La nostra storia

Se dovessimo indicare in estrema sintesi lo spirito, l’ispirazione profonda della nostra testimonianza di fede e cultura, ecco i testi fondamentali che amiamo ricordare a noi stessi e a quanti ci hanno seguito nel nostro cammino. Il primo è tratto dall’Apologia di Socrate, 38a: "Una vita senza l’esame del pro e del contro non è degna per l’uomo di essere vissuta". Il secondo è di San Pietro, Prima Lettera 3, 14-16: “Non abbiate paura e non vi turbate. Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza, con rispetto e con retta coscienza”. Il terzo appartiene a Sant’Ambrogio ed è citato ben quarantaquattro volte nell’opera di Tommaso d’Aquino: "Una verità, da chiunque ci venga fatta conoscere, viene sempre dallo Spirito Santo."

L’UMANESIMO CRISTIANO:
FONTE DI ISPIRAZIONE E STILE DI VITA.

(1976 – 2001 – Nel XXV anno di attività della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura)

La Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, costituita legalmente nell’aprile 1976, iniziò il suo cammino a Brescia nell’autunno dello stesso anno e, pertanto, nel 2001 compie venticinque anni di età. La nascita della Cooperativa fu un atto di coraggio e di protesta nel clima di generale disorientamento e di intimidazione allora dominante. In quel tempo la crisi del post-Concilio si palesava in tutta la sua carica distruttiva e dissacrante e, in campo cattolico, si profilava una risposta errata, un cedimento al tradizionalismo, di cui si fece portavoce il vescovo Lefebvre, e all’integralismo, intimamente ostile anch’esso al Concilio e al dialogo tra Chiesa e mondo moderno. Quegli anni videro in Italia l’esplosione del terrorismo rosso e nero, il sacrificio di uomini come Bachelet e Moro e di tanti servitori dello Stato, la dissoluzione inesorabile di un sistema politico che si era preclusa ogni possibilità di ricambio. Occorreva prendere coscienza della gravità della situazione e fare subito, per piccola che fosse, la nostra parte, senza attendere coperture e finanziamenti. Fu così che il 13 novembre del ’76 la Ccdc dette inizio alla sua attività in città e nella provincia.

Il primo impegno della Ccdc era, dunque, quello di interrompere la troppo lunga latitanza dei cattolici in campo culturale, vincendo resistenze e timori (la libreria della Cooperativa fu assaltata due volte) , per far riscoprire, soprattutto ai giovani, i valori più alti dell’uomo e la forza liberatrice del messaggio cristiano. Nel testo del primo volantino la nostra diagnosi e lo stile della nostra testimonianza erano espressi in questi termini:

Contro la perdita d’identità, le filie servili e i mimetismi di non pochi; per la riscoperta del patrimonio culturale, religioso e civile del cattolicesimo.

Contro l’avvilente conformismo, le interpretazioni riduttive, le deformazioni settarie di turno e le esclusioni sistematiche; per restituire slancio interiore a quanti si riconoscono nel messaggio cristiano e a coloro che non hanno smesso di cercare e di cercarsi.

Per queste ragioni dal 13 novembre, in Brescia, inizia la sua difficile ma necessaria presenza la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. Le finalità a cui intendevamo ispirarci erano indicate nel nome stesso, nella ragione sociale del nostro sodalizio. Il termine “cooperativa” mette in valore la struttura di lavoro associato e la totale gratuità del servizio che s’intende rendere alla città. Tutto, sin dall’inizio, doveva poggiare su un impegno concretamente individuato e condiviso, in scelte assunte in piena autonomia nei confronti dei partiti e delle ideologie. E fu una vera fortuna che, fin dalle prime battute, i giovani e i giovanissimi avessero nella nostra cooperativa un ruolo protagonista. L’obbedienza alle regole statutarie divenne subito una prassi mai abbandonata, sicché nella Ccdc le decisioni sono state prese sempre attraverso un libero convergere di valutazioni e senza imposizione alcuna.

