Europa e giustizia penale

Autori: Pisani Mario
Tematiche: Europa

Vorrei precisare subito, se non altro per prudenza, quale è stata l’occasione dell’incontro, perché mi si era proposto di trattare del sistema penale nell’ultimo ventennio. Ho reagito quasi istintivamente rispetto a questa proposta e quasi provocatoriamente ho proposto di ribaltare la freccia dell’orizzonte. Anziché parlare del diritto penale del passato, o dell’oggi, che avrebbe comportato notevoli rischi di indugi su questioni contemporanee nei limiti della banalità, ho detto: “Guardiamo al domani, guardiamo al diritto dei nipoti”. Dopo aver fatto questa controproposta mi son detto che probabilmente è stata una scelta un po’ temeraria e ne ho avuto la conferma quando ho dovuto ordinare le idee per parlare di questo.
Dico subito che l’ottica del tema per ragioni, anche qui, di prudenza e moderazione, vuole essere quella del guardare al panorama internazionale per altro da una specola di diritto interno. Anche così riguardato quel panorama è vasto, direi vastissimo, si estende per monti e per valli quasi a perdita d’occhio. Da qui la mia temerarietà per averlo voluto affrontare, oltretutto nel giro di pochi quarti d’ora e da qui pure la mia esigenza di ancorarmi alla terra ferma, a due città, Schengen e Maastricht, come punti di riferimento nel discorso. Mi propongo dunque di mettere un po’ a fuoco la portata delle intese stipulate e le prospettive che ne sono derivate, derivano e deriveranno per il nostro sistema penale per effetto di quelle intese, più che altro con l’ambizione di far intravedere degli orizzonti. Ormai anche su questo ci sono pubblicazioni benché soprattutto dal punto di vista internazionalistico, io invece sono un internista che guarda all’effettività del diritto. Mi ricordo che Pasquale Stanislao Mancini mi diceva che il diritto internazionale diventerà diritto quando oltre alle norme ci sarà un tribunale e ci sarà un carcere. Ricordo una conferenza al Collegio Borromeo di Carnelutti che era venuto a parlare della crisi del diritto e aveva fatto cenno al cosiddetto “diritto internazionale” aggiungendo “con buona pace dei cultori del medesimo”.
Mi propongo di esaminare la portata delle intese anche nell’ottica dei loro riflessi nel nostro ordinamento interno. Va detto che Schengen e Maastricht rappresentano tra le più recenti tappe della evoluzione, ormai lunga, sicuramente difficile e mai compiuta del cammino verso la costruzione dell’Europa. D’altronde, però, Schengen e Maastricht, rappresentano solo dei capitoli di quello che si può chiamare il “Macro-sistema” europeo. Pensate a tutta la serie di adempimenti che l’adeguamento e l’adempimento delle direttive europee porta nel nostro ordinamento. Mi guarderò bene dal toccare queste prospettive. Pensate agli adempimenti che ogni atto normativo comunitario impone e ha imposto, poniamo i riflessi sul testo unico bancario, che pure era stato modificato. Di queste cose non mi occupo, ma voglio solamente accennarle per dire quelle poche cose di cui mi sono proposto per prudenza di occupare.
Schengen è una cittadina del Lussemburgo che nel 1985 ha ospitato la firma del Trattato tra i Paesi che avevano costituito la Comunità europea, cioè Italia, Germania, Francia e i Paesi del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo). Gli Accordi sono consistiti in un Accordo base, del 14 Giugno 1985, e in una Convenzione di applicazione del 19 Giugno 1990. L’Accordo del 1985 era più che altro di carattere programmatico e il programma era ed è la eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, nell’ottica della costruzione dell’Europa senza frontiere, senza confini interni. La Convenzione di applicazione del 1990 si è preoccupata di dare attuazione al programma e ne è venuto fuori un vero e proprio trattato internazionale di 142 articoli. Voglio semplicemente darvi gli orizzonti di queste tematiche. L’Italia che cosa ha fatto? L’Italia ha autorizzato la ratifica con la Legge del 30 Settembre 1993, a otto anni di distanza, e il testo di questa Legge è stato poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 Ottobre 1993. Faccio riferimento a questa pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Legge perché come tutte le leggi di adeguamento ai trattati internazionali può essere di tipo protocollare, formale, ma qui invece abbiamo venti articoli che contengono tutta una serie di norme di adattamento dell’ordinamento interno alla serie degli impegni e degli Accordi di Schengen. Gli Accordi di Schengen sono entrati in vigore il 26 marzo 1995 per altro solo per un gruppo di