Equilibrio e trasgressione di Alessandre il Grande

Furono gli stessi generali, che avevano condiviso la grande spedizione di Alessandro in Oriente, a rendersi conto dell’eccezionalità del personaggio e a decidere di raccontarne le gesta. Tolomeo Lago il futuro re dell’Egitto, Callistene il filosofo e Nearco l’ammiraglio della flotta furono così i suoi primi biografi. Ma le loro opere non ci sono giunte, se non in forma parziale e indiretta. A Callistene viene però attribuita una storia romanzata delle gesta del giovane sovrano macedone, arrivataci col nome di Romanzo di Alessandro: qui troviamo gli aneddoti più fantasiosi e probabilmente meno attendibili. Ci sono giunte invece, e sono la nostra fonte ufficiale di conoscenza, la celebre Vita di Alessandro, scritta in greco da Plutarco molti secoli dopo, e i dieci libri di Storie di Alessandro Magno, opera latina di Curzio Rufo nel I secolo d.C. Il fatto che queste due opere siano famose non comporta automaticamente una certificazione di garanzia della loro attendibilità. Ma sappiamo con certezza che questi scritti sono stati la base della fortuna di una certa idea di Alessandro: quella che ha fatto di lui, da una parte, la reincarnazione storica dell’Achille omerico, eroico e capriccioso e, dall’altra, il modello di molti giovani eroi delle età successive. Si pensi, ad esempio, alla conclusione del Dialogo di Tristano e di un amico, delle Operette morali del Leopardi. A Tristano, cioè Leopardi stesso, appare preferibile il morir subito piuttosto che ottenere la fortuna e la fama di Cesare o di Alessandro: cioè la gloria di due personaggi considerati nei secoli esemplari, almeno come incarnazione del successo umano. Personaggi che, non a caso, sono uniti nel confronto di Tristano e nel pensiero del Leopardi: infatti la coppia Cesare-Alessandro è la più celebre coppia di Vite parallele, che Plutarco ha scritto, volendo accostare un personaggio romano a uno greco. Potremmo usare un aggettivo greco per definire sinteticamente il personaggio Alessandro: è l’aggettivo deinós, che significa grandioso e terribile, insieme. Non ne caratterizza solo il volto positivo né solo quello negativo: ma entrambi gli aspetti, compresenti nella complessità di un carattere, di una genialità, di un rispetto di alcune regole da una parte e della trasgressione delle stesse dall’altra. Sono i volti di Alessandro che mostrano le improvvise esplosioni di ferocia, spesso frutto del vino abbondante, ma precedute e seguite da manifestazioni di mitezza e clemenza. Sembra quasi impossibile pensare che l’uomo, che in un impeto di ira uccide l’amico Clito, a seguito delle sue dichiarazioni franche e spregiudicate, sia lo stesso che raccomanda la clemenza verso i vinti e un atteggiamento conciliativo verso i Persiani sottomessi. Oppure, che quando cattura la moglie e la madre del re Dario, si preoccupa perché esse vengano rispettate come donne e come regine, con tutti gli onori connessi al loro rango. Ma l’atteggiamento di benevola disposizione verso le tradizioni persiane non era compensato da analoga tolleranza verso le abitudini inveterate dei suoi. Accadde ad esempio che, a un certo punto, i soldati macedoni e greci, che pure erano a lui legati da anni di campagne militari, si rifiutassero di prostrarsi ai suoi piedi per la proskýnesis. Era l’adorazione tipicamente orientale del sovrano, sentita dai Greci come una umiliazione indebita: e la repressione del loro rifiuto fu durissima, e non risparmiò neppure i più devoti. Si diceva che l’aggettivo deinós rende bene la complessità del personaggio Alessandro e del suo comportamento. È un aggettivo caro al tragediografo greco Sofocle, che lo usava per molti protagonisti delle sue opere: per Edipo, per esempio, per Aiace e, al femminile, per Antigone. Mi sembra che definire così Alessandro sia particolarmente appropriato, perché non solo Aiace ed Edipo furono al centro di grandi tragedie: lo fu anche Alessandro. Anche la sua impresa e, più in generale, la sua vita furono infatti una grande tragedia. Sfolgoranti vittorie, onori divini, drammi personali e familiari si alternarono intorno a lui con rapidità sconvolgente. E l’ultimo atto della tragedia giunse molto presto, quando il sipario calò su di lui a Babilonia, alla prematura età di trentatré anni.

Giornale di Brescia, 13.1.2005.