L’ispirazione cristiana era esplicitamente affermata, ma noi non abbiamo mai cercato di metterci al riparo delle istituzioni ecclesiastiche, o di chiuderci a riccio nella difesa anche di ciò che non meritava di sopravvivere: la nostra testimonianza di fede e di cultura esigeva, infatti, che si uscisse all’aperto e che ci si confrontasse liberamente con gli altri, senza arroganza e senza complessi d’inferiorità, nella certezza che i valori perenni dell’umanesimo e del Vangelo possano trovare accoglienza anche nel nostro tempo. La difesa della libertà della cultura si univa naturalmente a quella della democrazia, in quegli anni di piombo duramente contestata. Per noi il problema vero era e rimane l’autenticazione effettiva della democrazia nel nostro Paese e l’animazione morale della politica: la democrazia è, infatti, sempre da costruire nelle coscienze e nelle istituzioni ed è sempre minacciata da ciò che può distruggerla. Per molti anni i pericoli maggiori sono stati la falsificazione comunista del bene e l’intreccio perverso di affari e politica divenuto sistema negli “anni di fango” (1977-1993); ora la tentazione micidiale sta nel rovesciamento della priorità e nella degradazione della politica a pubblicità e a organizzazione di interessi personali, a una sorta di mercato in cui tutto si compra e tutto si vende attraverso la scheda elettorale. Noi avversiamo ogni forma di parassitismo e di pseudo-socialità, ma siamo più che mai convinti che se la libertà serve solo a favorire la corsa al profitto, lasciando che il destino degli altri si compia nell’indifferenza, allora alla lunga la democrazia diventa illusoria. Se la libertà non sfocia nella solidarietà, prima o poi è destinata a sparire del tutto. Il nostro compito non è mai stato quello di servire un partito o un’ideologia: noi ci siamo adoperati a superare la scissione fra cultura e spiritualità, che corrode nell’intimo l’Occidente, inserendo anche la problematica politica nel quadro ben più vasto della riscoperta delle origini classiche ed ebraico-cristiane della nostra civiltà, perché la speranza di avere un futuro è direttamente proporzionale al movimento di riappropriazione creatrice dei nostri valori fondanti.

Se avessimo atteso di avere i quattrini per incominciare la nostra attività, la Ccdc, non sarebbe mai sorta. D’altro canto, la precarietà della situazione economica ha avuto un riscontro positivo: è stata per tanti giovani come un appello esigente alla generosità e al servizio totalmente gratuito. Il primo contributo di una certa consistenza mi fu consegnato nel giugno del ’76 da un’amica, Maria Pia Forte, che aveva insegnato matematica e fisica all’Istituto Magistrale “Veronica Gambara” di Brescia. Incontrandomi in via Tosio, mi aveva chiesto: “In questa situazione di sfascio, che cosa intendi fare per i giovani?”. Le risposi parlandole brevemente del progetto a cui volevamo dare concreta attuazione. La sua risposta fu immediata: “Oggi ho ritirato la buonuscita e la metto a tua disposizione”. Ricordo con commozione anche come mi pervenne la seconda consistente offerta. Nel novembre del ’76 avevo incrociato casualmente Lodovico Montini in Piazza Loggia. Gli consegnai il testo del primo volantino. Egli lo lesse con viva partecipazione e mi disse: “Domani parto per Roma e lo consegno a Giambattista”. Il risultato fu del tutto inatteso: dopo alcuni mesi, tramite il vescovo di Brescia monsignor Luigi Morstabilini, Paolo VI mi fece pervenire come suo contributo personale la somma di lire cinque milioni, scusandosi di non poter fare di più per un’iniziativa tanto necessaria perché in quei giorni aveva dato ciò di cui poteva disporre ai terremotati della Turchia. Sento il dovere di ricordare tra gli amici che nei primi dieci anni ci aiutarono a pagare le cambiali – e senza che noi glielo chiedessimo – Raul Franchi, Giacomo Rosini e l’indimenticabile padre Giuseppe Olcese, dell’Oratorio della Pace. La Pace, del resto, fu sin dal primo incontro la nostra vera casa, il luogo in cui ci siamo sentiti sempre accolti con generosità e profonda amicizia, trovando particolarmente nei padri Carlo Manziana e Giulio Cittadini i nostri interlocutori illuminati e discreti.

