Seneca – Uno dei pensatori più umani della classicità

Fonte: Seneca. L’immagine della vita a cura di Matteo Perrini, La Nuova Italia, Firenze 1998.

Seneca, uno dei pensatori più umani della classicità

          Seneca è uno dei pensatori più umani della classicità. In lui si percepisce ancora, qua e là, il titanismo solitario del “saggio” stoico; ma non è affatto questo aspetto a colpirci e a farci simpatizzare con lui. A destare in noi una risonanza non facilmente cancellabile è qualcosa d’altro: l’appassionata richiesta, ad esempio, di un giudizio critico su noi stessi e sui moventi del nostro agire; la consapevolezza delle ambivalenze della vita; oppure la tensione eroica dell’uomo, che si sa fallibile a ogni passo ed esposto allo scacco e, tuttavia, non desiste dall’emendare e dal trasfigurare se stesso, né si stanca di giovare agli altri. Fine, penetrante nell’analizzare la logica delle passioni, il filosofo romano è uno di quegli spiriti – il primo dei quali è Socrate – profondi nell’esplorazione dell’animo umano e implacabili nel denunciare quegli alibi, quelle maschere dietro cui l’io tenta di nascondersi a se stesso, prima ancora di mentire agli altri. La modernità e il carattere esistenziale del pensiero di Seneca ci sorprendono e ci stupiscono in particolar modo quando egli passa a delineare la dialettica del vissuto, cioè delle forme di esistenza che caratterizzano, in ogni momento, l’ “humana condicio”: ci riguardano, infatti, da vicino i temi dell’intreccio di miseria e grandezza di cui è intessuta la nostra vita, dell’enigma del tempo, del rapporto dell’io col danaro e con i “valori d’opinione”, della paura della morte e della vittoria su di essa, del dono insostituibile dell’amicizia. Si aggiunga, poi, che Seneca è anche psicologo finissimo e medico dell’anima nel senso più alto del termine.

La sua vita fu intensamente drammatica, perché si svolse tra situazioni estreme. Seneca disponeva di enormi ricchezze e nello stesso tempo aspirava al più ascetico distacco interiore; godeva di un grande prestigio e possedeva un’eloquenza di rara efficacia, ma ciò non lo mise al riparo da odi tenaci, dall’esilio e da una morte violenta. Denunciò come nessun altro prima di lui l’alienazione dell’uomo, la “vitae iactura” (“De brevitate vitae” 9, 1), il continuo spreco che facciamo dell’esistenza e giudicò la possibilità di riuscire a non muoversi e a stare con se stessi come il primo indizio di una mente equilibrata e di una volontà che intenda sottrarsi alla dispersione e al conformismo. Avvertì nello stesso tempo la responsabilità del potere e accettò il rischio di far politica. Seneca servì il bene comune con coraggiosa lungimiranza e con straordinaria capacità realizzatrice, finché gli fu possibile; e pagò le sue scelte con la vita.

Seneca è filosofo nel senso pieno della parola, perché la sua ricerca affronta tutti i temi che specificano ogni autentica interrogazione sul senso della vita. L’orizzonte esplorato è dunque ampio e Seneca pensava, con ragione, che se l’uomo vietasse a se stesso di porsi le domande di fondo e di cercarne le riposte più razionali, o meno inadeguate, nello stesso istante rinuncerebbe a essere uomo. Allora, sì, verrebbe voglia di dire: “Non valeva la pena di venire al mondo” (“Naturalium quaestionum” 1, praef. 4).

Il punto di vista a cui la ricerca è finalizzata, ciò che meglio caratterizza l’opera di Seneca sta nel primato che egli conferisce alla vita morale, in piena sintonia con Socrate e Zenone, prima di lui, e dopo con Immanuel Kant e Antonio Rosmini. Dante, dunque, vide giusto e non espresse affatto un giudizio limitativo quando, nel consacrare la grandezza del pensatore di Cordova, lo pose nell’anti-inferno tra gli spiriti magni, dei quali diceva “del vedere in me stesso n’esalto”, e ne segnò per sempre la fisionomia e la funzione storica in due sole parole, chiamandolo “Seneca morale” (Inf. 4, 141). Seneca, però, è riproposto qui per un’altra fondamentale ragione. Egli è il vero fondatore dell’umanesimo politico, il filosofo che si è battuto per uno Stato di diritto e per un diritto mite, ponendo su nuove basi il problema della schiavitù. Il pensiero politico del filosofo romano è profondamente innovatore e il suo recupero in forma organica è uno dei risultati a cui mirava questo lavoro.

L’immagine della vita” è un volume nato da una lunga familiarità con tutte le opere di Seneca, e in primo luogo con le “Lettere a Lucilio”, che rimane uno dei grandi libri dell’umanità, uno dei più ricchi di verità e bellezza, l’unico che nell’antichità sia stato scritto espressamente per i futuri lettori. Seneca confidava nell’efficacia del dialogo a distanza, nella libera comunicazione degli spiriti attraverso il libro, nel risveglio delle coscienze all’amore “contumace” della verità e del bene. “Habebo apud posteros gratiam”. “Troverò accoglienza presso i posteri” (Ad Luc. epist. 21, 5). Fu questa la speranza che illuminò l’intensa fatica degli ultimi anni, quando ormai era da attendersi qualsiasi infamia da un potere divenuto dispotico e sanguinario. L’umanità finora gli ha dato ragione, anche perché Seneca merita quanto ebbe a sperare. Pochi come lui, infatti, possono aiutarci a ritrovare la coscienza dell’universalmente umano, cioè di quei valori senza i quali il vivere non è più un vivere da uomini.