Il dramma della Chiesa in Ucraina

Autori: Dacko Iwan

IWAN DACKO [1]

Non ho avuto la fortuna di nascere nella mia patria ucraina, perché durante l’ultima guerra mondiale i miei genitori furono deportati per i lavori forzati dai nazisti. Sono nato, subito dopo la guerra, nella zona britannica della Germania e sono quindi un “prodotto occidentale” dell’Ucraina. Ma ho avuto il grande privilegio di essere dal 1976 il segretario particolare di un confessore della fede, il patriarca della Chiesa cattolica ucraina, che è stato nei campi di concentramento sovietici il cardinale Josyf Slipy. Vi racconterò ciò che egli mi ha riferito.
Se vogliamo dare uno sguardo approfondito alla storia della Chiesa, constatiamo un fatto: praticamente non ci fu una giornata nella quale non ci fossero martiri o confessori e non poteva essere altrimenti: il nostro Salvatore Gesù Cristo, infatti, nacque, visse, soffrì e morì sulla croce per la nostra salvezza. Quasi tutti gli apostoli sono morti con la morte del martirio. Basta guardare i primi capitoli degli Atti degli Apostoli e leggiamo l’episodio del martirio del santo protomartire e arcidiacono Stefano, per continuare con i cosiddetti protomartiri romani, che per oltre tre secoli, nella clandestinità, testimoniarono la loro fede con la vita e col sangue. E fu proprio questo sangue il seme di altri cristiani, di nuovi martiri, di nuovi confessori.
Anche nei secoli successivi, nel Medio Evo, nel Cinquecento, nel Seicento, in qualche angolo della terra si è continuato a morire per Cristo, per la Chiesa, per il Papa. Negli ultimi quarant’anni, come nella Lituania, nella Cecoslovacchia e negli Stati dell’Est europeo, la croce del martirio ha toccato in un modo speciale la mia patria, l’Ucraina.
L’11 aprile del 1945 furono arrestati tutti i membri della gerarchia greco-cattolica dell’Ucraina occidentale e, nei mesi successivi, più di 1400 sacerdoti, quasi 2000 religiosi e religiose, decine di migliaia di fedeli, mentre i seminaristi furono arruolati nell’Armata Rossa. Tutta questa gente fu imprigionata, deportata nei vari campi di concentramento, i gulag sovietici, perché volevano rimanere fedeli alla Chiesa di Cristo e al Papa. Infatti il persecutore ha fatto sì che la nostra Chiesa cattolica ucraina, che è di rito orientale, venisse dichiarata fuori legge il Io marzo 1946. Negli anni successivi tutti i nostri vescovi sono morti nei campi di concentramento o in prigione. Essere cattolico in Ucraina significa commettere un reato e finire in carcere.
L’unico sopravvissuto è stato il nostro patriarca, il cardinale Josyf Slipy, condannato in seguito a processi segreti prima a dieci anni e poi ad otto anni di carcere, in prigione dall’aprile 1945 al gennaio 1963. La funzione dell’incarcerato Slipy era la pulizia dei gabinetti. Numerose furono le torture subite: aghi messi tra le unghie, calci e percosse che gli hanno provocato per tre volte la frattura delle braccia, condizioni di vita subumane (fu costretto, ad esempio, a convivere in piccole celle con quaranta persone, in gran parte criminali comuni). Diciotto anni di martirio al quale mise fine Papa Giovanni XXIII che, grazie ai buoni offici del presidente Kennedy, si prodigò per la liberazione del nostro cardinale e la ottenne dal potere sovietico.
Questi sono fatti che non si possono negare e che purtroppo accadono ancora nel nostro tempo. Il persecutore pensava di uccidere la fede, di stroncare il cattolicesimo nella mia patria, entro dieci, al massimo, venti anni. Ma constatiamo un fenomeno che non possiamo spiegare in termini puramente umani, ma solo facendo riferimento alla realtà della grazia: non solo nella mia patria ucraina, non solo in Unione Sovietica o nei Paesi dell’Est, ma ovunque la Chiesa è perseguitata, come nei primi secoli, il sangue versato è il seme di nuovi cristiani. Infatti noi nell’Occidente, nella cosiddetta società del benessere, spesso ci lamentiamo che le vocazioni scarseggiano. Vi posso dire che in Ucraina negli ultimi dieci anni più di mille ragazze giovani sono diventate suore: negli ultimi 15 anni abbiamo avuto quasi 1200 ordinazioni sacerdotali nonostante la nostra Chiesa sia clandestina, catacombale, e si rischi di persona a professare la propria fede. Una madre, che ha ammesso davanti al tribunale di aver insegnato ai suoi bambini le preghiere e il catechismo, è stata condannata a tre anni di carcere; un sacerdote, che ha amministrato l’estrema unzione a una donna ammalata, ha dovuto scontare 18 mesi di prigionia.