Bisogna riconoscere che la novità della Ccdc fu colta soprattutto dai gruppi di estrema sinistra, che ci avversarono sistematicamente. Era quello il tempo in cui il cosiddetto “partito armato” – cioè l’ultrasinistra fiancheggiatrice delle Brigate Rosse – trovava molto seguito fra i giovani e le loro manifestazioni a Brescia erano imponenti, anche perché ai militanti della provincia si univano spesso quelli di Bergamo, Bologna e Padova. Non mancarono i segni della loro speciale attenzione nei nostri confronti: la libreria della Ccdc, che pure sorgeva in centro, in corso Magenta, due volte fu assaltata e distrutta in pieno giorno, il 5 febbraio 1977 e il 7 maggio 1978. Come non ricordare che il 16 marzo di quel terribile 1978 Aldo Moro fu sequestrato dalle Brigate Rosse e il 9 maggio, dopo cinquantacinque giorni di prigionia, fu ritrovato cadavere nel portabagagli di un’auto? L’esplosione eversiva aveva ormai toccato l’apice e la Repubblica attraversava la crisi più spaventosa della sua storia.

Occorreva fronteggiare con decisione la barbarie della violenza pseudorivoluzionaria, da una parte, e dall’altra la chiusura integralistica. Non a caso fin dai primissimi incontri pubblici la Ccdc aveva posto all’attenzione della città due temi fortemente caratterizzanti come il dissenso nei Paesi dell’Est e l’ecumenismo. Jurij Mal’cev parlò de Le tensioni spirituali nella letteratura del dissenso sovietico, il valdese Renzo Bertalot e il cattolico Gianni Capra presentarono la prima edizione ecumenica del Nuovo Testamento, in quei giorni appena pubblicata. Dalla prima conferenza del dicembre ’76 all’incontro con Italo Lana, che si terrà alla ripresa autunnale il 4 ottobre 2001, dedicato a Tacito, lo storico che cerca oltre il limite conosciuto, la Ccdc ha offerto alla città in venticinque anni quasi 400 occasioni di cultura. Il nostro proposito era far emergere i valori di fondo andando anche decisamente contro corrente, come spesso è accaduto, e aprire un varco negli animi agl’ideali che rendono la vita degna di essere vissuta: i diritti dell’uomo, la pace e lo sviluppo dei popoli; la responsabilità della scienza, l’europeismo, il dialogo ecumenico, le grandi testimonianze religiose; la difesa degli oppressi e in particolare le testimonianze più significative sugli orrori dei sistemi totalitari, nazismo e comunismo, e delle dittature in America Latina e in Africa; l’analisi critica delle ideologie dominanti e lo smascheramento dei miti di turno.

Un osservatore distratto può avere l’impressione che gli incontri della Ccdc si succedano in ordine sparso, ma la Ccdc non è mai stata una sorta di agenzia per “noleggiare” i big del momento, o i nomi di maggior richiamo, nutrendo un’istintiva diffidenza verso ogni forma di manipolazione pubblicitaria. La programmazione delle iniziative, pur mantenendo una necessaria elasticità ed evitando deliberatamente cicli monotematici, si svolge all’interno di alcuni filoni ben precisi ed è stato opposto un cortese rifiuto a sollecitazioni che l’avrebbero allontanata dal suo impegno e dal suo tipo di servizio. Gli ormai venticinque libri e quaderni di cultura, pubblicati in collaborazione con altre istituzioni bresciane, sono lì ad attestare la sostanziale organicità e coerenza delle nostre proposte. È certamente molto difficile, se non impossibile, misurare l’efficacia di una presenza culturale. Come un messaggio venga recepito, interiorizzato ed entri a far parte della coscienza di una persona è qualcosa di misterioso; se, però, ci limitiamo ai dati esterni, possiamo constatare che Brescia ha apprezzato il taglio della nostra proposta culturale: un taglio di alto profilo e di grande competenza e, insieme, di estraneità totale alle diatribe e alle insulsaggini della cronaca. La Ccdc non ha mai avuto un pubblico precostituito e le centinaia di persone che partecipano alle sue iniziative sono richiamate esclusivamente dagli argomenti proposti e dalla autorevolezza dei relatori. D’altra parte, lo sforzo compiuto per portare a conoscenza del maggior numero di persone le nostre iniziative costituisce il capitolo più cospicuo di spesa nel nostro bilancio, così come i rapporti di stima e cordialità con i giornali e le televisioni locali favoriscono una diffusione molto vasta del messaggio culturale.

