Psicanalisi e religione

EROS, FILIA, AGAPE1

Con i tre termini denotati nel titolo ci si riferisce a categorie dell’attività dell’uomo che è molto facile vedere diverse fra loro, pensando che ciò che è Eros non è Filia e non è Agape; considerando cioè ognuna di queste come una variabile a sé stante, rispettivamente esercizio dell’Amore sessuato, dell’Amore di amicizia e dell’Amore sacro, in un quadro in cui i rapporti ci possono essere ma dove sono soprattutto le contraddizioni che stabiliscono le reciproche relazioni.

Ma questa è una vera aporia, un errore, perché si tratta di aspetti dell’attività libidica dell’uomo che non sono in alcun modo scindibili: si tratta infatti di tre dimensioni dell’affettività che solo innaturalmente si tende a disarticolare, contrapponendo il primo al secondo e specialmente al terzo. Si può dire al proposito che è forte la tentazione di disarticolarli, la convenienza di vederli separati, ma tutte le volte che si fa questa operazione, in un modo o nell’altro si fa violenza alla natura; perché nell’Agape, nella Filia, è presente Eros e viceversa. Matrice comune di tutti e tre questi processi è infatti la libido, un affetto che produce gratificazione e soddisfazione di bisogni profondi e che colma il desiderio.

Occorre tuttavia fare uno sforzo per arrivare alla reciproca compenetrazione di Eros, Filia e Agape.

Per provare questa tesi è necessario ricorrere a un discorso più ampio e generale, un meta – discorso, e riferirci al proposito alla natura propria del soggetto umano, dicendone alcune cose che sono tutt’altro che scontate. La prima è che questo soggetto è costituito secondo una serie di inter-facce, e per inter-faccia si intende il fatto rappresentato per esempio da una moneta: dove ogni faccia indica la moneta intera e l’una non può concepirsi in disarticolazione dell’altra e la moneta è le due sue facce.

La prima inter-faccia che ci riguarda è nel nostro essere corpo ed essere mente, causa la costituzione secondo la dimensione biologica e quella psichica; in alcun modo esse possono essere disgiunte ma questo fatto riesce, alquanto sorprendentemente, molto difficile; quante discipline scientifiche, e specialmente nel campo della Medicina, si sono ancorate a questa disarticolazione per cui il corpo non è la mente, o meglio la mente è una dipendenza dal corpo, un suo epifenomeno e ciò che importa è solo la parte biologica. Per questa ragione si verifica facilmente, nelle Facoltà di Medicina, il rifiuto dei suoi docenti di integrare in essa il ruolo della Psicologia. Si tratta di una prima disarticolazione, che muove ad esempio alcuni psichiatri a vedere le malattie mentali soltanto come espressioni di processi biochimici e di disordine metabolico/neuronale e per la quale si aggrediscono i pazienti solo con farmaci, negando in essi la dimensione psicologica.

Al contrario noi siamo sempre “tutto corpo” e simultaneamente “tutta psiche”; perché quando parliamo, quando pensiamo, quando agiamo, esercitiamo certo le nostre attività neuroniche, muscolari e nervose, ma contemporaneamente ad esse esercitiamo le nostre attività psichiche: siamo una inter-faccia delle due dimensioni, una unità non separabile.

E il discorso non è così finito: siamo infatti costituiti secondo un’altra inter-faccia, che si combina con la prima ed è quella del sacro; è anche qui molto difficile, e forse più, tenere presente che la nostra costituzione di essere umano entra inevitabilmente nel sacro, inteso questo come categoria generale, quindi come sacro/divino e sacro/demoniaco, l’esecrando. Non è possibile che in tutte le nostre attività noi non sconfiniamo continuamente

nel sacro, e questo significa che ciò si compie nonostante ogni nostra intenzione o avvertenza al riguardo.

