Pillole del ben vivere

Marta Perrini: Buonasera a tutti e benvenuti all’ultimo incontro del secondo ciclo di video-pillole della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura “riflessioni per tempi incerti”. È qui con noi Alessandra Smerilli, religiosa, salesiana, economista, professoressa di economia politica alla Pontificia facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma, socia fondatrice e docente della Scuola di economia civile, consigliera dello Stato Vaticano. Recentemente è stata inserita nel Comitato Donne per un nuovo Rinascimento dalla ministra Elena Bonetti. Mi appellerei proprio a quest’ultimo elemento, per chiedere ad Alessandra Smerilli se questo Comitato si è già trovato, se ha già idee concrete e se, a suo parere, questo momento di crisi e di difficoltà potrebbe dare il via a una rinascita, potrebbe diventare un’opportunità nuova, magari per costruire un’economia e una società più giusta.

Alessandra Smerilli: Buonasera a tutti. Sono contenta di poter condividere qualcosa con voi. Per quanto riguarda il Comitato, ci siamo già trovate più di una volta. È stato molto bello per me conoscere persone molto competenti, ma anche con uno sguardo fresco, nuovo sulla realtà. Nel Comitato, dopo esserci accordate sugli obiettivi, ci siamo divise in gruppi: sono nel sottogruppo che si occupa di riorganizzazione dei tempi di vita e di lavoro e di comunicazione. Sono due temi che ritengo importanti per quanto riguarda un nuovo rinascimento, che possa prendere in seria considerazione anche uno sguardo femminile e, quindi, rivedere i modi di comunicare e rivedere l’organizzazione di una società, intorno ai tempi di vita e di lavoro, perché tutti possano avere il diritto-dovere di lavorare, tutti possano occuparsi, come diritto-dovere, gli uni degli altri. È quella che chiamiamo “cura”, non cura professionale, ma come il prendersi cura gli uni degli altri che ci definisce come persone. Dobbiamo renderci conto dell’importanza dell’attività di cura, dal momento che, per esempio, nelle famiglie è successo che, dovendo rimanere in casa, gli uomini forse si sono resi conto di quanta mole di lavoro è necessaria, anche di cura e di organizzazione, per riuscire a portare avanti le attività della famiglia, del lavoro con i bambini a casa, eccetera. Potremmo avviare processi che potrebbero portarci a una nuova visione, che in realtà ho mutuato dalla filosofa canadese Jennifer Nedelsky, che abbiamo invitato per i lavori sia delle Settimane sociali dei cattolici sia di questo grande evento – adesso rimandato a novembre – voluto da papa Francesco, che ha convocato migliaia di giovani a ragionare su come costruire un nuovo futuro, anche per l’economia. È la società che costruisce le norme sul lavoro: oggi, un full time è di 38 o 40 ore di lavoro settimanali. La norma verso cui ci piacerebbe arrivare è che il nuovo full time sia il part time di oggi e, quindi, non più di 30 ore di lavoro alla settimana, ma non meno di 12-22 ore di lavoro dedicate al prendersi cura gli uni degli altri. Quando è necessario in famiglia, altrimenti nei condomini, nei quartieri, proprio come una società che si organizza partendo dalle piccole realtà aggregative. Il sogno è che l’essere umano sia proprio riconosciuto intorno al tema del lavoro e della cura e che, quando si incontra una persona per la prima volta, dopo il nome e cognome, la prima domanda non si sa che lavoro fai, ma di chi ti prendi cura, cioè l’importanza di una persona riconosciuta a partire dal suo essere anche per gli altri. Uno dei filoni su cui si sta ragionando è, quindi, costruire dei percorsi, perchè questa missione possa non essere un’utopia, cioè un non-luogo, ma possa diventare un’eutopia, cioè un buon luogo verso cui tutti vogliamo tendere. In fondo, con la pandemia, credo che tutti ci siamo anche resi conto di quanto sia insana una vita in cui tutti corriamo e non abbiamo tempo per altro.

Marta Perrini: Proprio seguendo il senso del suo discorso, si può affermare, già da ora, che le donne sono state le più sacrificate da questa pandemia?

