Si firma “zio Matteo” (e ne fa di tutti i colori)

“Vita bresciana”, supplemento della rivista Madre, 31 gennaio 1983

Sulle cartoline ama firmarsi “Zio Matteo”, anche se la parentela non esiste. Con i giovani che lo circondano e lo aiutano a portare avanti quella bellissima realtà che è la CCDC, Matteo Perrini, il professore, si sente un poco come un secondo papà. Un papà, magari – e questo sia detto bonariamente – a volte un po’ “rompino”, con le sue idee fisse, ma del quale non si può e soprattutto non si vuole fare a meno perché, a ben vedere, ogni consiglio ha una sua ragion d’essere.
Il mio primo incontro con Perrini, a parte precedenti visite “familiari”, risale ai tempi del Liceo, quando in un clima certamente non facile – diciamo pure di intolleranza e faziosità politica (1974-1976) – il “professore” era veramente uno dei pochissimi insegnanti disposti a darci una mano per invertire la tendenza. Partecipava alle nostre riunioni e, visto che non avevamo né cercavamo protezioni partitiche, per “autofinanziare” il nostro gruppo che aveva spese di volantini, cartelloni e simili, ci forniva gratuitamente per venderli libri che noi, immancabilmente, …non riuscivamo a vendere. Non per niente, infatti, proprio qualche giorno fa, riordinando le mie cose, ho ritrovato pile di testi mai sfogliati. Ma questo non conta: l’importante, come si dice, è il pensiero. E Perrini lo aveva avuto.
Alla fine del Liceo, è partita l’esperienza della CCDC, oggi al sesto anno di attività. Quante “gatte da pelare” da parte di Perrini! Quante estati alle prese con problemi di natura economica: sì perché la CCDC ha un bilancio più che roseo per quanto riguarda la sua presenza culturale, ma più che verde nei suoi conti economici. Si sono succeduti fino ad oggi due consigli di amministrazione ma, a parte qualche volonteroso “adulto”, Perrini si è sempre trovato a presiedere un consiglio di giovani e di giovanissimi che spesso poi, dopo aver cercato e non trovato la sua automobile (“dimenticata” chissà dove), ci portava in qualche “bettola” a bere una birra o, perché no, quel succo di pompelmo che in casa sua non manca mai.
Nella libreria di corso Magenta 21, Matteo Perrini è un personaggio che – l’esperienza insegna – è preferibile non incontrare. Eccellente venditore, è capace di farti acquistare un tomo di duemila pagine di Kierkegaard (nonché le “sue” Confessioni di S. Agostino) mentre tu volevi l’ultimo di Charlie Brown. Per fortuna qualcuno ha capito “l’antifona” e qui, pubblicamente, devo confessare che ricevuto in regalo un “agile volumetto” (come lui li chiama), dopo averlo ringraziato, una volta sono tornato in libreria per cambiarlo con uno più frivolo. Non se la prenda, professore: d’altra parte così fan tutti…
Come tutti gli uomini di buona volontà (e… santa pazienza), Perrini ha una sua dimensione familiare. Con la moglie Gianna, concreta quanto lui in certe questioni – non mi picchi, professore – ha la testa fra le nuvole, ama ritirarsi in quel di Sale Marasino per disintossicarsi della vita cittadina. A Natale, è usanza da parecchi anni, dopo la Messa di mezzanotte, la sua casa diventa il ritrovo di un mare di giovani alle prese con … panettoni e pettegolezzi. Qualche volta ha ceduto al fascino dell’alta montagna, lui pugliese, salvo poi, dopo un’ora di cammino chiedere “fantozzianamente” di morire in pace sulla nuda terra, come San Francesco.
Se, poi, vi capita di andare in qualche città d’Italia ad un convegno senza una stanza dove poter trascorrere la notte e (per caso) lo incontrate tra migliaia di persone, siete a posto: la sua camera diventa anche la vostra.