Chiesa e politica: la sfida della democrazia

Autori: Mauro Ezio

Ci sono due ragioni per cui sono venuto molto volentieri a Brescia: per l’amicizia, cui tengo molto, con Nanni Bazoli, che considero uno dei punti di riferimento intellettuale anche per il mio lavoro, e perché ritengo che La democrazia dei cristiani sia un libro molto importante

Mi ha insegnato parecchio e mi ha fatto capire alcune cose che non avevo chiare e di cui proverò a parlare. È un libro che ci aiuta ad andare a fondo in uno dei temi più significativi della vita civile in questo momento, quello del rapporto fra i cristiani e la politica, tra la Chiesa e il mondo laico. Naturalmente può essere letto pure come un saggio storico, come un excursus sulla presenza cattolica nel nostro Paese senza nascondere nulla, anche con le amarezze dello storico che ha preso e prende parte attiva alla vita politica del nostro Paese, soprattutto in alcuni momenti nei quali la cultura cattolico-democratica ha contato in modo significativo nella storia repubblicana dell’Italia.

Il libro ripercorre le diverse vicende del cattolicesimo, dal non expedit fino a Berlusconi, senza nascondere il rapporto iniziale fra la Chiesa e il fascismo fino al momento in cui il Papa si rende conto della paganizzazione che il regime in qualche modo rappresenta (tanto che prega De Bono di riferire a Mussolini che non deve idolatrare se stesso, perché Dio è uno solo: lui tutt’al più può essere un idolo e gli idoli alla fine vengono distrutti). Il cammino per arrivare a questa consapevolezza da parte della Chiesa è stato lungo, tormentato e Scoppola ci spiega questo passaggio: il “miracolo” vero e proprio della democrazia repubblicana in cui – partendo da questa situazione di compromissione con il fascismo – la Chiesa riesce poi a produrre nella vita civile del Paese valori che consentono alla Democrazia Cristiana di svolgere quel ruolo importante che abbiamo tutti presente.

Ma la bussola più profonda del libro di Scoppola, dalla prima pagina all’ultima, è quella del rapporto fra i cattolici e la democrazia, del rapporto tra fede e politica, che è continuamente sfidato dalla questione della democrazia. La democrazia in realtà pone una sfida a ogni religione, perché si basa su due principi che sono, da un lato, la libertà di coscienza e, dall’altro lato, il principio di maggioranza: naturalmente, sia la libertà di coscienza sia il principio di maggioranza possono cozzare con il criterio della verità che una religione propone. Dice Scoppola: “è illusorio pensare che da una fede possa discendere completamente una tavola di comportamenti”.

Il volume propone un excursus breve ma puntuale sul rapporto fra Chiesa e democrazia, cattolici e democrazia. Una democrazia che in un primo momento viene considerata come qualcosa da condannare, da papa Leone XIII, poi è considerata tra i regimi leciti; successivamente, con Pio XII alla fine della seconda guerra mondiale, diventa un regime privilegiato e soltanto con il concilio Vaticano II viene vista come il regime più coerente ai valori dei cristiani.

Tuttavia, come dimostrano le vicende recenti, la questione del rapporto fra la verità e la democrazia – per le ragioni che abbiamo detto prima – non è risolta una volta per tutte e ci interroga continuamente. Dall’altra parte, proprio in questi giorni abbiamo letto l’intervista al “Corriere della Sera” a monsignor Carlo Caffarra, per il quale non va fatta alcuna distinzione fra peccato e reato; e lo stesso papa Ratzinger non si è limitato a criticare il relativismo, ma ha detto che quest’ultimo può essere in qualche modo anche una minaccia per la libertà di religione. Mi pare che queste parole contengano qualcosa di più e credo qualcosa di nuovo rispetto alla critica del relativismo, qualcosa che probabilmente meriterebbe di essere spiegato meglio.

Scoppola ricorda al riguardo la definizione di Franco Garelli, sociologo della religione che insegna a Torino, quando mette in contrapposizione la forza della religione e la debolezza della fede. Secondo Scoppola c’è nel Paese profondo un misto di secolarizzazione e di religiosità tradizionale che la Chiesa potrebbe raccogliere e fare evolvere verso un senso di religiosità più maturo, fino a formare quel deposito di senso e di valore che può essere importante per un irrobustimento della democrazia sia per quanto riguarda i laici sia per i cattolici. Anziché agire per formare il popolo ai valori cristiani, in modo che possano condizionare dal basso la vita cristiana – opera che si riverserebbe nella vita pubblica e contribuirebbe, secondo il disegno di Scoppola, a rafforzare la democrazia, dandole un fondamento etico più forte, proprio a partire dall’insegnamento della Chiesa – troppo spesso invece la Chiesa si trova a prendere la scorciatoia dello scambio diretto con il potere, uno scambio che – dice Scoppola – è una vera e propria contrattazione dietro il velo del tempio. Penso che il cristiano oggi non debba avere nostalgia per il partito della Democrazia Cristiana; deve invece sapere che la democrazia ha bisogno di ispirazione etica e deve lavorare proprio per questo.

