Dal teatro esistenzialista al teatro assurdo: da Camus a Beckett

Tematiche: Letteratura

Cominciamo dal concetto dell’esistenzialismo: Camus, Sartre si identificano con il concetto storico di esistenzialismo che, più o meno, possiamo collocare negli anni ’40 – ’50. Qual è il nucleo di questo movimento? L’esistere dell’uomo è immotivato, non ha radici, non ha cause evidenti e non ha fine: è una sequenza caotica di atti. Che cos’è vivere, cos’è essere? Non si sa, esiste un solo dato di fatto che è l’esistere.
Sartre, nel suo romanzo più celebre La nausea, dice: “La parola assurdità nasce sotto la mia penna, ho fatto l’esperienza dell’assoluto, ovvero l’assurdo”. L’essenziale è la contingenza, l’assoluto è la contingenza, “contradictio in terminis”. Il protagonista de La nausea parla in prima persona e chiarisce come ha avuto l’intuizione radicale dell’insignificanza dell’esistenza: “Io ero poco fa ai giardini pubblici, la radice del castagno si affondava nella terra, proprio al di sotto della mia panchina; ero seduto un po’ curvo con la testa bassa, solo, in faccia a questa massa nera e nodosa internamente bruta che mi faceva paura. Improvvisamente era là, era chiaro come il giorno, l’esistenza si era improvvisamente svelata. Essa aveva perduto la sua andatura inoffensiva di categoria astratta, era la pasta stessa delle cose. Questa radice era impastata di esistenza, o piuttosto la radice, i cancelli del giardino, il banco, l’erba rara del prato: tutto ciò era svanito. La diversità delle cose, la loro individualità, non erano che un apparenza, una vernice. Questa vernice si era fusa e restavano delle masse mostruose e molli, in disordine, nude, una spaventosa e oscena nudità. Questo è l’essere. Ogni uomo è la porzione di spazio che ritaglia nella massa della materia”. Al di là di questo non possiamo dire nulla dell’uomo.
Camus nei primi anni della sua produzione letteraria dice più o meno le stesse cose; l’assurdo è il punto di partenza, l’equivalente nel campo dell’esistenza del dubbio metodico di Descartes. L’unica cosa che ha senso è acquistare il sentimento che non si sa nulla. Questo è il nucleo dell’esistenzialismo: io sono, “cogito ergo sum”, non c’è un passo ulteriore. Il principio dell’insignificanza esistenziale vale per me, ma vale anche per gli altri, per ogni uomo. Allora c’è un valore comune, il senso comune dell’insignificanza dell’esistenza. Tutti gli uomini si rivoltano senza speranza, senza fine, non sanno a cosa si rivolgono. Questa è la base ideologica dell’esistenzialismo, il nichilismo assurdo, il nichilismo esistenziale senza alcuna forma di giustificazione estrinseca. Non c’è causa prima, non c’è fine dopo, non c’è neanche coordinazione degli atti, c’è solo la loro sequenza.
L’esistenzialismo fu profondamente legato alla cultura teatrale. Sartre parte da saggi filosofici, scrive romanzi, ma è in una serie di sette-otto lavori teatrali che tenta di dare il massimo di rappresentazione dell’esistenza assurda. Per Camus il teatro fu la vera passione della sua vita, sebbene non del tutto ricambiata; il teatro che era il suo debole, non era il suo forte. Quando era studente in Algeria fondò una compagnia teatrale che andava nei quartieri periferici a rappresentare i classici. La vasta e complessa attività teatrale di Albert Camus comprende traduzioni, adattamenti, numerose regie e quattro opere originali – Il malinteso, Caligola, I giusti, Lo stadio d’assedio – che vennero messe in scena per la prima volta a Parigi, negli anni che vanno dal 1944 al 1949. Inoltre, dei tre romanzi che scrive, i primi due sono monologhi, perciò una forma para – teatrale.