La Ccdc è stata molto attenta anche a valorizzare la spinta liberatrice dell’arte e la capacità straordinaria che hanno i grandi scrittori di risvegliare nell’uomo la domanda di senso. Frutto di questa esplorazione sono due libri che hanno riscosso grande successo. Nel primo, Da Leopardi a Montale – Aggiornamenti di letteratura otto-novecentesca, sono raccolte le conferenze tenute sulla poesia di Leopardi, Manzoni, Gozzano, Ungaretti, Rebora, Montale, Luzi; il contenuto del secondo volume, Da Dante a Pascoli – Lettura di testi esemplari della lirica italiana, è indicato dal suo titolo. Dal ’95 è iniziato un nuovo ciclo che ha per tema: “Il varco è qui?”- La ricerca dell’Assoluto nella letteratura. Gli autori europei di cui si è tentato di evidenziare l’itinerario spirituale sono già parecchi: Shakespeare, Hopkins, Eliot, Joyce, Beckett; Goethe, Schiller, Rilke, Kafka e Thomas Mann; Racine, Baudelaire, Proust, Camus e Bernanos; Dostoevskij e Pasternak.

Un altro strumento di documentazione e di approfondimento è costituito dall’organizzazione di mostre. Tra le più significative ci piace ricordare quelle su L’Europa romanica, Il primato della coscienza nella resistenza tedesca al nazismo e Democrazia anno uno, in cui si esponevano i manifesti delle prime elezioni libere in Cecoslovacchia. Il catalogo della mostra, stampato nel novembre del ’90, fu presentato subito dopo, nel ’91 al ministro cecoslovacco della cultura a Praga. Grande risonanza ebbe tra i giovani la mostra su La Rosa Bianca, a celebrazione dell’eroismo dei cinque studenti universitari tedeschi e di un professore che contro Hitler sacrificarono la loro vita per la libertà dello spirito e l’onore dell’uomo. Ed è una gioia per noi constatare che nell’aprile 2001 è giunto alla quarta ristampa il volumetto in cui sono pubblicati sei puntuali interventi su quel nido di resistenza e il mirabile discorso tenuto il 15 febbraio 1993, all’Università di Monaco, dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Richard von Weizsaecker. La Ccdc ha, inoltre, concorso a organizzare per otto anni la Rassegna del cinema africano come segno di attenzione speciale per quei popoli che si affacciano al Mediterraneo e che ingrossano le fila dell’immigrazione. A partire dall’anno 2000 la Ccdc ha avviato anche una riflessione storico-critica sui grandi maestri del pensiero, presentati dai loro maggiori studiosi. I primi filosofi di cui si è cercato di delineare la personalità e il metodo sono stati Socrate, Aristotele, Kant e Nietzsche.

Gli ospiti che si sono succeduti nel corso di cinque lustri sono stati tanti e autorevolissimi nei rispettivi campi. Abbiamo avvertito con gioia una profonda sintonia con molti di essi. Sarebbe troppo lungo elencarne i nomi. Ci limitiamo a citare solo, tra coloro che sono scomparsi, Helder Camara, John Eccles, Andreij Sinjavskij, Jean Guitton, Mihail Geller, Bruno Hussar, Aleksandr Men; e, tra gli italiani, Marcello Candia, Diego Fabbri, Giuseppe Lazzati, Nicola Abbagnano, Margherita Guidacci, Sergio Quinzio, Valerio Volpini, Mario Pomilio, Carlo Bo.

