Donne e Chiesa

Un titolo come quello che ci è affidato, anche in prospettiva ecumenica, è estremamente sollecitante e invitante. Paradossalmente proprio per quella “e” che penso anche innocentemente connette e coordina la tematica, donne e chiesa: pone però subito un problema, che immagino non sia in agenda questa sera, ma che potrebbe stare nel titolo e anche nella realtà dei fatti. Sono due cose disgiunte? certo si possono pensare soggetti “donna” senza relazione con la chiesa, ma si può pensare la chiesa senza che comprenda “donne”? io direi proprio di no… né di principio (non c’è dunque giudeo né greco, schiavo né libero, donna e uomo – Gal 3,28), né di fatto.. proviamo, come nei cartoni animati, a cancellare alcuni disegni e vediamo, una volta eliminate le donne dalle comunità ecclesiali, cosa resta…

Ma certo non era questo il senso del titolo, penso, quanto piuttosto il desiderio di affrontare pacatamente ed ecumenicamente una questione che sta a cuore a molte e molti di noi, che è spesso nelle comunicazioni di massa e anche, dato non indifferente in casa cattolica, nelle parole del vescovo di Roma, papa Francesco. E’ una questione profonda, che tocca il cuore del messaggio cristiano, “per noi e per la nostra salvezza..” – recita il credo  ed è stato il titolo di un corso fatto insieme alla pastora Letizia Tomassone alcuni anni fa. Proprio per tutti questi motivi abbiamo pensato di iniziare dal cuore, sia come centralità del significato, che come profondità della cosa: iniziamo con una meditazione biblica, su due testi evangelici, che sono anche un “classico” della lettura delle donne: a me spetta  Mt 15, 21-28//.Mc 7,24-30. Inizio però con un altro brano, che nella chiesa cattolica sarà presto proclamato nella liturgia: Mt 4, 1-11, ponendolo in relazione a a 27,29-40: le “tentazioni ” – se tu sei Figlio di Dio… fa’ miracoli, buttati giù dal tempio, mostra potenza sacrale e politica – sono richiamate dalle parole che gli vengono rivolte sotto la croce, “se sei Figlio di Dio scendi giù..”

Siamo chiamati a prendere sul serio l’umanità di Gesù e tener conto della sua vicenda, che si svolge tra questi estremi, che rappresentano una sorta di film interiore. E la sua vicenda è anche fatta di incontri, con diverse persone, tra cui alcune donne. Uno di questi incontri è quello della donna cananea  (Mt) o siro-fenicia (Mc). Questo incontro viene dopo un discorso molto importante  che è il discorso sul puro e sull’impuro, fondamentale per la liberazione di tutti. Gesù sta parlando con i suoi discepoli su cosa “sporca” e su cosa non “sporca”. Quindi un discorso di grande liberazione dal punto di vista dei codici rituali – comunque un discorso abbastanza tecnico. Si spostano in territorio straniero e là una donna, lo chiama e gli dice: “Guarisci la mia bambina”.   La donna è comunque estranea,  perché donna e perché straniera, di un altro gruppo etnico-religioso. Si esprime con le ragioni della vita: “Guariscimi la mia bambina”. Sappiamo che poi Gesù le parla, attraverso il discorso escludente e offensivo del pane dei figli e lei chiede le briciole dei cagnolini, dunque ancora : “Guarisci la mia bambina”. Allora quella tremenda risposta: “Non sono stato mandato che per le pecore perdute della casa di Israele…”. Allora, soluzione zuccherosa, in cui va a finire tutto bene è: lo sapeva già che avrebbe fatto il miracolo ma voleva mettere alla prova i suoi discepoli – che duri sempre lo sono stati – fa un trucco per metterli alla prova, per far loro fare un percorso pedagogico. Chissà.. però, pur senza scendere in psicologismi, possiamo pensare anche a altro. Che Gesù, diventando umanamente il figlio di Dio che era, impari dalle ragioni della vita di questa donna cosa significa essere Figlio, essere Messia per le ragioni della vita. Pensiamo al testo di Sapienza 11: “Tu Signore ami la vita e nulla disprezzi di quanto hai creato”: impara che cosa significa, impara dalle ragioni della sua vita, perché è come se questa donna gli dicesse: “Sei mandato per chi ti pare.. Non mi interessa… “Guarisci la mia bambina”. Sei mandato per chi Ti pare? Chiamami pure cane (che era il termine per definire i pagani), non importa, ma guarisci la mia bambina. Allora Gesù le dice “Donna, grande è la Tua fede”.

