Cultura romana e cristianiesimo nei primi due secoli dell’impero

Punto di vista e limiti dell’esposizione
Il titolo dell’esposizione dovrebbe già indicarne il punto di vista e i limiti. Infatti l’oggetto non è il rapporto fra Chiesa e Impero (col connesso problema della base giuridica delle persecuzioni) né l’atteggiamento della nuova religione verso il mondo pagano né l’influenza esercitata dalla cultura classica sul Cristianesimo: questi sono temi molto vasti e più noti. Il punto di vista è limitato e unilaterale: si colloca dalla sola parte romana per sorprenderne le reazioni di fronte alla novità della presenza dei cristiani. Tale prospettiva è meno comunemente studiata sia per la sua sconfitta storica che per la scarsità della documentazione. Anche gli studi sull’incontro tra cultura classica e cristianesimo si risolvono spesso in un’indagine dell’influenza esercitata dalla prima sul secondo, come nel volume di H. HAGENDAHL, Cristianesimo latino e cultura classica, ed. it. Borla, Roma 1988 o di M. PAVAN (ed.).Mondo classico e Cristianesimo, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1982. Tuttavia anche in opere, che si ispirano a punti di vista diversi da quello qui precisato, si trovano contributi utili alla ristretta prospettiva indicata. Ne indico subito alcuni, che verranno ricordati e usufruiti più avanti: tali per es. M. SORDI, I Cristiani e l’Impero Romano, Jaca Book, Milano 1984, che in parte precisa il classico Il Cristianesimo e Roma (Storia di Roma dell’ Istituto di Studi Romani XIX, Cappelli, Bologna 1965) o P. SINISCALCO, Il cammino di Cristo nell’Impero Romano, Laterza, Roma-Bari 1983 o addirittura J. MOREAU, La persecuzione del Cristianesimo nell’Impero romano, ed. it., Paideia, Brescia 1977.
Ma proprio il contrasto di opinioni, che divide gli studiosi intorno ai motivi delle persecuzioni e al loro fondamento giuridico (fino alla conclusione che mancasse un vero nomen iuris all’imputazione), trova una spiegazione (o, se si preferisce, sposta il problema) nel retroterra culturale, che ha un atteggiamento vario e mutevole di fronte al Cristianesimo. Un semplice elenco dei motivi di ostilità e incomprensione basta a suggerire il quadro della situazione. Intanto i romani trasferiscono sui cristiani pregiudizi già formati contro i Giudei (accusati di separatezza, ateismo, superstizione e tenuti in sospetto come sempre potenziali ribelli e sovvertitori) e contro la maggioranza dei culti orientali. Identificando religione e politica non possono capire la laicità dei cristiani con il loro lealismo limitato, che è disposto a rendere onore ma non culto all’imperatore. Non molto informati in fatto di religione interpretano in un modo distorto i riti dei cristiani e i loro costumi (specie la promiscuità delle riunioni e lo spirito di fratellanza). Non capiscono la violenza delle discussioni in seno alle comunità e tendono a scaricare su tutto il movimento l’ avversione per gli atteggiamenti e i programmi, a volte riprovevoli, di sette estremistiche e gruppi isolati (fabioniti, montanisti ecc.). Non hanno considerazione sociale per gli appartenenti ai ceti inferiori e per gli immigrati. Suscita irritazione la pretesa di questi «barbari» di possedere verità e certezze non fondate sulla ragione; provoca risentimento la derisione verso il paganesimo tradizionale, timore il proselitismo, dubbi il solidarismo (nel quadro del sospetto verso eterie e confraternite), contrarietà il rifiuto verso il sincretismo, avversione il disinteresse per le cose del mondo (con la conseguente accusa di inertia), irrisione la fede in un dio crocifisso, incredulità la risurrezione. Poche di queste cose toccano la sostanza del messaggio. Le accuse più specifiche ci sono note attraverso le confutazioni cristiane; da parte pagana sono trasmesse attraverso le testimonianze letterarie. Quindi le une e le altre si trovano accostate nelle raccolte. Vedi sotto i testi di Benko, Carrara, Penna ecc.
