Una Chiesa per il mondo

Carissimo fratello Mons. Luigi, carissime suore, carissimi fratelli, felicemente miei cari amici. Non sono così ingenuo da pensare che siate venuti qui per vedere i miei begli occhi o ammirare il mio perfetto italiano. Siete qui perché, al di là dei punti di vista, dei punti che ci dividono, c’è fra tutti noi, cattolici e non cattolici, cristiani o non cristiani, credenti o non credenti, un denominatore comune che ci avvicina e ci affratella: siamo decisi a creare un mondo nuovo, più respirabile, più giusto e più umano. Avrò la fiducia di parlare a voce alta davanti a voi, senza pretendere, in nessuna maniera, di imporvi i miei punti di vista; spero che abbiate la pazienza di ascoltare la mia testimonianza, che non viene soltanto dalle labbra. Posso ingannarmi in quello che vi dirò, ma tutto ciò che vi dirò viene da chi ama veramente gli uomini di tutte le razze, di tutte le lingue, di tutte le religioni, inclusi coloro che si dicono atei; poiché io credo profondamente che tutti, senza escludere nessuno, abbiamo lo stesso Padre: e ciò ci affratella. E siamo persino fratelli di sangue, poiché tutti ci affratella il sangue di Cristo, versato per noi, senza esclusione di nessuno. Da qui, dall’Italia, mi è stato suggerito un grande e bel tema, per il nostro incontro di oggi: Cristo, la Chiesa, gli uomini. Arriveremo lì, con la grazia di Dio. Ma preferisco partire dagli uomini, arrivare a Cristo e, dopo, alla Chiesa.

Perdonate il mio italiano: capisco la vostra lingua; ma, ahimè, soltanto le mani e il cuore parlano italiano molto bene. Ma peggio è quando si è della stessa nazione, si parla la stessa lingua, alle volte si abita nelle stesse case, ma è impossibile comprendersi. Con l’aiuto di Dio e la vostra buona volontà, troveremo il modo di comprenderci.

Ma chi siamo noi, gli uomini? Noi siamo i privilegiati di Dio, nella creazione. Sarebbe stato molto facile per Dio creare l’universo perfetto, bello e finito, senza alcun difetto: ma come sarebbe stato monotono, trovare tutto così perfetto, senza aver più niente da fare! Dio ha soltanto dato inizio all’evoluzione creatrice; non abbiamo paura di dire: “Il Creatore ha voluto l’uomo come co-creatore, e lo ha incaricato di dominare la natura e completare la creazione”.

Il campo dell’intelligenza, la corrispondenza è totale: Dio certamente si rallegrerà, felice, vedendo i suoi piani divini assunti dall’uomo, che ha già le condizioni per sopprimere la miseria di tutta la terra. Dio ha accompagnato le vittorie dell’uomo, che oggi ci sembrano piccole, ma furono e saranno sempre formidabili. Il fuoco, la ruota; oggi l’uomo stesso ci spaventa per ciò che è riuscito a fare, a creare, per mezzo dell’intelligenza che ha ricevuto dal Creatore Padre, intelligenza che è un riflesso della stessa intelligenza di Dio. Il computer, l’energia nucleare, l’inizio dei viaggi spaziali, portano tutti a domandare se l’uomo non è avanzato troppo, se non stia invadendo aree private di Dio. E’ chiaro che Iddio non avrà gelosia dell’uomo: quanto più avanti l’uomo riuscirà ad arrivare, nelle sue scoperte e nelle sue invenzioni, tanto più gloria darà, che lo voglia o no, per ingrato che esso sia o diventi, al Creatore, senza la cui grandezza, senza la cui bontà, l’uomo ritornerebbe al nulla. Ma nel campo dell’egoismo, l’uomo continua ad essere ancora una scimmia.