Stati che sono quelli che avevano sottoscritto gli Accordi come promotori, ai quali si sono poi venuti aggiungendo i Paesi iberici – Spagna e Portogallo – (1991) che hanno rappresentato dei Paesi entusiasti per tutto ciò che è Europa. Questo è un dato molto interessante, significativo. Invece per l’Italia e per la Grecia l’entrata in vigore è stata differita al momento in cui sarebbero state soddisfatte, così come si è previsto, alcune particolari condizioni. In particolare per l’Italia la condizione rappresentata dalla necessità di adottare una disciplina particolare per la protezione dei dati personali, ritenuta essenziale dalla Convenzione d’applicazione del 19 Giugno 1990. Vi rendete conto dell’importanza di questo aspetto, perché capite che l’abbattere le frontiere interne comporta la necessità di rafforzare le frontiere esterne e di controllare i movimenti di persone e di cose all’interno di Paesi che si hanno eliminato i controlli alle rispettive frontiere. Vi rendete conto, anche, per converso, della necessità di tutelare i dati personali di contro ai rischi delle invadenze nelle libertà personali. Era stato convenuto che avendo l’Italia una legislazione ritenuta conforme agli standard del Consiglio d’Europa bisognava arrivare a questa determinazione normativa. Se quindi ai Paesi fondatori del sistema Schengen si aggiungono Spagna e Portogallo, mentre l’Italia e la Grecia vengono messe un po’ da parte, bisogna dire subito che Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, che sono pure Paesi comunitari, non fanno parte del sistema di Schengen, né intendono farne parte. Anche questo è un dato da tenere in qualche considerazione.
Gli Accordi si inseriscono in una trama più ampia di negoziati che si sono svolti e continuano a svolgersi fra l’altro con notevoli gradi di riservatezza a diversi livelli di carattere internazionale e più particolarmente questo allargamento della prospettiva si va a incastonare nell’ottica dell’Unione Europea. Il 1 Novembre 1993 viene costituita l’Unione Europea in forza del Trattato di Maastricht, la quale è stata dotata di competenze assai più ampie di quelle previste per Schengen con riferimento particolare al titolo sesto del Trattato che viene chiamato il “terzo pilastro” di Maastricht. Il dato importante è che le competenze attribuite in forza del Trattato di Maastricht all’Unione Europea sono tali da poter ricomprendere, qualora gli Stati membri lo decidano, s’intende, le materie disciplinate negli Accordi di Schengen per cui qualcuno ha cominciato a dire che sarà il caso di superare il sistema Schengen. Ad ogni modo l’applicazione degli Accordi di Schengen può, potrà costituire un banco di prova interessante per sperimentare in un ambito più circoscritto di quello che corrisponde ai quindici Paesi dell’Unione Europea tutta una serie di problematiche, di operazioni che sono state prospettate, messe a fuoco negli Accordi medesimi. C’è una divaricazione, una stratificazione, un rischio di convergenze o di divergenze di cui la cifra più esterna e significativa è rappresentata dal fatto che le Comunità europee sono presenti nel gruppo di Schengen semplicemente a titolo di osservatori e quindi noi vediamo anche in questo ambito delinearsi quell’inconveniente o comunque quel fenomeno- limitiamoci a definirlo così – dell’Europa a due velocità; la velocità diciamo Schengen e quella Maastricht il che crea non pochi problemi. Parlo poi di Europa a due velocità senza mettere in conto l’attività del Consiglio d’Europa di cui fanno parte il doppio dei Paesi che fanno parte del Unione Europea. Il Consiglio d’Europa, che, come sappiamo, ha operato come una centrale di energia normativa; basta pensare al numero delle Convenzioni in materia penale a cominciare da quella di estradizione, assistenza giudiziaria, trasferimento delle persone detenute, applicazione della sospensione condizionale delle pene. Se noi dovessimo raccogliere la serie di risoluzioni e raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia penale, penso che ne verrebbe un trattato di grande importanza, di grande rilievo.
Qual è il contenuto della Convenzione di applicazione di Schengen? Si tratta di otto titoli, il primo, di fondamentale importanza, è dedicato alle definizioni: pensate alla definizione di “frontiere interne” “paese terzo”, “controllo frontaliero”. Il secondo titolo concerne la abolizione dei controlli delle frontiere interne e la circolazione delle persone, quindi politica del diritto d’asilo, circolazione a scopo turistico ecc. Il terzo titolo è molto denso e contiene materie assai eterogenee:

  • cooperazione tra polizie, quindi scambio di informazioni nella fase pre-istruttoria sempre per altro senza l’uso di mezzi coercitivi, monitoraggio trans-frontaliero, diritto di inseguimento;
  • assistenza giudiziaria nelle cause penali con il proposito di operare una integrazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959;
  • applicazione del principio del ne bis in idem in ambito internazionale. Gli operatori sanno che nei nostri sistemi tradizionali non opera sul piano dei rapporti internazionali il ne bis in idem, si sono avuti anche casi importanti e drammatici. Applicazione che poi è stata sancita nell’accordo tra gli Stati comunitari del 1987, ratificato in Italia con legge del 1989.
  • Estradizione. Anche qui nell’intendimento di integrare la Convenzione europea di estradizione che essendo espressione del Consiglio d’Europa riguarda oltre venti Paesi, mentre qui siamo in un ambito più ristretto;
  • trasferimento di esecuzione delle sentenze penali. Anche qui a integrazione della Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate del 1983.
  • sostanze stupefacenti;
  • armi e munizioni.

Come vedete tematiche penalistiche di grande incidenza, di grande importanza, soprattutto nel momento in cui si aprono le frontiere interne fra i vari Paesi.
Il titolo quarto di questi Accordi è dedicato al “Sistema Informativo Schengen” che prevede un sistema informativo comune fra i vari Paesi messo a disposizione dei vari Stati per la segnalazione delle persone, delle cose, con possibilità di consultazione automatica dei dati, sia in sede di controlli alle frontiere esterne, sia nel quadro dei controlli di polizia e di dogane all’interno.
Il quinto titolo è dedicato ai trasporti e ai traffici merci, con ovvi intenti di semplificazione del traffico attraverso le frontiere interne, il sesto alla protezione dei dati personali. Quindi l’esigenza di fissare i limiti di fronte all’indiscriminata acquisibilità dei dati che pure è funzionale ai controlli nei movimenti all’interno dei vari Paesi. Da qui l’impegno degli Stati di adottare le opportune disposizioni a livello della protezione dei dati perlomeno pari a quelli fissati negli standard del Consiglio d’Europa del 1981.
Il settimo titolo riguarda il Comitato Esecutivo che è l’organo centrale di tutta la dinamica degli Accordi di Schengen e che è formato dai Ministri competenti per le varie materie e delibera all’unanimità, tenuto conto che le deliberazioni hanno un’efficacia pari alle disposizioni degli Accordi di Schengen. E’ come se fosse un legislatore continuo. Questo Comitato ha delle competenze molto estese, vigila sulla corretta applicazione degli Accordi, ma non solo, ha anche il compito di adottare delle disposizioni applicative, dispositive, più particolareggiate rispetto agli Accordi.
L’ottavo ed ultimo titolo riguarda le “Disposizioni finali”; finali ma non trascurabili. L’articolo 134 dice che “gli Accordi si applicheranno se e in quanto compatibili con il diritto comunitario” inoltre si prevede la possibilità per ogni Stato membro della Comunità Europea di aderire all’Accordo.
A proposito dei dati personali e della tutela dei medesimi, ricorderò che nella dichiarazione comune relativa alla protezione dei dati che è stata allegata all’Accordo di adesione del 27 novembre 1990, l’Italia si era impegnata ad adottare prima della ratifica le iniziative necessarie per completare la legislazione italiana sul tema della protezione delle persone rispetto ai dati automatizzati. La ratifica per diversi anni si è fatta attendere, in realtà la nuova legge è stata approvata solo il 18 dicembre 1996 ed è stata poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 gennaio 1997. Penso ogni tanto a quella disposizione francese in cui si diceva che essendo la Francia molto grande la legge entra in funzione a quindici giorni di distanza da quando la Gazzetta Ufficiale arriva sul posto. Siamo quasi vicini, forse, a questo sistema.