In sintesi approssimativa: la cultura romana è anticristiana anche perché aperta, tollerante, sincretista e pretende di giudicare i cristiani prescindendo da una vera dimensione religiosa. Quindi non capisce il rifiuto di gesti, che non le sembra debbano impegnare la coscienza ma rappresentare solo un atto di lealismo politico. È vero che accorda agli ebrei il privilegio di sottrarvisi, ma forse in considerazione del fatto che essi hanno dietro le spalle una nazione, con cui identificare il proprio credo religioso. Perciò teme soprattutto la rottura dell’identificazione religione (esteriore)-stato, che determinerebbe la caduta dell’impero (dunque la questione se la contrarietà fosse di natura politica o religiosa è superata dall’unità dei due termini nella concezione romana).

 

La compatibilità fra cultura romana e cristianesimo
A questo complesso di sentimenti e di atteggiamenti di così varia natura è difficile trovare un denominatore comune. Gli imperatori sono personalmente indifferenti al problema religioso, ma hanno bisogno del consenso; i livelli intermedi del potere si preoccupano dell’ordine pubblico (cfr. M. SORDI, Opinione pubblica e persecuzioni anticristiane nell’impero romano, in Vari, Aspetti dell’opinione pubblica nel mondo antico, Vita e Pensiero, Milano 1978, 159- 170) anche in assenza di un nomen iuris (G. LOMBARDI, Persecuzioni, laicità, libertà religiosa, Studium, Roma 1991, spec. 11-156; utile anche Moreau cit.).
Perciò il comportamento disuguale degli organi statali fornisce informazioni indirette (depurate delle incidenze dei temperamenti personali e delle variabili areali e temporali dell’ opinione romana). Nei primi secoli sono invece poche le testimonianze dirette rese dalla cultura in senso stretto: il ceto intellettuale o è indifferente (e recepisce passivamente le opinioni comuni) o è ellenistico (anche quando è romano, cioè non supera l’antinomia greci-barbari) o è chiuso nelle proprie categorie mentali (e fa fatica a intendere l’altro da sé).
A. T. NOCK, La conversione. Società e religione nel mondo antico, ed. it. a cura e con introd. di M. Mazza, Laterza, Bari-Roma 1974 ha tentato un bilancio di ciò che la mentalità pagana poteva o no accettare (secondo lui) nel cap. XIII, Le dottrine cristiane viste da un pagano, 167-197. W. F. OTTO, Spirito classico e mondo cristiano ha invece segnalato «i grandi valori che lo spirito cristiano ha rifiutato» (come recita la fascetta editoriale dell’edizione italiana La Nuova Italia, Firenze 1973), perché «troppo grandi per lui» (una concezione forse comprensibile solo nei tempi prenazisti o almeno nicciani, in cui il libro fu scritto: la prima edizione tedesca è del 1923). Il cristianesimo a sua volta da principio non aiuta la cultura, perché non entra nel terreno suo proprio in senso stretto: né le lettere apostoliche né i Vangeli sono «letteratura». Si possono vedere al riguardo le riflessioni di R. CANTALAMESSA, Cristianesimo e cultura nella Chiesa antica in Vari, Cristianesimo e cultura, Vita e Pensiero, Milano 1976 2, 126-145 e L. F. PIZZOLATO, Laicità e laici nel cristianesimo primitivo, Vari, Laicità. Problemi e prospettive, Vita e Pensiero, Milano 1977, 57-83.
Eppure non mancano studi che sottolineano i punti di contatto fra cultura classica e cristianesimo prima ancora della loro conciliazione. Un classico di questo genere è P. WENDLAND, La cultura ellenistico-romana nei suoi rapporti con giudaismo e cristianesimo, che risale all’inizio del secolo, ma è stato riproposto in edizione italiana con aggiornamenti bibliografici di G. Firpo nel 1986 per la Paideia di Brescia, sulla quarta edizione tedesca del 1972, riveduta da H. Dorrie. Il grande affresco qui tracciato tende a enfatizzare le analogie ideologiche e morali col cristianesimo, fino a fare qualche concessione al sincretismo, anche se finisce per riconoscere le novità del cristianesimo. Insiste più su una linea evolutiva il classico saggio di C. MOELLER, Saggezza greca e paradosso cristiano, ed. it. Morcelliana, Brescia, tuttora ristampato, che si fonda soprattutto su testi poetici (specialmente greci, ma su temi che sono poi diventati patrimonio comune della cultura occidentale).