L’ONU considera urgente la creazione di un nuovo ordine economico internazionali: l’Organizzazione sente l’impatto terribile di una civilizzazione in cui un gruppo ridotto dell’umanità mantiene nella miseria, in condizioni sotto-umane, i 2/3 degli uomini. Il Concilio di Roma ha dato allarmi che non sono riusciti a smuovere l’egoismo dei super-ricchi, provando come la società dei consumi, il cui vero nome dovrebbe essere “società dello spreco”, in breve condurrà l’umanità a crisi terribili dovute all’esaurimento delle materie prime, come il petrolio oppure all’accrescersi dei deserti a causa della distruzione delle foreste e al progresso galoppante dell’inquinamento. E perché non parlare della pazzia della corsa agli armamenti, della preparazione della guerra nucleare e della guerra biochimica, per cui gli Stati Uniti e la Russia dispongono già di arsenali, venti volte più grandi della carica necessaria per la eliminazione totale della vita sulla terra? Perché sempre imperi? Un giorno anche voi siete stati “impero”; l’impero romano ha dominato tutta la terra allora conosciuta! Numerosi imperi precedettero il vostro e, al vostro, vari imperi seguirono: Portogallo, Spagna, Olanda dominarono già i mari e il mondo. Dopo, la regina assoluta dei mari fu l’Inghilterra, sul cui impero il sole non tramontava mai. Alla fine della IIa guerra mondiale, la vecchia Inghilterra, sebbene dalla parte dei vincitori, ha visto la dominazione del mondo passare agli Stati Uniti. Però, in breve, l’URSS diventò rivale del nuovo impero. America del nord e Russia, come superpotenze rispettivamente del capitalismo e del socialismo, sanno approfittare molto bene delle loro mutue divergenze e sanno camminare insieme quando a loro conviene.

Sembrava che, in un determinato momento, fosse arrivata la fine del colonialismo: gli imperi europei sorti in Africa e in Asia furono un pretesto, da parte dell’Europa, di favorire il progresso asiatico e africano. Posso ingannarmi, ma quando contemplo, con particolare amicizia, il continente africano, l’impressione dolorosa che ho è di vedere le nazioni africane, mie sorelle, incominciare un’esperienza dolorosa, già fatta dall’America Latina più di un secolo e mezzo fa: l’esperienza della solo indipendenza politica, senza l’indipendenza economica e culturale. Ho l’impressione che tre poteri, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, lottino per aiutare l’Africa nel loro interesse. Spero che io mi inganni, ma ho l’impressione dolorosa che, nell’Africa e nell’Asia, un neo-colonialismo si stia seminando e si affermi. Quanto all’America Latina, in un modo più sofisticato, lo voglia o no, continua ad essere un satellite degli Stati Uniti. Basta vedere come dal National World College passi, alle nostre scuole superiori di guerra, l’ideologia della sicurezza nazionale, in cui, sotto il pretesto di evitare il comunismo, siamo caduti nella dittatura di destra, con il nome sofisticato di “governi autoritari”. Infatti, nel 1973, la commissione trilaterale America del Nord, Europa Occidentale e Giappone, decise che alle nazioni del terzo mondo occorreva una democrazia sociale, un aiuto, ma non un’autentica democrazia politica. E le multinazionali divennero potenti come nessuno impero, tra i numerosi che dominarono e dominano questo caro suolo degli uomini.

Forse ci inganniamo noi, del terzo mondo, quando abbiamo l’impressione che le grandi compagnie multinazionali siano la nuova faccia dell’imperialismo; forse, nelle nazioni industriali, queste si comportano in modo diverso: esse sorgono come conseguenza inevitabile della moderna tecnologia. Nell’era del computer, delle macchine sorelle dei cervelli elettronici, che fanno il lavoro di centinaia di uomini, con mezzi di comunicazione e trasporti ultraveloci, non interessa fabbricare soltanto per Brescia, o soltanto per l’Italia, o soltanto per l’Europa: la scala diventa rapidamente mondiale. Perché interessa, alle multinazionali, venire nel terzo mondo? Esse vengono con la scusa di aiutarci. Hanno bisogno delle nostre materie prime, poiché è incalcolabile come la società dei consumi sprechi materia prima. Tutto è prodotto in modo fragile, apposta per essere gettato via e per obbligare ad acquistare ciò che si presenta ogni anno con qualche novità. La propaganda si incarica di provare che non si può fare a meno del nuovo prodotto. Pagare non costituisce un problema, visto che si vende a credito: questa è un’illusione terribile e una nuova forma di dominazione.

Le multinazionali, quando arrivano nel terzo mondo, trovano già i ricchi delle nostre nazioni, che mantengono la propria ricchezza a scapito della miseria dei loro concittadini. Nasce un’alleanza naturale tra i dominatori locali e i sopradominatori che arrivano. E’ importantissimo, per le multinazionali, trovare paradisi per gli investimenti; materia prima acquistata con facilità e lavoratori che ricevono uno stipendio vile. Tentazione molto seria per le multinazionali, quando operano nelle nazioni sottosviluppate, è contare su governi autoritari, che non consentono contestazione né al parlamento, né alla stampa, né ai sindacati, né i partiti politici, né alle università.