Alessandra Smerilli: Sicuramente, perché sappiamo che, se è stato complesso per tutti gestire questa emergenza, sia rimanendo in casa che continuando a lavorare, per le donne forse lo è stato di più. Ma non solo: nel settore sanitario, dove le persone sono state più esposte nel lavoro della cura, abbiamo il 70% di donne. Quindi, anche nelle attività che sono diventate importantissime in questo periodo, le donne sono state più esposte. Sembrerebbe anche che siano più resistenti al virus, quindi forse va bene così. Però, sicuramente, hanno assorbito tanto e, purtroppo, le previsioni per il futuro non sono rosee. Perché chi farà più difficoltà a tornare al lavoro – sappiamo che verranno persi tantissimi posti di lavoro, dobbiamo prepararci a questo e bisognerà reinventarsi – chi è più a rischio, in questo momento, sono le donne. E lo sono anche per la difficoltà che ci sarà nel tornare al lavoro, dovendo avere i figli a casa perché le scuole non riaprono. Per questo è necessario che per quanto riguarda l’organizzazione dei turni di lavoro, per chi è lavoratore dipendente, ci possa essere un invito, non dico un obbligo, un’attenzione particolare da parte delle aziende a poter favorire turni differenti in una stessa famiglia. Se in una famiglia devono lavorare entrambi i genitori nello stesso momento, si creano grandi complicazioni per tutto il resto. Quindi, dovendo organizzare turni, spalmati un po’ su tutto l’arco della giornata per garantire le condizioni di sicurezza, si deve tenere presente se due persone sono in una famiglia e hanno dei figli a carico, si deve attuare tutta la flessibilità possibile con lo smart warking (ma che sia smart e non solo lavoro da casa con tutto il resto da gestire). Quindi, queste sono le piccole grandi attenzioni che una società deve assicurare, perché ancora una volta non siano le donne a soffrirne.

Marta Perrini: Nel suo libro “Pillole di economia civile del ben-vivere” ha parlato del modello comunitario come del punto di forza italiano, anche per quanto concerne l’aspetto economico. Volevamo domandarle se è una questione in qualche modo ancora attuale e se è ancora una prospettiva praticabile per il nostro Paese.

Alessandra Smerilli: Io credo non solo praticabile, ma auspicabile. Noi abbiamo visto, anche nella gestione dell’emergenza e della pandemia, che lì dove i servizi territoriali erano più diffusi la gestione è stata migliore. Come per l’emergenza, così per l’economia, per ripartire abbiamo bisogno che tutte le parti si attivino e, quindi, è necessario che si collabori ai vari livelli e che le imprese, così come le famiglie, possano avere un ruolo importante in questa ripresa. Che cosa intendo dire? Nel libro “Pillole di economia civile” cito la visione francescana secondo cui le imprese, per poter esistere, dovevano dimostrare di non sottrarre ricchezza al bene comune e la comunità doveva vigilare su questo. Oggi, in un momento in cui, forse, da un male collettivo abbiamo capito che cos’è il bene comune, abbiamo bisogno di verificare che le imprese non siano predatorie, ma contribuiscano a ricostituire il tessuto sociale ed economico di cui abbiamo bisogno, e tutta la comunità deve vigilare su questo. In questo senso parlo di modello comunitario. Io mi vorrei rivolgere anche ai cittadini, alle persone che in questo momento con le loro scelte possono fare la differenza: sono stata intervistata qualche giorno fa da una giornalista americana, che vive a Trastevere, a Roma, e si domandava che fine avrebbero fatto tutti i negozietti del quartiere che rendono questo quartiere molto particolare (sappiamo che è un quartiere turistico, ma anche molto caratteristico di Roma). Mi chiedeva se ci sono motivazioni etiche per scegliere non di comprare on-line, ma di acquistare in uno di questi negozi; io ho risposto che nel momento di difficoltà che abbiamo avuto, con i negozi chiusi, diventa veramente un imperativo quello di far ripartire chi è intorno a me. Sono preoccupato per me, chiaramente, ma non si riparte se non insieme e, quindi, diventano gesti importanti quelli di far vivere i negozi, man mano che riapriranno. Perché sappiamo che ci sono alcuni settori che non si sono fermati durante la pandemia, come il commercio online o anche i piccoli negozi che si sono attivati per portare a casa i prodotti, anche se è stato un salto per loro. Non tutti sono però riusciti a farlo. Per questo io credo che, come comunità, abbiamo il dovere di fare scelte, anche nei consumi, che permettano di far vivere chi è intorno a noi. Altrimenti si snaturerebbero i nostri quartieri e non ce la faremmo a ripartire. Tutti noi possiamo dare una boccata di ossigeno a piccole realtà, al di là di quelle che sono le misure giuste che attendiamo dallo Stato e dalle Regioni. È scelta personale che potrebbe sembrare una goccia, ma forse può essere quella che ci aiuta a rimetterci in pista tutti insieme. Nel libro “Pillole di economia civile” parlo di quella tradizione sarda che si chiama “sa paradura”, per cui quando un allevatore, un pastore, per calamità perde un gregge, tutti i pastori vicini si impegnano a regalare ciascuno una pecora e regalano la migliore che hanno, la migliore del gregge. Togliersi una pecora, non impoverisce il pastore. Chi riceve queste pecore da ciascuno, può ricostituire una parte del suo gregge, riprende a vivere. I pastori si privano della pecora migliore per comprendere su di sé che cosa vuol dire rimanere senza e, quindi, “sa paradura” vuol dire ritornare alla pari. Oggi, forse, abbiamo bisogno di fare questo gesto, che non è regalare pecore, ma fare scelte di consumi che aiutino a rimettere in piedi le persone che sono state bloccate durante questa pandemia.

