà rappresentata da quel Duomo Vecchio, da quella torre lì, ecc. I vostri vecchi di 500, 600 anni fa sono scomparsi ma hanno lasciato la memoria della loro identità. voglio dire nulla sulla nostra civiltà, il nostro è un periodo storico stupendo.
Io sono contento di vivere oggi, certamente non ieri o qualche secolo fa, dico solo che non lasciamo memoria storica a coloro che verranno dopo di noi. Ecco un altro esempio: noi facciamo le xerocopie e le mettiamo in archivio. Tra vent’anni quelle copie che sono state magnetizzate saranno fogli bianchi. Noi oggi scriviamo con le biro, ma l’inchiostro delle prime biro, perché adesso ne hanno inventato un altro, veniva assorbito dalle fibre della cellulosa e per esempio dei registri scritti con tali biro 15, 20 anni fa non c’è oggi più niente. Questo per dire che noi in questo momento minacciamo di non lasciare un’identità a coloro che verranno, di non lasciare delle memorie storiche, ossia di non dare un passato al futuro. Tuttavia la nostra generazione troverà il suo passato nella vecchia Brescia, nelle torri, nelle chiese e nei palazzi. Questo rapporto tra l’uomo e l’ambiente ha una sua storia e passando rapidamente questa storia potrete capire dov’è nato il senso di alterità, di dissidio tra l’uomo e la natura. Potete trovare sui giornali che il dissidio tra uomo e ambiente, ogni qualvolta che c’è qualcosa che non funziona, è stato prodotto da quella nefasta religione cristiana o ebraica. All’inizio del Paleolitico gli uomini cacciatori e raccoglitori vivevano in qualche modo governati dalla natura, come la pianta e l’animale. La natura determinava il vivere, il loro mangiare. Loro non coltivavano, raccoglievano, non allevavano, cacciavano. Era un periodo in cui faceva molto freddo, la fauna fredda era molto numerosa. Nel Mesolitico incomincia a riscaldarsi il clima, la fauna fredda fugge e lascia questa gente alla fame. Da qui nasce il senso di ribellione contro la natura, che è diventata matrigna, non dava più da mangiare. Gli uomini hanno quindi osservato come la natura produceva il cibo e l’hanno poi costretta a produrglielo. E’ nata l’agricoltura ed è nato l’allevamento come volontà di violare questa madre che era diventata matrigna in quanto non dava più da mangiare. Io penso, e così anche coloro che fanno ricerche su tale argomento che questo sia stato il primo argomento, che questo sia stato il primo momento, di alterità tra l’uomo e la natura. E’ nata quindi la civiltà del Neolitico, degli agricoltori, degli allevatori, una civiltà che poco alla volta ha sentito la necessità che questi uomini si radunassero e costruissero dei rapporti fra di loro per difendersi. Da questi rapporti nascono i primi villaggi, le prime grandi città, come ad esempio Gerico, Catalina in Turchia. Queste città nascono con delle mura enormi con all’interno delle torri per mettervi il frumento. Queste città divengono presto sede dell’artigianato e della difesa. Si costruisce quindi quella che è la “civitas” la civiltà, cioè il far costruire i rapporti, l’avere dei rapporti. La città nasce quindi come sistema di rapporti, cresce se realizza i rapporti tra i cittadini, tra chi comanda e chi ubbidisce. La città là dove emerge il riflusso nel privato diventa una anticittà, non serve più, allora mi spiegate come circa una ventina di anni fa, forse diciannove, ci sia stato quel movimento, certo non a Brescia, ma nelle grandi città ed anche nel Nord America, di fuga dalla città con quella frase: “Io ti odio città”. Le città venivano costruite sulle strade, erano le famose road-town. Oggi abbiamo imparato un’altra cosa che costituisce un altro passo della nuova cultura ambientale. Noi non siamo figli e padri della città, ma dobbiamo imparare a leggere la città. Chi tra di voi insegna deve iniziare a guidare i ragazzi a riscoprire la città. Quando noi eravamo ragazzini e qualcuno ci domandava dove si trovava la tal strada, noi eravamo pronti a rispondere, perché conoscevamo benissimo la nostra città. Oggi se voi domandate ad un ragazzino dov’è la strada tal dei tali lui non lo sa e magari è dietro casa sua. Questi ragazzi non vanno più ad esplorare ma, mediamente parlando, il riflusso nel privato è perpetrato dai padri ai figli. La città non serve più e diviene l’antichità, perde la sua specifica identità. La civiltà dei cacciatori, raccoglitori, degli agricoltori che è arrivata fino al 1950 nelle nostre zone che caratteristiche aveva? Per la civiltà contadina l’ambiente era una realtà concreta con la quale dovevano fare i conti. Pensate per esempio a tutti i proverbi e alla mitologia. Se vi è possibile raccogliete o fate raccogliere agli studenti i proverbi, prima che muoiano gli ultimi epigoni della cultura contadina. E’ questa una cosa importante, perché dopo di noi di cultura contadina non si saprà più nulla ed è quindi necessario mantenere una memoria storica. Ricordate quella frase che non è ad effetto: dare un passato al futuro. La civiltà contadina ha mantenuto un rapporto con l’ambiente che è dialettico, ma concreto e reale tanto più che riciclavano tutto, dalla fattoria contadina non usciva nulla. Per quanto riguarda l’Italia Settentrionale questa civiltà è durata fino al 1950.