Quindi la legge pubblicata l’8 gennaio in sostanza viene ad integrare la nostra adesione a Schengen e a completare quel dato che era prima mancante. Il Governo ha preso il tempo di quattro mesi per il regolamento di attuazione, la legge per quanto si è visto è molto ricca di previsioni normative, ben 45 articoli con previsioni di sanzioni penali o amministrative. Questa legge introduce un garante che ha il compito di vigilare sulla correttezza delle operazioni e sui reclami verso l’asserita violazione della legge. Si prevede inoltre che il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici sarà ammesso solo con il consenso dell’interessato, chiunque inoltre – secondo queste previsioni normative – potrà informarsi sui dati che lo riguardano consultando il registro depositato presso il garante. Penso che ne vedremo di belle. Per diffondere alcuni dati in ordine all’origine razziale ed etnica, iscrizione a partiti e a sindacati, è previsto che occorra l’autorizzazione scritta dell’interessato e del garante. Queste limitazioni, invece, non valgono per i giornalisti i quali non dovranno chiedere l’autorizzazione all’interessato a meno che si tratti di notizie sulla salute e sulla vita sessuale. Di contro a questa ampia possibilità per i giornalisti si è fatta subito sentire la reazione della stampa italiana a difesa, manco a dirlo, del diritto più certo che c’è in Italia, il diritto di cronaca.
Sempre con riflesso a Schengen non vi sarà sfuggita un’altra notizia di stampa dei gironi scorsi, un’accusa pubblicata sui quotidiani di sabato 11 gennaio: “The Economist” settimanale di un Paese, l’Inghilterra, contrario a Schengen, diceva che l’Italia è un Paese molto lungo, che le frontiere sono una sorta di colabrodo, che settecentomila clandestini sono entrati solo nel 1996. Il nostro Ministro degli Interni ha reagito dicendo che siamo pronti ad una verifica, sembra che a metà febbraio giungeranno gli ispettori di quel Comitato Esecutivo di cui io ho sottolineato l’importanza e la potenza ed entro fine gennaio sarà presentato al Consiglio dei Ministri il disegno di legge governativo in materia di regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno di cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea.
Per tornare al panorama globale di Schengen va detto che accanto agli elementi indubbiamente positivi che quegli Accordi hanno messo in luce, ci sono pure aspetti negativi. Positive per esempio sono le opportunità che sono state offerte in ordine alla lotta contro la criminalità internazionale, in ordine al ravvicinamento operativo tra le polizie, alla semplificazione delle procedure del diritto d’asilo, dell’uniformità delle condizioni d’accesso, del monitoraggio alle frontiere, della politica comune per i visti. Sono presenti, però, aspetti negativi che non sono pochi come il lungo iter di realizzazione secondo modalità che sfuggono al controllo democratico e parlamentare; i negoziati giungono all’esame dei parlamenti solo per il voto di ratifica, prendere o lasciare. Altro elemento negativo è l’assenza di coesione fra innumerevoli iniziative in materia, il rischio di eccesso dell’attuazione delle misure compensative rispetto a quelli che dovrebbero essere gli scopi finali, cioè del far fronte alla soppressione delle frontiere interne, il deficit, inoltre, di