Contro la tendenza ad appiattire il cristianesimo su forme e credenze e riti apparentemente similari ai pagani è da leggere la puntigliosa ed esaustiva analisi comparativa di K. PRÜMM, Il Cristianesimo come novità di vita, ed. it. Morcelliana, Brescia l955, il cui sottotitolo recita: Mondo pagano e mondo cristiano esaminati e studiati nel loro primo incontro. Vengono «esaminati e studiati» in assiduo confronto i concetti di Dio, cosmo, uomo, tempo, redenzione, battesimo, fede, eucarestia, chiesa, sacerdozio, matrimonio. verginità, martirio, organizzazione della Chiesa, l’aldilà, i sacramenti e i misteri. A questo ultimo tema, che è centrale persino nella spiegazione dei fraintendimenti pagani e delle procedure persecutorie, è dedicato il libro di U. RAHNER, Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani, Morcelliana, Brescia 1952.
Comunque è da osservare che le consonanze e le prossimità spirituali non escludono e forse anzi rafforzano l’opposizione: Epitteto e Marco Aurelio e altri stoici hanno proposizioni di sapore quasi cristiano, eppure sono contrari. I bisogni spirituali e le attese religiose sono diffusi, ma trovano risposte diverse e in lotta tra loro. Le somiglianze innegabili sono a volte esaltate dalla mancanza negli osservatori di una prospettiva storica; i cristiani stessi le ingigantiranno, quando vorranno vincere l’opposizione ed entrare in dialogo (cfr. I. CHIRASSI COLOMBO, Modalità dell’interpretatio cristiana di culti pagani in Vari, Mondo classico e cristianesimo cit. p. 33).
Ma in tema di analogia e continuità è bene distinguere almeno fra tre diverse prospettive:
– elementi, che spianano la via all’accettazione del cristianesimo, anche se oggettivamente diversi (ad es. il culto dell’imperatore mette in ombra il politeismo);
– affinità, che sono coincidenze di origine diversa (come molte proposizioni degli stoici, per es. il concetto di provvidenza);
– la pura e semplice ricezione, cioè l’atteggiamento del sentire comune ai diversi livelli di fronte a una religione dotata di una propria dottrina e di una propria organizzazione.
Scegliendo questa terza prospettiva si escludono anche moltissimi temi, non esplicitamente religiosi, su cui si gioca la continuità-discontinuità tra le due culture: la schiavitù e l’uguaglianza tra gli uomini, le idee morali, il senso della colpa, il lavoro, il progresso, l’idea del tempo, ecc. Ciascuno di essi merita una monografia. Su questi temi informano anche le opere qui ricordate, ma la bibliografia specifica va molto al di là dei confini di questa rassegna. Farò solo l’ esempio della storiografia, su cui cfr. M. SORDI, Dalla storiografia classica alla storiografia cristiana, «Civiltà classica e cristiana» 3, 1982, 7-29. La conclusione nel caso specifico è dello stesso ordine, che si potrebbe verificare nel problema generale: innovazione nella continuità.