Volendo si potrebbe anche contrapporre a un passo non troppo distante nello stesso Vangelo di Matteo poi Pietro la tenta, ma affonda e gli  dice “Tu uomo sei oligopiste, sei uomo di piccola fede”. Non a caso – è lo stesso Segretario generale del Sinodo (Eterovic) svoltosi nel 2012 all’anniversario dell’apertura del Concilio, a ricordarcelo, nella lettera con cui presenta l’Instrumentum laboris – l’icona di Pietro che dopo uno slancio affonderebbe inesorabilmente se non afferrato è cifra della oligopistia – poca/piccola fede di una comunità che riesce a fidarsi proprio poco  poco.  Dunque Pietro rappresenta gli uomini e la cananea le donne? una corrispondenza così ingenua è troppo banale, non ci faremo catturare da questa sia pur suadente metafora! Ognuna di noi è anche Pietro e siamo chiamate a lasciar crescere attraverso la cura per altre/i la fede/fiducia, per essere corroborate e per confortare fratelli e sorelle, chiamate a spezzare le briciole di pane ricevute perché ne avanzino ceste per tutti (vicino a questo stesso contesto il brano della “moltiplicazioni dei pani”).

 Tornando dunque al testo senza pre/dividerne la parti e i ruoli tra donne e uomini – abitudine peraltro piuttosto ecclesiastica, sia pure sviluppata su altri testi biblici e in forma escludente il femminile –  ciò che risulta da questi incontri non è cosa marginale, ma riguarda il modo di essere Messia, di essere Figlio, fedele all’Abbà per le ragioni della vita, piuttosto pronto a morire che rinnegarle. Dice spesso un teologo di Milano, Sequeri, commentando sulla scorta di Giobbe la morte di Gesù sulla croce, che muore dicendo : “Tu non sei il Dio che vuole la morte degli innocenti.  Ed è talmente vero che io piuttosto muoio e mi faccio crocifiggere perché nessuno debba essere crocifisso in nome di Dio.” Non va in croce perché deve rispondere quasi a un ricatto di Dio, ma proprio per mostrare nelle viscere, nella vita fino in fondo che Abbà è Abbà della vita e Abbà delle ragioni della vita ha uteri misericordiosi e anche di più e di meglio. Come dice il testo di Isaia: “Si dimentica una madre del figlio (può succedere che si dimentichi) in ogni caso io non mi dimentico: Ti ho tatuato (come chi è in carcere) sulla mia carne”.

Allora possiamo dire, che l’incontro con questa donna è importante per la fede/fiducia con cui crediamo e per la fede/che crediamo, cioè che Gesù mostri nelle nostre vite il volto di Abbà. E’ importante anche per la chiesa? può esserlo.. o anche no, dipende da molte cose. Certo – magistrale in questo senso la lettura che Mercedes Navarro Puerto fa della dialettica fra discepoli e “altri” nel Vangelo di Marco – c’è un gruppo centrale che “se fracasò”, si disperde – e il gruppo che si costituisce dopo la Pasqua è misto: composto di parenti e “altre/i” che accolgono quello che resta del gruppo sbandato, quello dei 12. Io dico che la chiesa nascerebbe qui, ovviamente… dunque anche l’esperienza della Cananea è importante, anzi è “accogliente” degli elementi identitari che si presumono al centro, ma rischiano continuamente di affondare per piccola fede.

E tuttavia la chiesa patisce sempre la tentazione di escludere, di cacciare o comunque di mettere ai margini: tentazione cui la luce di Pasqua nella pluralità benedetta da Pentecoste – lo spirito che ama le differenze riconciliate – offre medicina e conforto, ma anche (cfr 1 Cor 14) esortazione e edificazione: rispetto al genere dei soggetti implicati (se donne/uomini), ma anche rispetto all’estraneità/stranierità (se siro/fenici o “nostri”) e rispetto all’inclusività di un annuncio che sia di vita, che sappia le ragioni della vita nella carne tatuata. (testo, non rivisto dall’Autrice, della conversazione tenuta a Brescia su invito della Ccdc il 24.2.2014)