garanzie giurisdizionali. Altri aspetti problematici sono i rischi nel servizio di informazione di Schengen, gli ampi parametri di discrezionalità dettati con queste espressioni “fortemente sospetto”, “grave reato”, “minaccia rappresentata da una persona”, “ordine pubblico”, “sicurezza interna” ecc. ecc. Inoltre l’ultimo aspetto problematico riguarda la delicatezza dei rapporti tra sistema Schengen e sistema del diritto comunitario; l’articolo 134 dà la priorità al diritto comunitario rispetto al sistema Schengen, l’articolo 142 prevede che il rapporto tra il gruppo di Schengen (cioè gli otto Paesi) e i 12 debba essere ispirato al criterio di operare nell’ottica unitaria dello spazio senza frontiere interne, ma ci si accorderà sulle condizioni alle quali le disposizioni della Convenzione sono sostituite o modificate in funzione delle disposizioni corrispondenti. In altre parole, se si modificheranno le disposizioni della disciplina comunitaria sarà questa a prevalere su quella di Schengen. Evidentemente questo crea tutta una dialettica e non semplifica il movimento complessivo delle due diverse velocità.
Passiamo dunque velocemente dal Lussemburgo (Schengen), all’Olanda (Maastricht). Alla vigilia del Consiglio Europeo di Maastricht, del 9-10 dicembre 1991, la situazione delle iniziative per creare le premesse per l’apertura delle frontiere interne era ancora piuttosto confusa e contraddittoria. Il gruppo Schengen si era allargato, come detto, con le inclusioni dell’Italia, della Spagna e del Portogallo. Tra i 12 Paesi della Comunità europea la situazione restava difficile da questo punto di vista, sia per le resistenze in particolare dell’Inghilterra contro l’idea della completa soppressione dei controlli di frontiera, sia per i deficit di pregnanza democratica degli impegni assunti in funzione delle iniziative di sicurezza e di misure compensative da adottarsi entro il 1992. Questo deficit era stato sottolineato anche dal Parlamento Europeo che era intervenuto in più di un’occasione per denunciare in buona sostanza modalità e contenuti dei rapporti diretti inter-governativi, cioè limitati a quelli che sono i rapporti di vertice tra i governi. Il Parlamento Europeo il 13 dicembre 1991 adotta una risoluzione in base alla quale la Conferenza Intergovernativa di Maastricht è sollecitata a modificare il testo dei Trattati istitutivi della Comunità affinché, si badi, riguardo a qualsiasi questione inerente alla libera circolazione delle persone nella Comunità e alle frontiere esterne, nonché inerente alla sicurezza interna, venisse esplicitamente prevista una competenza della Comunità. Eppure direi che le decisioni maturate a Maastricht erano destinate a scontentare il Parlamento Europeo e coloro che avrebbero voluto il superamento di approcci puramente inter-governativi prevalentemente rivolti alla tematica della sicurezza. In un solo settore il Trattato stipulato a Maastricht prevede l’attribuzione di nuove competenze alla Comunità: la politica dei visti considerata come misura difensiva. Per tutte le altre materie, invece, Maastricht si muove semplicemente nel senso di istituire la cooperazione in alcuni settori fra i vari Paesi ed è questo ciò che dà base all’articolo sesto sull’Unione, il cosiddetto “terzo pilastro” perché il primo concerne l’unità europea e il secondo la politica estera e la sicurezza comune. A proposito di questa terminologia è il caso di richiamare alcune di quelle norme del Trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio1992 (per l’Italia l’ordine di esecuzione è della Legge del 3 novembre 1992) ed entrato in vigore il 1 novembre 1993.