La restrizione alla sola romanità
Un altro limite è costituito dalla restrizione alla sola romanità, specialmente se si considera l’unità del mondo greco-latino soprattutto in quel tempo e in quel settore (la cultura ellenistica) e l’insufficienza della discriminante linguistica (Marco Aurelio appartiene alla cultura occidentale, Giuseppe Flavio all’ebraica, ma entrambi scrivono in greco). La limitazione è suggerita da ragioni di spazio e di competenza, ma ha anche qualche giustificazione intrinseca. Il settore orientale dell’impero è più vicino storicamente e idealmente al cristianesimo e anticipa di qualche decennio le posizioni del settore occidentale (là le prime apologie sono già del II secolo: Quadrato si rivolge ad Adriano, Giustino e Atenagora a Marco Aurelio). Il latino non dispone di una traduzione della Bibbia come quella greca dei Settanta fin dopo l’avvento del cristianesimo né ha centri di cultura ebraica come quello alessandrino. Però l’importanza dell’incontro col cristianesimo è grande perché Pietro e Paolo si insediano subito nella capitale e la cultura della nuova religione avrà un’importanza dominante negli ultimi secoli della letteratura latina e se ne assumerà l’eredità nel trapasso al Medioevo. La limitazione serva dunque a una migliore focalizzazione, valorizzando le poche peculiarità del settore occidentale sotto il profilo ideologico-culturale (quando si parla in astratto di un rapporto cristianesimo-paganesimo sul piano religioso e filosofico si pensa di solito al mondo greco, sul piano giuridicopolitico a Roma). È nel mondo occidentale che si formula il principio della separazione fra Stato e Chiesa (cfr. Pizzolato cit.). Ma nello stesso tempo, se non sembri paradossale, oscurando l’assorbente preponderanza greca, la restrizione allarga l’orizzonte in altre direzioni, consentendo di aprire spiragli sui contatti con gli ebrei e con l’Oriente.
Dunque l’esclusione di una bibliografia, anche selettiva, sul rapporto grecità-cristianesimo, non ignora i limiti conoscitivi che essa comporta: per es. il passo di Svet.. Claud. 25 (Iudaeos impulsore Chresto…) ricaverebbe qualche luce da Dione Cassio 60, 6, 6, che allude forse allo stesso evento, ma non nomina Cristo e precisa che gli ebrei allora non subirono l’espulsione, ma solo una restrizione della propria libertà (cfr. Penna citato sotto, 262).

La svolta del secondo secolo
Infine la limitazione cronologica evita il pericolo di un confronto astratto e acronico fra cultura romana e cristianesimo, ma non taglia a caso, anzi ha una motivazione oggettiva. Gli ultimi decenni del II secolo rappresentano una svolta nei rapporti tra le due entità. Da una parte l’opinione pubblica più sprovveduta si rafforza nella sua avversione ai «diversi» vedendo le catastrofi che si susseguono: invasioni, disgregazione, anarchia, epidemie sembrano confermare il sospetto che la decadenza dell’impero sia dovuta al crollo della identificazione fra una certa religione e lo stato, tanto più che i cristiani non partecipano alle cerimonie pagane di propiziazione, anzi sembrano aspettare l’apocalisse, e costituiscono, senza volerlo, uno stato nello stato in forza della loro organizzazione. In realtà il pessimismo è condiviso, almeno secondo E. R. DODDS, che lo ha descritto in un libretto famoso, Pagani e cristiani in un ‘epoca di angoscia. Aspetti dell’esperienza religiosa da Marco Aurelio a Costantino, ed. it. La Nuova Italia, Firenze 1970, utile al nostro tema specie nell’ultimo cap., Il dialogo fra paganesimo e cristianesimo (101-136).
Dall’altra parte però il rapporto a un certo livello comincia a uscire dalla emotività e dal sospetto. Cristianesimo e paganesimo non avevano fino allora teorizzato le rispettive posizioni (Dodds 103, Rahner 38); ora invece si organizzano in sistemi concettuali come “filosofie” (ma di vita), si combattono ma si conoscono meglio perché adottano un linguaggio comune, appunto il linguaggio della cultura. Allora si potrebbe accogliere come terminus ante quem il 178, l’anno in cui Celso pubblica il Discorso Vero (in greco): egli non combatte i cristiani con le solite accuse volgari, ma ne attacca i capisaldi dottrinali, che dimostra di non ignorare. Come succede anche altrove, noi conosciamo quasi tutto questo testo attraverso la letteratura cristiana, in questo caso la confutazione che Origene ne condusse settant’ anni dopo (una comoda edizione di Celso, Contro i cristiani, è disponibile con testo a fronte nella BUR 1989, con una utile premessa informativa di S. Rizzo e una breve introduzione di G. Baget Bozzo, che mi pare difficilmente accettabile, perché sembra voler contrapporre un cristianesimo conservatore e d’ordine = Origene a quello mistico e rivoluzionario presupposto da Celso).
