Credere, perché no?

Tematiche: Letteratura

Credere, perché no?

Ragionando, in vista di questa presentazione, sul piccolo ma prezioso volume di padre Giulio Cittadini ho cercato prima di ogni altra cosa di impedire che mi facessero velo l’affetto e l’ammirazione che nutro per padre Giulio. L’affetto sincero di un amico, l’ammirazione di un discepolo verso un maestro.

Ho cercato di ripiegare e mettere in parte questi sentimenti, come il sudario giovanneo…per pormi nella condizione critica di rispondere a queste domande: giovano queste pagine ad un pastore che è chiamato a trasmettere la fede, giovano al lettore di oggi? Perché? Per quali ragioni? Può essere una pubblicazione da far circolare, un sussidio per affrontare i temi capitali della vita?

Non solo la mia risposta è un entusiasta sì, ma è motivata da alcune ragioni.

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La prima: le ragioni del credere sono presentate con semplicità.

Oggi la semplicità è morta. L’abbiamo ammazzata col desiderio di far colpo, di stupire, di strappare applausi e consensi. Ma con conseguenze disastrose.

Massimo Baldini, in  una sua opera,  cita una barzelletta inglese, molto nota: dopo la funzione religiosa una gruppo di rispettabili signore salutano il pastore. Una di loro dice: “deliziosa, stupenda la sua omelia”. Poi si rivolge alle amiche e dice: “ma cosa ha detto”?

Inoltre nella deriva del  linguaggio e nella banalizzazione della comunicazione abbiamo identificato la semplicità con la povertà espressiva. Abbiamo fatto diventare la semplicità la caratteristica del minus abens del villaggio globale.

Invece la semplicità è grande virtù. La simplicitas latina è la capacità di raggiungere il fine direttamente, senza sprecare troppi mezzi. É toccare l’obiettivo con l’essenziale.

Noi abbiamo bisogno di parole semplici e chiare, che giungono al nostro cuore e alla nostra mente,  ci parlano, ci aprono, accendendo la fiamma del desiderio di cercare.

Uno dei più grandi e autorevoli giornalisti del Novecento, Enzo Biagi ha detto che “le verità che contano, i grandi principi alla fine restano sempre due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino”.

E papa Francesco, nei suoi discorsi, ha più di una volta ricordato la sua nonna, affermando che quello che gli insegnava da piccolo rimane ancora il fondamento della sua vita. E la nonna gli insegnava l’amore a Gesù, ai fratelli, ai poveri. Ai giovani e ai ragazzi papa Francesco ha ricordato che quegli insegnamenti ricevuti con essenzialità e credibilità  sono la chiave, il segreto del nostro futuro.

Sono il fondamento su cui possiamo continuare a costruire. Padre Giulio, nell’affrontare i temi della fede, ha adottato la semplicità della madre e della nonna catechista: ci conduce di fronte  alle poche cose che contano e che vanno tramandate da una generazione all’altra.

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Una seconda ragione. La semplicità non significa scarsità di conoscenza, di cultura, di sapere, mancanza di didattica, anzi. Il pregio di questo volume è proprio nel suo essere una lezione attraente che tiene conto di un percorso fatto dall’uomo con la ragione, la scienza e il pensiero filosofico. C’è vero magistero.

Conservo un bel ricordo personale, ormai lontano nel tempo quando nella pause di redazione de La Voce del popolo conversavo col direttore Mario Cattaneo.

Un giorno il nostro colloquio ci portò ad argomentare di come spesso oggi le nomine nella Chiesa sono fatte quasi per tappare buchi più che per rispondere ad esigenze inviando gli uomini giusti capaci di realizzare quanto ci si attende in quella missione.

E fra gli esempi che portò c’era proprio questo. In passato al Ginnasio Liceo Arnaldo da cui sarebbero usciti i futuri professionisti, i Vescovi nominavano insegnanti di religione gli Almici, i Manziana, i Cittadini…

Quello che il compianto prof. Cattaneo intendeva era chiaro. Ma oggi l’humus culturale che mezzo secolo fa c’era all’Arnaldo lo troviamo ovunque. E una parola autorevole, rispettosa, dialogica che con rispetto conduce per mano l’interlocutore a riflettere è necessaria ovunque. Con questo libro padre Giulio può aiutare tanti altri a tenere lezioni preziose per chi si confronta con la fede.

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Ho parlato di rispetto. Ed è questa un’altra ragione del pregio pastorale di questo volume.

All’inizio e in conclusione padre Giulio traccia un quadro veritiero della fede oggi. Posso attestare che le nostre comunità parrocchiali sono così. Di fronte a un gruppo di credenti, ci sono i tanti tiepidi, i lontani (gli allontanati…) gli atei devoti e gli atei che ricercano…Lo scritto di padre Giulio si rivolge loro con rispetto. Nessuno può giudicare. Natalia Ginsburg diceva che il credere e il non credere vanno e vengono, come le onde del mare…Dobbiamo entrare in punta di piedi e in silenzio nella coscienza dell’altro quando si mette di fronte a Dio e vuole una parola, per abbracciarlo, per negarlo…

La fede si propone, non si impone.

