Alessandro Magno nell’Iraq

La città di Bam, colpita dal recentissimo e tragico terremoto, si trova nella provincia persiana di Kerman, cioè l’antica Carmania, che era il nome della regione e della città capoluogo insieme. Antichi testi greci parlano di questi luoghi: non di Bam però, bensì della zona circostante. Sono soprattutto le opere geografiche di Strabone e quelle storiche di Polibio e Diodoro a citare la Carmania; ma anche la Vita di Alessandro, cioè la biografia del sovrano macedone scritta da Plutarco tra il I e il II secolo d.C., menziona quella regione. Nel mondo romano, la narrazione delle gesta di Alessandro Magno, opera di Curzio Rufo nella prima metà del I secolo d.C., ci dà la versione in latino dei movimenti da quelle parti. In realtà Alessandro attraversò la parte più meridionale della regione, ma l’esercito macedone conobbe anche la zona più a nord, oggi terremotata, perché il sovrano vi aveva inviato il generale Cratero, quando aveva deciso di controllare più in profondità il territorio da poco conquistato. Per capire i movimenti dell’armata greco-macedone occorre fare un passo indietro, e partire dall’anno 326, quando Alessandro era giunto ai confini più orientali dei territori conquistati. Con una flotta costruita sul posto era disceso prima sul fiume Ifasi, poi sull’Indo fino alla foce. Aveva quindi deciso di rientrare verso Babilonia seguendo la via costiera sul mar Rosso, per poi piegare verso l’interno della Gedrosia (Belucistan) e la Carmania. Però aveva affidato la flotta all’ammiraglio Nearco, perché percorresse le acque del mar Rosso fino al Golfo Persico e di lì risalisse il Tigri, come effettivamente fece. Contemporaneamente Alessandro inviava più a nord parte dell’esercito con Cratero, perché raggiungesse la Carmania attraverso l’Arachosia e la Drangiana: cioè arrivasse nell’attuale Iran, passando da Pakistan e Afghanistan. La truppe di Alessandro giunsero in Carmania dopo terribili sofferenze nei deserti della Gedrosia. Patirono la fatica della marcia, la fame, la sete, persino una forma di pestilenza; i morti furono innumerevoli, ma alla fine l’armata giunse in terreni più fertili e zone salubri: era la Carmania, di cui era satrapo Astaspe. Fu concesso il riposo all’esercito e si riorganizzarono la vita in comune e la disciplina militare. Benché ostili, le popolazioni sottomesse si prodigavano nell’offrire segni di devozione e di adulazione al nuovo dominatore: donativi, ostaggi, promesse di fedeltà. Alessandro fu pervaso dalla smania di esibire la sua magnificenza e insieme di rafforzare la sua fama anche presso quelle genti: organizzò una grande festa dionisiaca, all’insegna dell’ebbrezza, del lusso e della lussuria. Furono ornate di fiori e di corone le case dei villaggi in cui sarebbe passato l’esercito; davanti alle abitazioni vennero collocati enormi crateri colmi di vino, a disposizione dei passanti. Le truppe, su carri ricoperti di drappi preziosi e di veli candidi, avanzavano al suono del flauto e della lira; a ogni villaggio i carri si fermavano e i soldati bevevano dai grandi crateri, predisposti allo scopo. Il re stesso si trovava con i dignitari su di un carro carico di crateri d’oro e di grandi coppe: al suo incedere l’impressione generale fu immensa. Per sette giorni quella sorta di processione bacchica si aggirò per la Carmania; gozzoviglie di ogni genere la accompagnarono, tanto che l’esercito macedone corse allora il più grave rischio della spedizione: alla fine infatti i soldati erano tutti ubriachi e sarebbe stato facile a chiunque averne ragione in quelle condizioni. Ma la Fortuna arbitra dei destini umani, soprattutto militari – scrive Curzio Rufo – fece in modo che anche questo, che sarebbe stato un motivo di grave disonore per Alessandro e il suo esercito, si piegasse a suo favore. Infatti i Persiani della zona non osarono attaccarli, perché ritenevano che quella dei Macedoni fosse una dimostrazione di fiducia in sé stessi, mentre in realtà era solo folle temerarietà. E gli storici, contemporanei e non, di Alessandro, giudicarono come un evento straordinario quella processione ebbra, in mezzo a gente da poco vinta e ancora clandestinamente armata.

Giornale di Brescia, 31.12.2003