La cultura esistenzialista tenta dunque notevolmente di esprimersi in forme teatrali; il lavoro meglio riuscito di Sartre, A porte chiuse, fu rappresentata per la prima volta nel ’45. Narra di una persona morta e di un inserviente che lo porta in un posto dove si abita dopo la morte, una stanza leggermente neoclassica, dove c’è un camino. Dopo il saluto dell’inserviente, il deceduto non si lava i denti, nota l’assenza di uno specchio, poi nella camera entrano due donne, Stella e Ines. Le tre persone vivranno in questa stanza per l’eternità e il dramma rappresenta, con un crescendo di asprezza e di disperazione, i rapporti tra queste persone che sono capitate lì per caso e che su nessun argomento hanno un parere comune. Si crea un clima di terrore psicologico che definirei “bergmaniano”, come avviene in certe scene di vita matrimoniale del cinema di Bergman. Alla fine tutti sono disperati, due vogliono fare l’amore e si prosegue nel disgusto, fino a quando una delle due donne, Stella, prende il tagliacarte, si precipita su Ines e la colpisce ripetutamente. Ines le replica se è matta, e la scena continua con Stella che seguita a colpirla senza ucciderla, in quanto era già morta. Tutto ciò è riassunto nella celebre frase di Sartre: “l’inferno sono gli altri”. Per il nichilismo esistenziale di Sartre, l’uomo vorrebbe auto – trascendersi, ma resta immerso nella mischia esistenziale tragica, disgustosa e insignificante.
Il testo che considero più interessante dell’esistenzialismo teatrale è la commedia di Camus Il malinteso del ’46. L’argomento è molto interessante e si collega con Lo straniero, che è diviso in due parti, la prima in cui avviene l’uccisione dell’arabo e la seconda con la descrizione del processo, dell’interrogatorio, fino alla condanna a morte. A lungo, il protagonista rimane chiuso in quella cella dove non ha niente da fare e sotto il materasso trova, ad un certo punto, un pezzo di giornale che legge e rilegge. “Fra il mio pagliericcio e la tavola del letto avevo trovato infatti un vecchio pezzo di giornale quasi incollato alla stoffa, ingiallito e trasparente. Raccontava di un fatto di cronaca di cui mancava il principio, ma che doveva essere avvenuto in Cecoslovacchia. Un uomo era partito da un villaggio ceco per fare fortuna. Dopo venticinque anni, diventato ricco, era tornato con la moglie e un bambino. Sua madre e sua sorella avevano un albergo nel suo villaggio natale. Per far loro una sorpresa, egli aveva lasciato in un altro albergo la moglie e il bambino, poi era andato da sua madre che non l’aveva riconosciuto. Per scherzo, aveva preso una camera. Aveva mostrato il denaro. La notte sua madre e sua sorella l’avevano assassinato a colpi di martello per derubarlo e avevano gettato il suo corpo nel fiume. Il mattino era venuta la moglie e senza saperlo aveva rivelato l’identità del viaggiatore. La madre si era impiccata, la sorella si era gettata in un pozzo. Devo aver letto quella storia un migliaio di volte. Da una parte mi pareva inverosimile, dall’altra era naturale. In ogni modo, trovavo che il viaggiatore se l’era un po’ meritato, e che non si deve mai giocare”.
Questo è l’argomento de Il malinteso. Nella prima scena giunge in albergo questo uomo che torna con la moglie Maria dalla sorella Marta; i nomi non sono casuali, indicano l’operosità della sorella che uccide i viandanti e la purezza della moglie che supplica al marito di non mentire. C’è quindi un vecchio servitore sordomuto che passa attraverso la scena portando degli oggetti. La commedia finisce con la disperazione della moglie, per l’amore distrutto e l’unione irrecuperabile.