Marta Perrini: C’è anche, mi pare di capire, un forte elemento di responsabilità personale, quindi, che ci attende. Le chiedo poi se questa situazione possa essere anche causa di un cambiamento per quanto riguarda la Chiesa cattolica. E se sì, in che modo.

Alessandra Smerilli: Non mi sono ancora soffermata a riflettere su questo perché sto ragionando sui temi e sugli aspetti economici. Sicuramente, come per l’economia, anche per la Chiesa – penso alla liturgia e alle azioni di carità – abbiamo vissuto un momento senza precedenti, che ci ha messo in contatto con qualcosa di nuovo, di imprevisto. Io, come religiosa, mai avrei pensato di passare più di un giorno senza la messa, per esempio. Quindi, ci siamo trovati di fronte a quello che sembrava impossibile, ma si è realizzato. Credo che anche questo momento possa essere molto importante per ripensare chi siamo noi, che cosa ci sta a cuore per davvero, come possiamo essere vicini alle persone in questo momento. Credo che dobbiamo far tesoro, anche come Chiesa, di tutta la fantasia che si è sviluppata in questo periodo. Sappiamo anche che molti sono stati in prima linea, ma forse molti si sono anche ritirati. Come Chiesa abbiamo anche sperimentato un’inedita vicinanza alla Chiesa universale, come ad esempio con le messe di Papa Francesco da Santa Marta e alcuni momenti fondamentali che sono stati seguiti in tutto il mondo. Un po’ ci hanno fatto avvicinare, come cristiani cattolici di tutto il mondo, e forse è stato un momento veramente unico nella storia. Credo che questo sia il momento di rivedere tutto e di chiederci cosa abbiamo imparato, cosa non deve tornare come prima, cosa forse, invece, non abbiamo compreso e in che cosa dobbiamo cambiare da questo momento. Io non vedo più una Chiesa che va avanti organizzando grandi eventi. Forse abbiamo capito che dobbiamo lavorare per processi, innescare processi e, passo dopo passo, arrivare alle persone e portare la buona notizia – perché questo è quello che ci spetta – con una speranza, però, ben fondata. Un’ultima cosa: le parole recepite, anche dalla Chiesa, durante questa pandemia, che si sono sentite vere, non sono quelle che partivano da riflessioni astratte, ma da chi ha dimostrato di vivere anche la paura, il dolore, e lo ha saputo rielaborare in sé, ha saputo offrire non risposte, ma segni di vicinanza. Credo che questo è lo stile che deve continuare a caratterizzarci.

Marta Perrini: Quali sono, secondo lei, le pillole del ben-vivere che ci possono accompagnare? Glielo chiedo, ovviamente, in generale, ma anche per noi, per i nostri ascoltatori, che con oggi termineranno di seguire questo secondo ciclo delle video-pillole. Anche noi prima avevamo realizzato solo incontri in presenza e, invece, approfitto anche di questo spazio per ringraziare le migliaia di persone che ci hanno, un po’ inaspettatamente, seguito on-line.

Alessandra Smerilli: Una pillola importantissima è quella della fiducia. Nonostante tutto, abbiamo un grande bisogno di continuare a fidarci gli uni degli altri. Senza la fiducia, l’economia e la società non ripartono. La fiducia è rischiosa, ma abbiamo bisogno di rischiare un po’ se vogliamo che tutto riparta e possa ripartire anche nel modo che speriamo. Abbiamo bisogno di connessioni, di interconnettere, di mettere in rete. Chi ce l’ha fatta, chi ce la farà è chi riesce a fare rete. A volte, in Italia, abbiamo parrocchie, parrocchiette: possiamo farcela solo se ci mettiamo tutti insieme. Abbiamo bisogno di speranza, una speranza fondata, una speranza che parte anche dalla cruda realtà, ma sa che il mondo può essere diverso se lo sogniamo in modo diverso. Cominciare a sognare è cominciare a vivere. Cominciare a guardare in modo diverso fa sì che le cose, con un’altra luce, possano mostrarsi nel loro divenire. In questo, io credo che i nostri fondatori, le persone che hanno inventato lo stato sociale in Italia (pensiamo a San Vincenzo e San Giovanni Bosco), hanno avuto questo coraggio di uno sguardo sulla realtà che sapeva andare oltre. Abbiamo bisogno di questi sguardi oggi.

(*) Trascrizione del testo non rivista dall’Autrice.