Il mondo intellettuale pagano comincia a interessarsi della Chiesa persino come fatto organizzativo. Inoltre vive a contatto con i cristiani ad ogni livello, in un interscambio senza problemi. Persino Tertulliano, Apol 42, 3 cerca di presentare i cristiani come bene integrati nella vita economica e civile. Ora ci sono pagani a scuola di cristiani e viceversa (A. QUACQUARELLI, Scuola e cultura dei primi secoli cristiani, La Scuola, Brescia 1974, 26). Si sente già l’atmosfera dell’età dei Severi, che esce dai limiti di questa esposizione non solo perché si prolunga nel secolo successivo, ma perché cambia l’atteggiamento generale. Da parte dell’ imperatore pare ci siano tentativi sincretistici (Hist. Aug., Aless. Severo 29); del resto questi imperatori di origine africana non soffrono le remore della tradizione; anche i cristiani infiltrati nella dirigenza sono di rango equestre e di origine provinciale (Sordi. I cristiani 101).Comunque cfr. E. DAL COVOLO, I Severi e il Cristianesimo. Ricerche sull’ambiente storico-istituzionale delle origini cristiane tra il II e il III secolo, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1989.
Caratterizzandosi per gli atteggiamenti volta a volta di indifferenza, di sospetto o di ostilità della cultura romana nei riguardi del cristianesimo, i primi due secoli dell’impero non possono vantare né le grandi apologie, né la fioritura di una letteratura cristiana, né i grandi conflitti che caratterizzeranno i tempi a venire e neanche la problematica interna al cristianesimo sull’accettazione o meno della eredità classica. Ma rimangono ugualmente importanti per le reazioni di parte pagana di fronte a un fatto imprevisto e sconvolgente come il cristianesimo. Meriterebbero tra esse particolare rilievo le (poche) testimonianze dirette, sulle quali però fornisce le prime informazioni la bibliografia che segue, in attesa di un eventuale approfondimento per autore.

Bibliografia generale
Un’ ultima limitazione è dovuta in questo senso all’ opportunità di suggerire preferibilmente (anche se non esclusivamente) opere in lingua italiana e di edizione recente; questa comporta l’ esclusione di titoli classici e la formazione di una bibliografia eterogenea e incompleta. Elencherò prima raccolte di testi, poi pochi studi e storie, con una distinzione utile dal punto di vista classificatorio, ma non assoluta.
– Del 1970 è il libro di L. HERRMANN, Chrestos. Tèmoignages paiens et juifs sur le Chistianisme du premier siècle, Coll.Latomus 109, Bruxelles che, attraverso una critica molto ingegnosa e sottile, tende a riferire sempre a cristiani (ed ebrei) testimonianze su situazioni più generali (come sovversivismo, negromanzia ecc.), confermando indirettamente la scarsa distinzione, che la cultura romana sapeva operare, di fronte ad atteggiamenti non condivisi. Intrecciate con queste sono testimonianze di presunta conoscenza del Nuovo Testamento e di influenze cristiane nell’ epoca considerata. Non è però esplicitamente rilevato quale sia la reazione del tempo di fronte a questi elementi di cristianesimo.
– Del 1980 è la rassegna per l’«Aufstieg und Niedergang des röm. Welt» II, 23, 2, 1055-1118 di S. BENKO, Pagan Criticism of Christianity during the first two Centuries A.D., che non si limita a raccogliere una buona messe di testimonianze (purtroppo solo in traduzione inglese). ma le commenta, studia e collega, affrontando tutti o quasi i problemi di interpretazione, che esse comportano.
Seguono a distanza di pochi anni due raccolte molto rispondenti al taglio di questa Guida, anche se (come la precedente) di orizzonte molto più vasto, perché ovviamente considerano anche gli autori greci. Delle due la più ridotta è :
– P. CARRARA, I Pagani di fronte al Cristianesimo. Testimonianze dei secoli I e II, Nardini, Firenze 1984, fornita di introduzioni, testi in originale e traduzione a fronte: un buon manuale antologico di primo impiego.