Quello di padre Giulio è uno stile da imitare nell’affrontare i temi della fede.

Non sono le crociate che salvano: è la luce dello spirito che prende possesso di un cuore semplice, umile.

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Un’altra ragione a favore sono i temi trattati che riguardano il credere non tanto nel suo aspetto intellettuale ma esistenziale. I vari capitoli toccano i temi capitali dell’esistenza: il vivere e il morire, il bene e il male, l’io e gli altri…Le grandi domande dell’uomo, quelle perenni ritornano:  chi sono? da dove vengo, dove vado? E poi la domanda sempre bruciante: se Dio c’è perché il male, perché soffro?

Padre Giulio non disprezza nessuna delle parole umane fiorite per rispondere a queste domande… ma alla fine emerge solo la forza della parola di fede che non si identifica con la cultura e la ragione, né le disprezza ma è altro: è la resa a Dio.

Quel Dio che è il primo alleato dell’uomo secondo la felice espressione di Benedetto XVI.

Ed è consolante pensare che un cammino di fede riguarda tutti. La fede è quella grande degli autori citati: da Agostino a Paolo, da Pascal a Newman, ed è la stessa delle nostre mamme.

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Ancora una osservazione pastorale: riguarda quello che potremmo chiamare la metodologia impiegata dall’autore nel sostenere la basilarità esistenziale del credere: troviamo intrecciati argomenti a favore della ragionevolezza del credere e argomenti tipici della fede come “salto nel baratro” per usare una espressione kirkegardiana.   Ma come dice il teologo Bruno Forte, con Dio non si discute, si capitola. Ed allora l’argomentazione di padre Giulio si concentra sulla fede che ci è stata data in dono, sulla rivelazione che ha al suo Centro Cristo. Sono abbondantissime le citazioni di Paolo e dei vangeli. Cristo è il centro della fede. E la Chiesa assume in pieno il suo senso se è relativa a Cristo.

Nella scelta di questa metodologia padre Giulio offre un contributo non piccolo all’Anno della fede e al suo obiettivo: un esame di coscienza sulla nostra fede oggi, o sulla nostra incredulità.

E molti passaggi del motu proprio di Benedetto XVI Porta fidei trovano una applicazione nel volumetto del Pellicano rosso: troviamo il gioco armonico fra fides qua e fides quae, troviamo la fides quaerens intellectum e l’intellectus quaerens fidem. Troviamo il conforto per chi crede, l’incoraggiamento per chi dubita ed è in ricerca, la mano tesa per chi non crede.

C’è anche uno sguardo lucido e disincantato alla attuale crisi di fede. Ma più forte di ogni crisi di fede deve essere la certezza, come ha detto il Papa nella sua lettera, che “la porta della fede è sempre aperta”. Per tutti, ad ogni età e stagione della vita e della storia.

Inoltre l’impianto del discorso sul credere non fa sconti: alla fine il credere che emerge è quello forte, libero, radicale del vangelo. E in questo mi permetto di affermare che l’opera di padre Cittadini è in sintonia con la preoccupazione di papa  Francesco quando sottolinea la necessità di lasciar perdere un cristianesimo da salotto o da ora del tè, per assumere una fede autentica , che porta a scelte più giuste e umane, anche se più costose. Questo è l’umanesimo cristiano.

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Da ultimo queste pagine hanno il valore della testimonianza. Se l’argomentazione è importante nel credere, l’esempio dell’amore è insostituibile. Paolo VI parlava di testimoni oltre che di maestri. Padre Giulio in questo libro è maestro credibile perchè la sua è una testimonianza. Insegna quello che vive, vive ciò che insegna. Da più di ottant’anni di vita e più di sessanta di sacerdozio. La sua è stata una vita spesa per gli altri, per amore, nella letizia della famiglia oratoriana filippina.

Mons. Tonino Bello, morto 20 anni fa: “se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, solo la carità ci fa essere creduti”.

Padre Giulio merita di essere creduto perché uomo di amicizia e carità.

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Non ho dubbi, concludendo queste mie valutazioni, affermando che padre Cittadini merita tanta gratitudine per questo libro. Non è la dimensione del volume a  fare grande un libro, come ben insegnano la Lettera a Diogneto o LImitazione di Cristo.

Si tratta di un dono perché  ci aiuta a credere.

Ognuno può dire io credo perché noi crediamo e noi crediamo perchè c’è sempre qualcuno che nella verità e nell’amore dice io credo.

Il poeta francese Charles Peguy usa una immagine affascinante del passato: come i fedeli entrando in chiesa si passavano di mano in mano l’acqua per il segno di croce, così ogni generazione passa all’altra il dono della fede.

Perché, potremmo dire con Giuseppe Tovini:  i nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, colla fede non saranno mai poveri.

Le pagine di padre Giulio, allora, sono un piccolo tesoro per tutti noi. Grazie.

NOTA: Testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 24.5.2013 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.