E Gesù Cristo, che c’entra in tutto questo? C’entra! E molto. Cristo, Figlio di Dio che si è fatto uomo, viene sulla terra soprattutto per insegnarci che Dio Onnipotente è Padre di tutti noi e che tutti dobbiamo trattarci veramente come fratelli. Non soltanto in Chiesa, nel momento della pace, dopo di che ciascuno torna a casa sua. Quando domandarono a Cristo quale era il più grande comandamento, egli non esitò nel rispondere che il primo e più grande comandamento è amare Iddio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto l’intelletto; però Cristo ha subito completato con un altro comandamento, uguale al primo: amare il prossimo. E dice ancora: “in questi due comandamenti c’è tutto: la legge e i profeti”. Cristo insegna che non basta dire: “Signore, Signore”. Arrivò al punto di dire che quando qualcuno ha fame, sete, si trova nudo, prigioniero o senza patria, Egli soffre con lui. Rimane a fianco con chi è oppresso, ridotto in una condizione sottoumana, chi è calpestato, senza distinzione di razza. E la vita insegna che niente si assomiglia tanto alle dittature di destra quanto le dittature di sinistra: sono considerate come due poli opposti e invece si affratellano nella potenza, nella mancanza di rispetto verso la libertà, nel clima di sospetto e di paura, nelle torture e nella liquidazione sommaria delle vite.

Cristo fece minacce terribili ai ricchi; minacce che i Padri della Chiesa presentarono aperte e lampanti e che noi addolciamo al punto da renderle irriconoscibili. E’ vero che Cristo, che viveva tra i poveri, fu anche nelle case dei ricchi e mangiò con loro. Ma Zaccheo, dominato dalla grazia, distribuì la metà delle ricchezze ai poveri. La conversione personale è indispensabile, ma non è sufficiente. Oggi vi sono strutture di ingiustizia e ingranaggi di oppressione: bisogna arrivare a smuovere queste strutture ingiuste. Però sarebbe un errore gravissimo voler incominciare con movimenti armati. Se facciamo la pazzia di voler usare le armi i cui fabbricanti e i grandi padroni sono gli stessi oppressori, in pochissimo tempo saremo schiacciati.

Ma in questo momento, in cui la società dei consumi arriva a degli impatti terribili, e in cui la nostra società arriva all’assurdo di lasciare nella miseria e nella fame oltre due terzi degli uomini, la grande arma è l’unione dei piccoli nelle loro comunità di base. Senza odio, senza appello suicida alle armi degli oppressori, i piccoli imparano che è facile schiacciare una persona isolata, oppure dieci, venti persone; ma nessuno potrà schiacciare comunità intere, che si uniscono per difendere diritti che non dipendono dai governi, non sono invenzione degli uomini o generosità dei potenti: sono diritti che proprio Dio ha inciso nella nostra carne, nel nostro sangue, nella nostra anima.

E per dare un appoggio morale ai piccoli delle nazioni povere, a quelle che fino ad oggi erano senza voce, lo Spirito di Dio risveglia, nell’interno di tutte le nazioni, di tutte le razze, di tutte le religioni, gruppi sempre più numerosi, decisi ad aiutare la creazione di un mondo più giusto e più umano. E la Chiesa, che cosa fa e che cosa deve fare? Cristo disse: “la verità ci farà liberi”. Abbiamo il coraggio di riconoscere che la Chiesa è divina nel suo fondatore: il Cristo. Ma è consegnata alla nostra fragilità umana. Questo è ciò che ci salva: che, sebbene consegnata alla nostra fragilità, la Chiesa continua ad essere di Cristo, e lo Spirito di Dio, nel momento giusto, la strappa dagli ingranaggi nei quali la nostra fragilità l’ha costretta. “La verità ci farà liberi”. Come pretendere di dimenticare lo scandalo di questo secolo? E’ cristiana, almeno di nome e di origine, la maggioranza delle nazioni ricche che in maniera ingiusta diventano sempre più ricche, schiacciando la quasi totalità del mondo; è cristiana la maggioranza privilegiata che nelle nazioni povere dell’America Latina esercitano un vero colonialismo interno, mantenendo la propria ricchezza e schiacciando migliaia di concittadini.