– A rigor di termini del libro di R. PENNA, L’ambiente storico culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, Ediz. Dehoniane, Bologna 1984, riguarda strettamente il nostro tema solo una sezione della terza parte, per un complesso di poche pagine, a riprova della posizione minoritaria, che ha la letteratura latina nella documentazione dei primi due secoli. Ma il libro è importante, perché delinea nella prima parte, che è la più estesa, soprattutto le coordinate dell’ambiente culturale nel quale il Cristianesimo si trova ad operare, anche se ignorato («non si può conoscere a fondo il Cristianesimo, avverte l’autore a p. 8, se non si conoscono la terra, l’aria, l’orizzonte dei suoi primi passi») e nella seconda, la più breve, i rapporti tecnico-letterari (inquadrando anche l’epistolografia apostolica e subapostolica nello sfondo di un genere letterario molto coltivato nell’antichità), riservando la terza alle testimonianze vere e proprie. Nel complesso il libro è utile anche perché informa su aspetti culturali tangenti al mondo antico non sempre notissimi ai classicisti. Nonostante l’ampiezza del quadro l’ analisi conferma (come l’opera di Herrmann) che sono relativamente poche le sicure testimonianze extra cristiane della cultura romana. A questi libri se ne potrebbero però aggiungere due, che, pur appartenendo a collane scolastiche o parascolastiche, meritano considerazione per la competenza degli autori e/o la ricchezza delle testimonianze recate:
– C. MORESCHINI, Cristianesimo e Impero, Sansoni Scuola Aperta, Firenze 1973, con una introduzione che considera l’ atteggiamento pagano verso il Cristianesimo.
– G. CASTELLI e M. LANA, La pietra scartata. Antologia di testi da Tacito ad Agostino sulla figura di Gesù Cristo, Paravia, Torino 1984 (con un saggio di M. Pomilio), che ingloba i testi in un commento continuo e li sottopone ad analisi anche linguistica (spec. pp.67- 122; è centrato su Gesù, ma il Cristianesimo è cristocentrico).
Tra gli studi, già preannunciati, ricordo di M. Sordi, oltre Il Cristianesimo e Roma, anche I cristiani e l’Impero Romano, perché nella seconda parte ripropone con qualche variante due saggi pertinenti al nostro tema, Cristianesimo e cultura nell’Impero Romano, già in “Vetera Christianorum” 18, 1981, 129-142 e Opinione pubblica ecc., già cit. Le tesi di questa studiosa, che ha dato molti altri contributi a questo genere di problemi, divergono in più punti da quelle consolidate e meriterebbero per questo un’attenta considerazione.
– Limitato ai tre autori ricordati nel titolo, ma conveniente con il punto di vista qui adottato è A. HAMMAN, Chrétiens et Christianisme vus et jugés par Suetone, Tacite et Pline le Jeune, in Vari, Forma Futuri. Studi in onore del Card M Pellegrino, Bottega d’Erasmo, Torino 1975, 91-109.
– Benché intitolato a La persecuzione del Cristianesimo lo studio, già citato, di J. Moreau (di cui ricordo qui che l’edizione originale francese è Presses univ.de France, Paris 1956) non trascura la situazione della cultura romana di fronte al Cristianesimo, almeno sotto il profilo della politica religiosa (cap. 1 = pp.17-24 dell’ediz. ital.).
– Infine, più recente di tutti, il volume di Paolo Siniscalco, Il cammino di Cristo cit. studia la storia della penetrazione cristiana a Roma con particolare attenzione, com’ è naturale per la maggior documentazione disponibile (specie di parte cristiana), ai secoli terzo e successivi, senza trascurare di dedicare un capitolo (pp. 61-77) a Il mondo ellenistico romano di fronte al Cristianesimo e, all’interno di questo, alcune pagine (73-77) all’ atteggiamento della pubblica opinione.
 

Nuova Secondaria, n.8 del 15 aprile 1993.