D’altra parte lo stesso Scoppola ci ricorda le nove tesi per l’alternanza, che sono del 1988, dove veniva pure precisato come la Chiesa, in un regime di alternanza, non deve assumere carattere di parte. In questo modo il suo ruolo nel civile e nel politico non cessa; anzi, può essere accentuato proprio perché la Chiesa deve operare nella ricostruzione delle riserve etiche della democrazia. Contro questa impostazione, che è la nervatura di fondo della cultura cattolico-democratica, c’è una presenza nuova nella vita pubblica italiana, quella dei cosiddetti “atei devoti”, per usare la formulazione di Andreatta, cioè le persone che, come dice Scoppola, fanno un uso pubblico, strumentale della religione, con un cattolicesimo solo formale, solo esteriore, per dare forza alla tesi dello scontro di civiltà.

C’è probabilmente qualcosa di più, aggiungo io. Credo che ci sia la presa d’atto che il decennio che ha portato la destra al potere nel nostro paese, il decennio berlusconiano, non è riuscito a sfociare in quello che avrebbe potuto essere uno dei fondamenti di qualcosa di nuovo. La costruzione di qualcosa di “immortale”, Berlusconi non dovrebbe cercarla dalle abili mani del medico Scapagnini che gli fa scomparire le rughe e gli regala l’eterna giovinezza, ma nel fondare una moderna cultura conservatrice, in un Paese che non l’ha mai avuta: per vicende storiche che risalgono, secondo la lettura di Scoppola, addirittura al non expedit, quando c’è stata l’impossibilità di saldarsi di una destra conservatrice cattolica con il mondo agrario. Ebbene io sono convinto che nel fenomeno degli “atei devoti” vi sia il rischio, denunciato anche da Scoppola, di una strumentalizzazione dei principi e dei valori della Chiesa a fini politici contingenti nel mercato politico quotidiano; vi è proprio la presa d’atto di un fallimento culturale: l’incapacità da parte del berlusconismo – dopo aver sbaragliato il campo nel 1994, dopo aver retto il periodo dell’opposizione con risorse che non erano previste e aver riconquistato la fiducia degli italiani nella scorsa legislatura – di fondare una moderna cultura conservatrice.

Dunque, da parte di alcuni esponenti di questo mondo, c’è il tentativo di prendere a prestito un pensiero forte o alcuni lineamenti di un pensiero forte, profondamente innervato nella tradizione italiana, che è il pensiero cattolico, utilizzandolo nella sua parte più precettistica, nel suo aspetto più rigido. Naturalmente non si sentono mai nei discorsi di questi “atei devoti” riecheggiare le espressioni di papa Woityła contro la guerra o le sottolineature del dialogo nord-sud o, anche, alcuni elementi della dottrina sociale della Chiesa, ma solo quella parte della dottrina che può essere utile a dotare di una cultura forte la destra politica. Sturzo, al momento della firma dei Patti del Laterano, osservava che si assisteva ad una sorta di confessionalizzazione dello Stato e di sacralizzazione di un movimento politico che non ne aveva il titolo. Credo che sia qualcosa di profondamente pericoloso, anche per chi crede, perché – se ci pensiamo bene – è una riduzione della presenza cristiana a fatto puramente culturale, quasi una sorta di galateo politico.

Ad questo si potrebbe contrapporre un esponente del pensiero cattolico forte come don Giussani, per il quale il cristianesimo non è una filosofia, ma è un avvenimento, qualcosa che si è compiuto in un punto preciso nello spazio e nel tempo, a Betlemme 2000 anni fa. L’uso della dottrina della Chiesa e l’uso dei precetti cristiani da parte di chi non crede, quello che Rémi Brague chiama il “cristianismo” (cioè la riduzione del cristianesimo ad ideologia di uso politico corrente) è proprio la negazione del cristianesimo come accadimento. Anche papa Ratzinger, quando era cardinale, ha ribadito più volte che il cristianesimo non è una cultura, ma qualcosa di profondamente diverso.

Tutto questo si accompagna a una presenza dei vescovi italiani sulla scena politica italiana che non ha precedenti nel passato. Lo dico da uomo di giornale: ormai non c’è prolusione all’Assemblea permanente della Cei che non si prenda le prime pagine dei giornali, ma non si può non vedere come questo avvenga nel momento in cui in qualche modo la Chiesa si lobbizza, diventa in qualche modo sempre più portatrice di interessi piuttosto che testimonianza di valori. Mi faceva notare un vescovo come in molte prolusioni della Cei non sia citato Gesù Cristo, mentre si parla anche delle intercettazioni telefoniche quando entrano nell’agenda politica italiana. Il mondo della comunicazione si regola di conseguenza, la Cei diventa una rappresentanza di interessi forti che sa far parlare di sé e ha un suo spazio nella vicenda politica italiana contingente, così come ce l’hanno la Confindustria o la Confcommercio. Questo fenomeno, insieme a quello degli “atei devoti”, ci dovrebbe dare la cifra della presenza cattolica nel nostro Paese, che probabilmente non è quella che i credenti hanno a cuore.