Un esempio patente della disarticolazione di questa interfaccia, del tutto inavvertita, si ha nella preghiera liturgica della Messa in rito latino, dove ancora oggi si dice “…sed tantum dic verbum et sanabitur anima mea” dimenticandosi così ufficialmente della mente…e del corpo! A questo proposito, all’altro estremo, alla Facoltà di Medicina della Università Cattolica (fondata da uno psicologo, Agostino Gemelli) si è del tutto recentemente perpetrata una disarticolazione del tutto paradigmatica e patognomonica: quella del rifiuto, da parte degli psichiatri del luogo, di un ruolo di Psicologia che era a piena e libera disposizione…E ciò, nonostante che per anni successivi io stesso abbia ricordato che se si voleva essere veramente una Università Cattolica, non era possibile pretendere di fare un salto dal biologico al sacro, ma occorreva disporre di una ulteriore dimensione, quella dello psichico, che a sua volta potesse inter‑facciarsi col sacro; ma purtroppo non fui ascoltato. Non è stato così possibile re-inserire un insegnamento di ruolo della Psicologia, già esistente all’inizio, perché gli psichiatri non l’hanno voluto, inferendo così un doppio vulnus alla Facoltà: quello del negare la inter-faccia biologico/psichica e, in aggiunta, quella psichico/sacrale.

Un terzo esempio, deprecabile, di disarticolazione fra interfacce si verifica infine nel comportamento amoroso, quando in esso si impone prepotentemente la dimensione biologico/corporea: la stessa diventa allora così pregnante da portare a vivere la primarietà, se non l’esclusività dell’amore solo sessualizzato.

Ora la difficoltà che si trova alla base di questi eventi è il fatto che noi siamo costituiti nella logica aristotelica, per la quale: una cosa è se stessa e non l’incontrario di sé, ciò che è buono non è ciò che è cattivo, ciò

che è vero non è ciò che è falso, ciò che viene prima non viene dopo, ciò che è piccolo non è grande: la logica bi-valente o aristotelica, per cui la verità esclude il terzo.

Pertanto, di fronte a queste antinomie, se si dice che noi siamo “tutto corpo” non risulta più possibile dire che “tutto è psichico”; ma si è visto prima che l’uomo è tutto biologico, tutto psichico e tutto sacro; allora dove va a finire la logica bi-valente? Si impone qui la necessità che, per capire questi problemi, si debba cambiare la logica e abbandonare quella in cui siamo calati da millenni, adottandone una per cui le antinomie ricordate scompaiano e tutti i termini si uguaglino: per cui il buono è il cattivo, il vero è il falso, il prima viene dopo, il piccolo è il grande.

E non si tratta di fantasie, di problemi fatti ad arte, ma di realtà nelle quali ci si imbatte fatalmente, ogni qual volta l’indagine va in profondità.

Nel campo psichico è la psicoanalisi che va nel profondo e si imbatte in questi processi di omogeneinizazione, per cui un fatto è i suoi due contrari al contempo, il mondo esterno è anche il mondo interno, il sintoma di una malattia è una verità ed è insieme una bugia, un soggetto è una persona individua e anche la parte di un gruppo: contemporaneamente, l’uno e l’altro dei due termini antinomici.

Si deve sottolineare che la stessa realtà si incontra anche al di fuori del campo psichico, paradigmaticamente in quello della fisica contemporanea: se si prende una qualsiasi materia, se ne approfondisce l’analisi, fino ad arrivare ai confini della indagabilità ci si trova di fronte a quelle creature bizzarre che sono le particelle, quarck, fotoni, muoni, i quali si presentano contemporaneamente, o meglio possono essere visti, sperimentati, come corpuscoli e come onde. Si comportano infatti secondo dei corpuscoli, in completa contraddizione con quelle di rifrazione riguardanti le onde, ma sono anche onde, con tutte le leggi relative ad esse e sono l’una e l’altra cosa insieme. E queste particelle non sono così perché adottiamo mezzi di osservazione per cui si evidenzia l’aspetto del corpuscolo o dell’onda, ma perché in sostanza essi sono così, in modo assolutamente confondente per la logica bi-valente; a livello di profondità questa non si applica più.

Siamo pertanto sollecitati alla ricerca di una logica in cui le antinomie sono accertate come una unità, come una sola cosa. E possiamo ritrovarne una nella c.d. “bi-logica” di I. Matte Blanco, della quale si potrà parlare in sede di discussione.

Possiamo a questo punto tirare le conclusioni che riguardano la tematica cui ci stiamo occupando, Eros, Filia e Agape; cominciamo allora a vedere come la loro disarticolazione è stata fatta e come porta ogni volta a risultati molto poveri, deludenti.