Nell’ultimo decennio abbiamo voluto marcare in modi diversi il debito di riconoscenza che la civiltà europea, ed anche quella del mondo, debbono alla cultura greca classica e all’ebraismo. Nei primi secoli dell’era cristiana gli Apologisti e i Padri della Chiesa affrontarono il problema del rapporto tra il pensiero greco e la rivelazione cristiana con una grandezza d’animo sorprendente, se si pensa che la nuova fede iniziava allora il suo cammino e la rivendicazione della propria originalità poteva indurre i cristiani ad atteggiamenti di rifiuto e di incomprensione nei confronti di ciò che l’aveva preceduta. Ed invece già il primo Apologista cristiano, Giustino, e il primo dei Padri della Chiesa, Clemente Alessandrino, associarono con decisione al disegno della salvezza la funzione svolta dalla filosofia greca nella praeparatio evangelica: accanto ad una storia ebraica della rivelazione procede, quindi, una storia sacra dei pagani, una grandiosa ricerca di Dio che avanza nell’oscurità. Clemente Alessandrino giungerà a scrivere che vi sono, pertanto, due antichi Testamenti, la Bibbia e la Filosofia (Stromata VI, 42,44,106), e uno Nuovo, che come un fiume trascina nel suo corso acque che vengono da lontano. Questa è anche la nostra visione ed è per ragioni profonde, e non occasionali, che abbiamo voluto riproporre con forza in primo luogo la figura e il messaggio di Socrate, ma anche le conquiste più solide di Platone e Aristotele. Di qui la valorizzazione attenta, attraverso conferenze e dibattiti, delle opere che nella storiografia filosofica contemporanea ci restituiscono l’autentica eredità classica, ed anche il ricorso, coronato da un successo straordinario e francamente inatteso, alla rappresentazione teatrale di quattro dialoghi platonici: l’Apologia di Socrate, il Critone, il Fedone e il Simposio. Lo stesso procedimento è stato seguito per i libri sapienziali dell’Antico Testamento, a cominciare dai Salmi e dal Qohelet. (M. Perrini)

 

IL PROF. PERRINI RICORDATO NELL’ASSEMBLEA PER I 30 ANNI DELLA CCDC (13.4.2007)