Di fronte a questa storia si danno almeno tre livelli di lettura: il primo è il livello metafisico-esistenzialista della vita assurda, il non-senso, il nichilismo esistenziale; si può dare anche una lettura storica, chi uccide il fratello per derubarlo è rappresenta il consumismo, l’avidità della società borghese. Camus, ed è la terza lettura, la interpretò in maniera diversa. In un saggio che scrisse più tardi, l’autore si dichiara stupito dalle incomprensioni della critica sull’opera; il significato de Il malinteso è inserito nel titolo stesso, le persone mentono, tra tutte le persone c’è un malinteso ed è questo all’origine della tragedia. Il malinteso nasce dal fatto che nessuno, salvo Maria, dice la verità. Jean, il protagonista, mente per definizione, va a dire un’altra cosa, non rivela che lui è il figlio, il fratello, c’è in lui la falsificazione. Il vecchio domestico sordo e muto, lo si scopre nell’ultima pagina, non era né sordo, né muto, ma tace perché disprezza il mondo. E’ l’unico che ha riconosciuto il padrone mentre tornava, sa che lo avrebbero ucciso, ma tace. Rappresenta un Dio crudele in mezzo agli uomini che conosce quel che combinano e non vuole dire niente. Nell’ultima scena Marta dice alla moglie: “Preghi Dio che la renda simile ad una pietra. E’ la felicità che riserva a se stesso, l’unica vera felicità”. La felicità consiste quindi nel rimanere sordi a tutte le implorazioni. Maria nell’ultimo monologo grida: “ Dio mio, non posso vivere in questo deserto; è a voi che io parlerò e saprò trovare le parole”, cade in ginocchio “Sì, è a voi che io mi affido, abbiate pietà di me, girate lo sguardo verso di me. Signore, ascoltatemi, datemi la vostra mano. Abbiate pietà di quelli che si amano e sono separati”. La porta si apre e compare il vecchio domestico; lei ha invocato Dio e lui appare. Il vecchio con una voce netta e ferma si rivolge a Maria: “Mi avete chiamato?”, Maria, girandosi verso di lui “Aiutatemi, perché ho bisogno che mi si aiuti, abbiate pietà e consentite ad aiutarmi”. Il vecchio risponde: “No!”. Cala la scena.
Camus affermò che questo era il vero senso della tragedia, il malinteso; gli uomini non riescono a parlare l’uno con l’altro, mentono, falsificano, fingono di essere sordi, muti. La tragedia del rapporto con gli uomini è la tragedia della comunicazione, il dramma è nell’esistenza degli uomini, nell’incapacità a comunicare. Il dramma esistenziale è un dramma comunicazionale. Credo che Il malinteso costituisca il punto più avanzato di elaborazione dal punto di vista dell’esistenzialismo, sia il testo più elaborato con una forte invenzione narrativa; il limite semmai è nelle strutture teatrali, che sono chiuse. Camus come Sartre, usano le forme teatrali tradizionali, inserendo così vino nuovo in una botte vecchia. Alle novità tematiche fanno ricorso le forme più classiche del teatro; ci sono i personaggi oggettivi, le strutture sceniche, atto primo, atto secondo, le battute, le lunghe tirate. E’ un teatro di struttura retorica, antiquato. Questo è, secondo me, il limite del teatro esistenzialista.
Nei primi anni Cinquanta esplode il teatro dell’assurdo e viene rappresentata a Parigi, per la prima volta, La cantante calva di Ionesco. Se posso dare luogo a degli spunti autobiografici, andai a Parigi per la prima volta nel ’57, dove si rappresentava La cantante calva da sette anni ininterrottamente da parte di tre compagnie teatrali consecutive. Nel ’53 Beckett fa rappresentare Aspettando Godot, il secondo immenso successo del teatro dell’assurdo. Il contenuto dei lavori di questi autori è l’assurdo esistenziale tradotto attraverso forme di assurdo linguistico. Per esempio, tipico di questo testo è la frattura tra il linguaggio e l’azione; le persone dicono certe cose ma fanno il contrario, allora qual è la verità? Alla fine di Aspettando Godot, i due clochard sono esasperati e dicono “andiamocene”. Restano seduti. Cala il sipario. Ma non se ne vanno.
Ne La cantante calva gli sketch di questo tipo sono continui; batte la pendola, tutti rimangono in silenzio, la pendola batte diciassette colpi, la moglie dice che sono le tre perché ha battuto diciassette colpi. Il marito replica che ne ha battuti dieci e quindi sono le dodici, e così via. Nel testo non c’è alcuna connessione tra quello che la gente fa e quello che pensa. Il contenuto di queste due tragedie è esattamente questo: la vita assurda, senza senso, sconnessa. Il salto di qualità, rispetto al teatro di Sartre e Camus, sta nel rinnovamento formale, linguistico e strutturale del teatro. Il contenuto del teatro dell’assurdo è ancora l’assurdo esistenziale e, del resto, Sartre aveva sempre usato questa parola per definire l’esistenzialismo, la vita assurda.