Come già accennato, è chiaro che Eros viene facilmente disarticolato dagli altri due parametri, come si ha ogni qual volta che si dà primarietà, o esclusività al puro amore sessuale e si dà dell’illuso a quanto ricercano invece l’Amore di amicizia o quello sacro. La predicazione dell’amore sessualizzato, disarticolato, mi fa pensare a quel personaggio della cinematografia, Tinto Brass, per il quale vale soltanto una cosa, una cosa del corpo femminile e solo quella. Una primarietà che permette di vedere la possibilità della disarticolazione del nostro trinomio a favore unilaterale del sesso erotico.

Tuttavia la disarticolazione può verificarsi anche rispetto all’amore di Amicizia, e mi basti ricordare alcuni aspetti della nostra cultura, come l’amore cortese; era un tipico amore di Amicizia, asessuato, profondo, vissuto come un impegno profondo di vita, non sacralizzato: l’amore per la Dama che non si toccava, una specie di fata, un gioco di bambini diventati grandi, o di grandi restati bambini. Analogo è l’amore platonico, non consumato, l’amore non incestuoso tra fratelli e sorelle o l’amore di certe comunità incentrate su un ideale laico, specialmente al loro inizio, al loro stato nascente, dove tutti i partecipanti sono ispirati da un profondo sentimento reciproco. Situazioni tutte che comunque fanno capire che manca qualcosa.

Anche rispetto all’amore del Sacro, a parte quello esecrando delle sette demoniache, come i c.d. “bambini di satana”, ricordiamo quello angelicato che si consuma soltanto in una specie di contemplazione narcisistica, senza produrre carità; è quasi solo per se stesso e rimane astratto, soddisfacendo il soggetto che ha rapporto con nessuno tranne che con quella divinità che si è auto-costruito, e in realtà rimane nel suo mondo privato escludendo qualsiasi tratto di amicizia o di tipo carnale.

In ognuno di questi fatti ricordati c’è un aspetto di limite, di negatività, di mancanza di senso perché il fine naturale della libido è la comunicazione e se si vuole dare significato a questi aspetti, che sono diversi fra di loro ma che sono sostanzialmente una unità (amore sessuato, di amicizia e del sacro), dobbiamo ritrovare in essi la comunicazione; essa è irrinunciabile e deve verificarsi secondo una tensione sempre più larga, più profonda. E’ proprio una simile comunicazione che fa l’unione fra Eros, Filia e Agape.

Cosicché si può dire che quando c’è questa tensione, questa ispirazione, Dio entra in tutte le dimensione di amore.

E’ presente nell’amore erotico, dove Eros non è più la passione di desiderio di cui parlava stamattina il prof. Melchiorre, ma è piuttosto quell’amore che ci viene consegnato dal Cantico dei Cantici, dove si descrive l’amore di un ragazzo per una ragazza; non necessariamente quello di uno sposo verso la sua sposa, come si è fatto in certe versioni del Cantico, ma di due amanti che si incontrano, che celebrano la unione dei loro corpi e così manifestano Dio. Il corpo come manifestazione di Dio, perché è l’intenzione che dà il merito ultimo dell’atto umano, la programmazione che spira verso Dio.

Desidero ricordare a proposito che ho avuto il privilegio, la fortuna, di partecipare alla cerimonia della inaugurazione del Giudizio della Cappella Sistina, quando fu svelato dopo il restauro, e Papa Woytila ad un certo punto sorprese tutti, come tante volte fa questo Papa, incominciando a tessere una esaltazione della glorificazione che Dio riceve dal corpo nudo dell’uomo e della donna; la nudità del corpo, l’essere nudi insieme come esaltazione della gloria di Dio creatore.