Cari Soci,
ci ritroviamo oggi, 13 aprile 2007, per il trentesimo bilancio della nostra attività: un bilancio dell’anno 2006 ma anche un consuntivo più globale, se consideriamo il lusinghiero anniversario al quale siamo giunti; bilancio finanziario e culturale, certamente, ma anche bilancio di altra e più personale e profonda natura per ciascuno di noi, più intimo e più spirituale, se consideriamo la coincidenza del traguardo dei trent’anni e della morte del nostro amato professore Matteo Perrini, ideatore e animatore della CCDC, avvenuta l’8 febbraio, proprio in prossimità di un incontro, da tempo programmato, dedicato a testimonianze di coraggio e di libertà dell’Est europeo, che ci ha fatto tornare, con un po’ di emozione, alle origini della storia della Cooperativa.
Si avverte, così, da parte di ciascuno, la necessità di uno sguardo sulla propria vita per scoprire quanto essa, in tempi e modi diversi, è stata fecondamente segnata dalla bella avventura della Cooperativa, crescendo in conoscenze e in virtù umane e civili, attraverso una trama singolare di riflessioni, di confronti, di letture, di incontri con persone: con quelle vicine, con le quali si è condivisa l’organizzazione delle iniziative (chi ha suggerito idee, chi relatori; chi ha dato un aiuto economico; chi tempo, letture, sentimenti o parole…); con quelle, poi, provenienti da luoghi lontani, anche molto lontani, che nei più diversi ambiti della cultura ci hanno comunicato i fermenti della loro appassionata ricerca culturale; a volte ci hanno portato il vento impetuoso, sferzante, vitalizzante dei pensieri, dei drammi e delle speranze dei loro popoli. Ripercorrendo questo ricchissimo patrimonio di voci e di colori, che è a disposizione di tutti nella nostra raccolta di registrazioni, in buona parte presente nel sito della Cooperativa, ci si rende conto di quanto si è ricevuto, di quanto la nostra città, ma anche ciascuna singola esistenza nostra, deve a questa “piccola scuola di libertà”, quale è stata la Cooperativa nella definizione, ma prima di tutto nel cuore e nella mente, di Matteo Perrini, e di quanto sia necessario rispolverarne sempre lo spirito iniziale per farne dono alle nuove generazioni: scuola “di una semplicità socratica”, essenziale e povera nei mezzi e nei metodi: esame quotidiano della propria coscienza, libri, studio, dialogo con se stessi e con gli altri; intensa nelle relazioni di amicizia, impegnativa nelle energie richieste, coraggiosa e convincente nel suo appello a ripartire, in ogni questione, dall’indagine primaria, indicata appunto da Socrate come la più bella (e la più bella nel mondo antico significava anche la più buona): quale cioè debba essere l’uomo, che cosa l’uomo debba fare, quale sia il suo vero bene. Scuola proposta da Matteo Perrini a tutti, nella sua forte convinzione, maturata sui testi di Seneca, che la nostra vita, nell’esercizio di interrogazione e di indagine in compagnia dei saggi di ogni epoca, si allunga mirabilmente oltre i confini del tempo che ci è dato e acquista in sapore e bellezza; ma scuola prima di tutto rivolta ai giovani, ai suoi giovani incontrati negli anni di insegnamento. Matteo Perrini ha saputo ascoltare le loro ribellioni, scommettere sulla loro giovinezza, investire energie e portare sui binari di una sana, doverosa e costruttiva protesta il loro bisogno di giustizia, allora, negli anni Settanta, spesso confuso e manovrato da interessi disonesti.
Vengono in mente momenti particolarmente forti nella storia della Cooperativa, come il grido di giustizia elevato da Helder Camara in un Vanvitelliano straordinariamente gremito di giovani o le testimonianze dell’Abbè Pierre, di Marcello Candia, Carlo Carretto, Jean Guitton, Bruno Hussar, del cardinale Etchegaray, del premio Nobel per la pace Perez Esquivel sull’America Latina, di Andrei Sinjavvskij, di Vaclav Belohradsky sulla Cecoslovacchia. Con iniziative come queste Matteo Perrini ha incontrato e condiviso i sogni di giustizia, le speranze, gli slanci di generosità, la creatività dei giovani, ma con mano ferma egli ha anche indicato loro i percorsi e gli strumenti culturali necessari per smascherare equivoci, respingere mezze verità e asservimenti di ogni genere e di ogni orientamento, e per crescere effettivamente in umanità e in civiltà. Perché la Cooperativa è nata da questo limpido intento di difendere la libertà di pensiero, di tenere deste le coscienze, di contribuire alla formazione di profonde e oneste convinzioni e di sollecitare all’impegno per il bene di ogni uomo, in particolare del più debole che è, e deve essere, “res sacra homini”, secondo le parole di Seneca ricordate da Matteo Perrini al termine del suo libro “L’immagine della vita”.
Sono ormai oltre cinquecento, fino ad oggi, le iniziative organizzate dalla Cooperativa nei diversi ambiti del pensiero e dell’arte e sui grandi temi della nostra vita: il messaggio cristiano, la violazione dei diritti umani, le regole democratiche, la libertà di pensiero, le responsabilità della scienza, pace, ecumenismo, europeismo, giustizia e solidarietà tra i popoli…: iniziative che in certi momenti hanno richiesto anche coraggio e grande forza morale perché si sono svolte in un contesto socio-politico avverso a un’indagine libera. Ma le ostilità non hanno indebolito la carica propositiva del Professore: come aveva iniziato (“Qualcuno deve pur cominciare”, aveva letto nei testi dei suoi amati giovani della Rosa Bianca), egli ha poi perseverato con grande impegno, serenità e ottimismo cristiano, sollecitando se stesso e noi a uscire da pigrizie e pavidi silenzi. Per questa testimonianza di fedeltà alla verità e di coerenza nella resistenza al male, siamo tutti riconoscenti a Matteo Perrini e conserveremo sempre il ricordo della sua nobiltà interiore, della sua dedizione al bene di tutti, della sua buona battaglia. (dalla relazione del CdA)