Ma con Ionesco e con Beckett avviene una rivoluzione formale, cioè vengono inventate delle strutture del tutto atipiche. Non abbiamo più la distinzione tra il primo e il secondo atto, ma una distruzione della tecnica teatrale e un assurdo linguistico. Non cambiano dunque i contenuti tematici del teatro esistenzialista, ma la forma: Sartre e Camus pretendevano di costruire una struttura che aveva senso per denunciare i contenuti senza senso dell’esistenza; Ionesco e Beckett hanno inventato la forma adeguata del contenuto. Il contenuto esistenziale senza senso si tramuta in mediazioni formali senza senso, si traduce in una sconnessione formale, in una distruzione delle tecniche teatrali, delle sequenze linguistiche. Non c’è nessuna variazione tematica, se vogliamo la variazione è nell’atteggiamento: da quello serio e tragico di Camus e Sartre a quello grottesco. I personaggi di Beckett sono praticamente dei pagliacci da circo, delle caricature, poi, a poco a poco, sono oggetti privi di esistenza. Nel teatro di Ionesco e Beckett la vita è una connessione insignificante di azioni, le forme narrative sono strutture sgangherate e il linguaggio è scombinato.
In seguito Ionesco va incontro ad un’involuzione, scrive ancora due o tre lavori di pregio, invece Beckett perfeziona sempre più il suo linguaggio. C’è un suo testo poco noto che voglio ricordare, L’ultimo nastro di Krapp che, secondo me, è la più bella invenzione di testo teatrale del ‘900. Quest’opera consiste in un unico atto, un monologo con un solo personaggio. Krapp vive in una specie di capanna ai limiti di un bosco, è alto, magro, lungo, ha il naso a palla, rosso e paonazzo. Sembra quasi un personaggio da circo. Krapp ha tenuto un diario durante la sua vita su dei nastri di magnetofono, ha registrato ogni giorno la cronaca della sua esistenza e, non sapendo cosa fare, sente dei pezzi di vecchi nastri. C’è un giorno che lui va sempre a ripescare, il giorno in cui si separò dalla sua fidanzata; fecero una gita in barca e Krapp le disse che non se la sentiva di sposarsi. Lo reputa il giorno più bello della sua vita e ricorda questa acqua azzurra, la barca, il sole, loro che parlavano. Il nastro è stato sentito così tante volte che si è consumato, viene fuori la sua voce che farfuglia, lui ferma il nastro, commenta, poi torna indietro. E’ un’invenzione di tecnica teatrale straordinaria; il personaggio principale si ripete, tutte queste frasi rimandano alla stessa cosa, cioè all’inutilità di tutto ciò che lui dice di questo passato che non esiste più.
Una volta scatenato il meccanismo formale, esso si perfeziona, l’invenzione di nuove tecniche teatrali diventa sempre più adeguata. Se noi cerchiamo di storicizzare l’arco del teatro europeo al centro del nostro secolo, noi possiamo parlare prima degli antecedenti (la tragedia esistenziale, la tragedia nordica dell’espressionismo violento, Pirandello, il cinema muto, ecc.), ma il teatro dal ‘40 al ‘60 è teatro solo esistenzialista, e consiste nella giustapposizione insignificante di atti insignificanti. Nella vita umana manca il giudizio teleologico, il giudizio finalistico che dà senso a tutte le cose coordinandole in ragione di qualche fine; nel teatro esistenzialista è saltata la capacità di auto – trascendersi, cioè di riflettere a sé stessi. Questo vale per Sartre, vale per Camus, vale per Ionesco, vale per Beckett. Il salto di qualità a distanza minima di anni è dato dalla mediazione formale. Vi dico le date: Sartre nasce nel 1905 a Parigi, A porte chiuse è del ’45 nel pieno della cultura esistenzialista; Camus nasce nel 1913 ad Algeri, Il malinteso è del ’46; Ionesco nasce nel 1912 in Romania, La cantante calva è del ’50; Beckett nasce nel 1906 a Dublino, Aspettando Godot è del ’53. Questo teatro che sembra a distanza planetaria, ha meno di dieci anni di differenza, dal ’45 al ’55 è stato prodotto tutto il teatro esistenzialista.
Come abbiamo visto, il teatro dell’assurdo è dunque l’invenzione di una forma adeguata alla sua base ideologica, che è quella dell’esistenzialismo; la struttura e il meccanismo del linguaggio rinnovano e completano quella forma teatrale novecentesca che ha in Pirandello il suo primo fondatore.

Testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 25.2.1997 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.