L’amore di Amicizia, anch’esso non deve essere disincarnato pur se muove verso Dio, per cui non possiamo non sentire l’affiato amoroso, anche carnale, della Maddalena ai piedi di Gesù, che lo guarda affascinata da Lui, al punto da motivare le rimostranze della sorella, una gelosia femminile scattata proprio per l’avvertenza di un elemento di tipo corporeo…

Ancora, Chiara e Francesco, Scolastica e Benedetto: amicizie che non erano disincarnate anche se avevano niente di natura sessuale, amori sacralizzati non privi di componenti corporee e ciò sta nell’ordine delle cose; come è chiaramente confermato dall’amore sacro che si ha nelle estasi mistiche, maschili e soprattutto femminili, perché nel volo mistico non è assente l’orgasmo sessuale, che è segno anch’esso della loro partecipazione all’incontro con Dio.

Difficoltà in queste cose vengono specificamente dagli elementi di piacere che sono connaturati alla libido; se non ci fosse il piacere, il discorso sarebbe assolutamente più semplice, come ci può indicare una analogia molto semplice e molto dimostrativa: quella di una comunicazione non più traguardata dalla prospettiva libidica che ha sotteso tutto il nostro discorso, che è quella della parola.

La parola nasce da un bisogno dei tessuti, che hanno bisogno di ossigeno e che muovono il mantice respiratorio producendo il fiato; ora questo appartiene anche alle bestie, eppure proprio da qui nasce la parola. Se non respirassimo, neppure parleremmo, ma chi mai direbbe che la parola è bestiale perché nasce dal fiato? Così quelli che teorizzano che il sesso si riduce tutto all’inturgidamento degli organi sessuali che esigono quindi una scarica, compiono il medesimo errore di chi riduce la parola al respiro, l’uomo alla bestia.

La parola si articola quasi esattamente come Eros, Fìlia e Agape, perché è come Eros nel discorso; ci si parla quando ci si vuol bene e si vuole comunicare, come quando si dice che due che si vogliono bene “si parlano”; la parola può anche essere più fredda, come quando si scrive e qui può corrispondere alla Filia, in cui il sesso è tacitato non è più in primo piano ma vi è comunque una corresponsione di affetto che può essere molto profonda. E l’Agape può bene corrispondere al canto, perché cantando insieme si arriva a corrispondersi nella pienezza di tutti i sentimenti, e si può pensare che in Paradiso si canti, che la Trinità stessa canti.

In questi ragionamenti non emergono difficoltà, perché manca il piacere; al contrario la libido è sostanzialmente espressione di piacere e da diecine di secoli lo stesso è stato demonizzato; persino l’amplesso coniugale, in quanto non poteva prescindere da una fruizione di piacere è stato visto con sospetto, come un minore peccato. Per cui, se era possibile lasciar passare qualche giorno prima di fare la Comunione o meglio confessarsi, era molto meglio… Questo ha fatto calare una cappa di colpevolezza sul sesso, semplicemente in quanto questo è intessuto di un grande piacere! E si è arrivati a veri assurdi per evitare il piacere, che è poi una creatura di Dio e che è presente in tutte le attività libidiche, specialmente quelle che spirano verso Dio.

E’ presente ovviamente nell’amore erotico, sessuale, ancora di più nell’amore di amicizia ed è soprattutto presente nell’estasi mistica.

E ricordiamo infine che le cose sono tutte, sempre, immerse nel mistero; se vogliamo fare una sintesi di tutto quanto si qui detto, possiamo dire che noi tutti siamo chiamati a godere, in quanto figli di Dio, e tuttavia vi sono alcuni che hanno esperienze del tutto particolari, meravigliose di Amore: sia nel campo erotico, come i due ragazzi del Cantico dei Cantici, sia nel campo della amicizia, e nel campo del rapporto diretto con Dio, in particolar modo nella esperienza mistica.

A questo proposito si potrebbe quasi dire che Dio si comporta, verso il genere umano, seguendo delle iniziative, o degli impulsi, analoghi a quelli del cuore dell’uomo, e che a riguardo dei mistici, delle mistiche, è come se avesse delle predilezioni A Lui piace concedere ad alcuni, e non ad altri, i suoi favori specialissimi, questi pochi Egli prende nel Suo incontro di Amore. E’ un mistero, perché Dio è libero e fa quel che vuole, quindi scegli qualcuno dei suoi figli, e figlie, per far loro parte dei tesori della Sua predilezione, mentre gli altri…arrancano.

E noi siamo fra quelli che arrancano, cercando di fare del nostro meglio…

1 Testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 26.11.1998 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.