C’è un terzo atteggiamento dell’uomo verso la natura, ossia quello dell’uomo controllore della natura che corrisponde al nostro atteggiamento. Questo è cominciato con la rivoluzione scientifica e con il metodo sperimentale. La rivoluzione scientifica ha recato dei grandi vantaggi all’umanità, non solo perché ha dato il via alla rivoluzione industriale, la quale ha dato ugualmente dei grandi vantaggi all’umanità, perché per esempio ha aumentato l’igiene, la possibilità di cure e quindi la salute, il cibo. La vita media ha cominciato ad avanzare, infatti arriva oggi a 75 anni in un numero consistente di persone, mentre prima arrivava a 40, 45 anni. Quindi la scienza, la ricerca scientifica che ha avuto l’avvio da qui, ha portato dei grandi benefici all’umanità. L’aspetto negativo è derivato dall’analisi di quelle aree di discipline che bisogna valutare per fare scienza sperimentale. Occorre per esempio studiare il corpo umano, quindi bisogna analizzare i singoli organi, il cuore, il fegato, ecc… Ogni organo, ogni sistema ha una sua scienza particolare, perché è necessario approfondire. Questo metodo ha dato dei grandi vantaggi, ma ha presentato un guaio di cui noi oggi paghiamo duramente lo scotto. Le discipline e non solo esse, ma tutti i comportamenti della società sono rimasti rigidamente separati l’uno dall’altro e da ciò è uscita la nostra cultura attuale che ha perso la percezione dei rapporti tra le parti che costruiscono la realtà. Pensiamo ad esempio ad una persona, o ad una classe e ad un consiglio di classe. Ogni professore presenta in consiglio il suo programma, il preside unisce i vari programmi facendo una sommatoria. Questa dovrebbe essere la programmazione didattica, ma non lo è. Ogni singolo professore entra in classe, fa la sua lezione, poi se ne va, ma ci si chiede allora chi è che insegna al ragazzo a costruire i rapporti fra queste cose; la realtà non è data da aspetti separati, ma è il risultato dell’interazione tra tutte queste realtà. Noi non siamo fatti di cuore, fegato, cervello, uno separato dall’altro, ma tutto è intimamente collegato con meccanismi delicatissimi. Io butto solamente un po’ di acido solforico nell’acqua, ma quell’acqua va a finire in un lago, poi in un fiume e quelle molecole si irraggiano in tutto il sistema in modo molto diluito. Occorre smobilitare la mentalità della separatezza. Una persona, un lago, un gruppo, una scuola, un piano regolatore, una società, sono dei dati da sistemi di rapporti. Non sono stati il metodo scientifico, né il metodo sperimentale che hanno individuato questa bella sortita e cioè l’ignorare i rapporti, ma il positivismo ottocentesco che ha così interpretato il metodo sperimentale. Per esempio il riflusso nel privato. Noi non ci realizziamo in isolamento dagli altri, ma dal confronto con gli altri, quindi uno che fa riflusso nel privato resta in qualche modo una persona non completa o per lo meno sarà sempre in difficoltà nei rapporti con gli altri, perché rimane infantile. Ci sono delle persone anziane rimaste allo stato adolescenziale. Io credo che queste siano cose che noi ormai stiamo superando ed in particolare i giovani. Quelli che tra loro sono più deboli cercano di superarli con delle fughe, ma non sono queste che li possono aiutare.
Occorre quindi fare una prima conclusione; finché i sistemi naturali, ad esempio all’interno di un lago, sono riusciti a metabolizzare l’inquinamento, le sostanze inquinanti, l’acqua è rimasta pura, quando però sono state buttate dentro delle sostanze non biodegradabili o molte di quelle sostanze che il volume dell’acqua non riusciva più a metabolizzare, sono saltati fuori tutti gli inquinamenti che noi conosciamo. Ogni nostra azione non ha una risposta immediata, ma certamente viene preparata una risposta in bene o in male. L’alternativa a questa cultura della separatezza è la cultura del sistema, la concezione sistematica dell’ambiente naturale, ma anche dell’ambiente di casa, di scuola della cultura intellettuale e dell’etica dei rapporti.

NOTA: testo,  rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 7.4.1989 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.