C’è un altro punto che pervade tutto il libro di Scoppola, ed è quello della presenza della cultura cattolico-democratica nel nostro Paese. Scoppola ne è un esponente di primo piano, come intellettuale e anche come uomo politico. Io mi domando il perché dell’eclisse della cultura cattolico-democratica, che era sembrata l’espressione politica dei cattolici nella nostra società e certamente aveva un’egemonia culturale nel modo nella presenza pubblica dei cattolici, anche negli anni della Democrazia Cristiana. Cosa è successo per cui questa cultura è passata in minoranza? Cosa è successo perché non ci sia oggi un cardinale che fa in qualche modo riferimento a questa cultura? In passato non era così: dal cardinale Pellegrino, al cardinal Martini e al cardinal Silvestrini, ma se ne potrebbero citare molti altri. Anche la capacità di autonomia che avevano i movimenti nella Chiesa oggi sembra appartenere a un’epoca di cui si sono persi i fondamenti di base.

Scoppola assegna questo ruolo persino già a De Gasperi per il suo anticomunismo di tipo democratico, sempre nel solco della Costituzione, che ha favorito l’evoluzione della sinistra italiana. Resta il fatto che la cultura cattolico-democratica è diventata minoranza e oggi pesa poco nella cultura del nostro Paese. Se mai ci sarà l’approdo del partito democratico, sarà qualcosa di utile, perché aiuterà la sinistra a compiere il suo destino, qualcosa che da sola la sinistra non è in grado di fare, ma sarà d’aiuto anche per il sistema, portando a compimento un percorso anche per la cultura cattolico-democratica. Non dimentichiamoci che l’affermazione di De Gasperi sulla Democrazia Cristiana come partito di centro che cammina verso sinistra è del 17 aprile 1948, il giorno prima delle elezioni decisive per il sistema politico italiano, il giorno di massima rottura e di massima polemica elettorale con la sinistra.

Ho sempre pensato che l’orizzonte, il punto d’approdo del partito democratico potesse essere qualcosa di utile perché risolveva il destino incompiuto di una sinistra che da sola è stata finora unicamente capace di traghettare per identità indistinte l’identità comunista. Purtroppo un minuto dopo che è caduto il muro di Berlino e non un minuto prima, di modo che – fatalmente – le macerie di quel muro le sono rimaste addosso a differenza delle sinistre di altri paesi. Poi è passata nel campo ancora grigio, indistinto, del postcomunismo: non è approdata a qualcosa di diverso. Certamente non centra più nulla con il comunismo, ma altrettanto evidentemente non è ancora sboccata in qualcosa di diverso. Un nuovo inizio in cui si posano le identità del passato – e vi è una cesura rispetto alle identità precedenti – e nasce qualcosa di nuovo in cui ognuno guarda al futuro, penso sia utile al sistema e alle istituzioni, non soltanto al destino alla sinistra. È importante compiere il destino della sinistra perché si può in qualche modo compiere il sistema e si può sbloccare questa situazione anomala, per la quale oggi il maggior partito dell’opposizione non è palesemente in grado di esprimere un suo candidato per la guida del Paese, ma deve in qualche modo chiedere a qualcun altro di guidare la coalizione al mio posto.

Leggendo questo libro mi sono reso conto che è altrettanto importante dare un analogo approdo al disegno del cattolicesimo democratico nel nostro Paese. C’è nel libro di Scoppola la preoccupazione che il destino dei cattolici in politica sia quello di essere risucchiati, come ad esempio in Germania e in Spagna, in un centrodestra, con una dislocazione che potrebbe sembrare una declinazione italiana di quella europea, tra una sinistra socialista e una destra centrata sul partito popolare con componenti di destra.

Scoppola è convinto che il decennio berlusconiano abbia portato a galla un fondo limaccioso – uso le sue parole che peraltro condivido – nella destra italiana ed è convinto che la vicenda storica della Democrazia Cristiana sia stata tale da rendere impossibile, nel momento del bipolarismo, che quel partito slittasse tutto a destra; ma certamente questo problema esiste, tanto più, io aggiungo, in seguito alla sciagurata legge elettorale approvata con un colpo di coda da questo governo. Quindi credo che se questo partito democratico ci sarà, oltre a compiere il destino eternamente incompiuto della sinistra italiana e sbloccare il sistema, darà anche un approdo ai cattolici democratici che hanno lavorato per l’incontro con quelle culture repubblicane, civili, democratiche di cui la cultura cattolica-democratica è certamente un esempio significativo


NOTA: testo rivisto dall’Autore della conferenza tenuta a Brescia il 5.12.2005 su invito della Cooperativa cattolico-democratica di Cultura. Ezio Mauro è il direttore di “Repubblica”.