Nonostante ciò giovani, medici, ingegneri, operai, contadini, fanno dono della loro vita a Cristo diventando sacerdoti. Infatti il nostro cardinale, sopravvissuto al gulag, ha consacrato un nuovo vescovo e questo, a sua volta, ne ha consacrati altri. Naturalmente il Papa fu informato e abbiamo una gerarchia clandestina: dieci vescovi nuovi. E questi vescovi educano altri sacerdoti. Abbiamo una specie di seminario clandestino. Cinque anni fa è pervenuto al cardinale Slipy un rapporto nel quale si descriveva l’ordinazione sacerdotale di dodici novelli sacerdoti da parte di un vescovo clandestino, non in una cattedrale o in una bellissima chiesa, ma in una cantina. I nuovi sacerdoti non avevano nemmeno i paramenti da indossare, solo piccole stole. Forse la loro scienza teologica non è quella dei laureati in teologia, ma certamente il loro zelo pastorale, il loro amore per Cristo e la Chiesa è così forte che diffondono la parola di Dio a tutti i credenti e anche ai non credenti.
Infatti la stragrande maggioranza delle nostre chiese è chiusa; è pervenuta una fotografia dall’Ucraina, dove la gente inchioda una icona sulla porta sprangata della chiesa e si ritrova lì, la domenica o nei giorni di festa, a pregare. La polizia segreta (KGB) ogni tanto prende qualche fedele e gli affibia una multa di cinquanta rubli, non per qualche delitto, ma perché prega davanti ad una chiesa chiusa. Nelle chiese ancora aperte i fedeli si uniscono di domenica, accendono le due candele, mettono il Vangelo e il calice sull’altare e cantano le parti della liturgia che possono essere svolte dai fedeli. Ecco alcuni esempi della fede nella mia patria.
Ci sono anche episodi interessanti: atei, comunisti che combattono Dio, invitano il sacerdote non nel loro paese, ma molto più lontano, per far battezzare i propri figli o celebrare loro il matrimonio. Sappiamo di suore, che lavorano negli ospedali e che non vengono denunciate dai medici, perché si dedicano con tanto fervore e carità ai propri malati. Ci sono anche suore che, nonostante le circostanze difficili, praticano la perpetua adorazione (sono generalmente le suore anziane, che ormai non possono lavorare). Non voglio annoiarvi con troppi esempi, ma questi sono i martiri e i confessori di oggi. Essi danno la diretta testimonianza della fede.
E ora una riflessione conclusiva. Noi tutti apparteniamo alla Chiesa di Cristo, al corpo mistico della Chiesa: ciò significa che quando un membro è malato, l’altro membro sano interviene con l’aiuto e col sostegno fraterno. I nostri fratelli ucraini sono una Chiesa del silenzio, ma noi qui possiamo parlare, abbiamo il diritto, anzi il sacrosanto dovere di parlare dei martiri e dei confessori di oggi. Noi ora vi abbiamo fatto conoscere fatti inoppugnabili. Da oggi in poi non potete dire di non sapere di queste cose perché noi vi abbiamo informato. La sorte dei martiri e dei confessori non ci può essere indifferente, se ci vogliamo chiamare veramente cristiani. Innanzitutto dobbiamo pregare per i martiri e i confessori di oggi, affinché Dio conceda loro la grazia e la forza di portare questa croce fino in fondo. Come cristiani dobbiamo anche amare i nostri nemici, dobbiamo pregare anche per i persecutori dei cristiani affinché Dio scuota i loro cuori.

[1] IWAN DACKO è nato il 9.9.1947 a Velbert, nella Germania Federale, da genitori ucraini deportati dai nazisti nel 1941. Nel 1971 viene ordinato sacerdote e dal 1976 ricopre l’incarico di segretario particolare del card. Slipy, carica che ha mantenuto fino alla morte del cardinale avvenuta il 7.9.84. E’ il coordinatore delle azioni caritative verso la Chiesa cattolica ucraina di rito orientale.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 13.1.1984 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.