Vi sono però segni evidenti di speranze: le lettere dei Papi, soprattutto da Leone XIII fino a Paolo VI, esigono sempre di più giustizia come condizione per la pace. Noi, vescovi di tutto il mondo, riuniti al Concilio Ecumenico Vaticano II, intorno a Papa Giovanni e a Paolo VI, abbiamo reso viva la presenza di Cristo nel mondo di oggi. Ci siamo impegnati ad imitare il Cristo, ad intraprendere tutti gli sforzi perché la presenza della Chiesa sia ad imitazione del Signore, che non venne per essere servito, ma per servire. Desideriamo vedere nella Chiesa un organismo che funzioni come antenna sensibile, capace di percepire e denunciare tutte le grandi ingiustizie del mondo di oggi, da qualsiasi parte esse vengano, dall’ovest o dall’est, dal nord o dal sud. L’organismo creato da Paolo VI è la Pontificia Commissione per Giustizia e Pace, che svolge un servizio formidabile per il nostro terzo mondo. So che abbiamo ancora molto da camminare. Ma quando Paolo VI riunì i vescovi dell’America latina, in Colombia, dieci anni fa, ci siamo accorti che eravamo troppo legati ai governi e ai potenti, preoccupati di salvare l’autorità e il cosiddetto ordine sociale. Con l’approvazione piena del Santo Padre, ora denunciamo le strutture di ingiustizia nel nostro continente e il colonialismo interno nella nostra America Latina; e la Chiesa di Cristo nell’America latina aspetta felice di essere perseguitata per amore della giustizia.

Negli Stati Uniti, la Chiesa si trova totalmente impegnata ad aprire gli occhi alle ingiustizie che schiacciano migliaia e migliaia di creature umane, ha avuto il coraggio di domandare se i neri, i messicani, gli indios, i cinesi, le donne si sentono liberi e percepiscono che c’è giustizia verso di loro. La Chiesa degli Stati Uniti ha fatto ancora di più: ha portato il popolo nord-americano a riflettere se è sufficiente che vi sia la giustizia, la libertà, all’interno della nazione, anche se il prezzo di ciò è di sopraffare la giustizia e la libertà in altre nazioni. Diciotto vescovi degli Stati Uniti hanno scritto una lettera pastorale, dimostrando che nella nazione più ricca del mondo vi sono 40 milioni di creature in una situazione indegna della condizione umana. Abbiamo molto ancora da camminare; ma ci sono segni evidenti di speranza nella posizione della Chiesa in tutto il mondo.

E qui, in Italia? Anche in Italia i soldi di casa non fanno miracoli: nessuno è profeta nella propria terra. Però, carissimi fratelli, se credete in me, permettete che io vi dica: sapete chi è il mio leader? E’ il Papa, che è andato alle Nazioni Unite, e alla presenza delle nazioni che fabbricano le armi, fabbricano le guerre, alla presenza delle nazioni che, in maniera assurda, immagazzinano armi nucleari con la capacità di liquidare la vita sulla terra, ha condannato apertamente la guerra, e ha fatto sentire al mondo intero il suo grido indimenticabile: “Non più la guerra, non più la guerra!”. Sapete chi è il mio leader? E’ un Papa che ha pronunciato la parola più giusta, più coraggiosa sulle ingiustizie, il Papa che, nella “Populorum Progressio” ha dato la più bella e precisa definizione dello sviluppo, facendo vedere come non è autentico qualsiasi sviluppo che non sia lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Sapete chi è il mio leader? E’ un Papa che, ottant’anni dopo che Leone XIII aveva scritto la celebre enciclica “Rerum Novarum”, ha presentato un panorama coraggiosissimo dei molti problemi umani del nostro tempo. Sapete chi è il mio leader? E’ un Papa che ha avuto il coraggio di proclamare che difendere la giustizia nel mondo di oggi è parte integrante dell’evangelizzazione.

Il mio maestro, è Cristo. Il Vangelo mi basta; il mio leader, con gioia lo dico in Brescia, è il pellegrino della pace, il Papa Paolo VI, che dà a noi, a tutti noi Chiesa, sacerdoti e laici, e a voi qui presenti, il compito, l’impegno di realizzare questa giustizia, che è la giustizia di Dio.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 25.11.1977 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.