Articolo A
“Con il presente trattato le alte parti contraenti istituiscono tra loro un’Unione Europea in appresso denominata Unione. Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’Unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini. L’Unione è fondata sulle Comunità europee integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.”
Presentando un volume sul cosiddetto “terzo pilastro” un internazionalista, Tizzano, ha parlato, sintetizzando la portata di questo articolo A, delle parole d’ordine ufficiali della Comunità Europea: “trasparenza”, “prossimità” e “democrazia”.

Articolo B
“L’Unione si prefigge i seguenti obiettivi:
promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne; il rafforzamento della coesione economica e sociale, l’instaurazione di una istituzione economica e sociale e di una istituzione economica e monetaria che porti a termine una moneta unica in conformità delle disposizioni del precedente Trattato(…)”;
L’organo centrale del Comitato Esecutivo di Schengen è rappresentato dal Consiglio dell’Unione in cui siedono, volta a volta a seconda dell’ordine del giorno, i rappresentanti di ciascuno Stato membro abilitati ad impegnare i rispettivi governi nazionali. Il titolo sesto, appunto, è dedicato al settore della giustizia e degli affari interni ed è quello che interessa alla nostra ottica penalistica.

La cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni è disciplinata dalla seguenti disposizioni: k1) ai fini della realizzazione degli obiettivi dell’Unione, in particolare della libera circolazione delle persone fatte salve le competenze della Comunità Europea che vengono messe al di sopra, gli Stati membri considerano questioni di interesse comune i seguenti settori:

  1. la politica d’asilo;
  2. le norme che disciplinano l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone;
  3. la politica di immigrazione e la politica da seguire nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi;
  4. la lotta contro la tossicodipendenza;
  5. la lotta contro la frode su scala internazionale;
  6. la cooperazione giudiziaria in materia civile;
  7. la cooperazione giudiziaria in materia penale;
  8. la cooperazione doganale;
  9. la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altra forme gravi di criminalità compresi, se necessario, taluni aspetti della cooperazione doganale in commissione con l’organizzazione a livello dell’Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un ufficio europeo di polizia (Europol).

k2) I settori contemplati nell’articolo k1 (…)
k3) Nei settori di cui all’articolo k1 gli Stati membri si informano e consultano reciprocamente per coordinare la loro azione. Il Consiglio può:

  • adottare posizioni comuni;
  • adottare azioni comuni;
  • elaborare convenzioni di cui raccomanderà l’adozione da parte degli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali. Le convenzioni possono prevedere che la Corte di giustizia sia competente per interpretarne le disposizioni e per comporre le controversie connesse con la loro applicazione secondo modalità che saranno precisate dalle medesime convenzioni.”

Il titolo sesto, “terzo pilastro”, ha suscitato diverse critiche nell’ambito degli studiosi del diritto comunitario. Ricorderò il già citato Tizzano, che insegna a La Sapienza di Roma, che scrive: “Non sono prive di fondamento le obiezioni al carattere vischioso e contorto del terzo pilastro da tutti o quasi considerato come un autentico labirinto di meccanismi confusi e di procedure ai limiti della praticabilità così come non son prive di fondamento le riserve a causa della sostanziale assenza di autentiche forme di controllo sia di carattere democratico, parlamentare, che di carattere giurisdizionale.”
Da parte mia preferisco piuttosto da un punto di vista pratico seguire l’indicazione di un altro collega internista anch’esso, Giovanni Grasso, autore di diverse pubblicazioni in materia europeistica oltre che partecipante alle delegazioni governative che si sono occupate di queste tematiche. Ha scritto in questi termini: “Ritengo che le previsioni del titolo sesto possano costituire un’opportuna base giuridica per iniziative di armonizzazione e di coordinamento con riguardo alla repressione della criminalità internazionale”.
Passando al tema dell’estradizione, qui non volevo mettere in campo il Consiglio d’Europa, ma pensate che quando fu varata la Convenzione europea di estradizione del 1957 furono in questo modo rimpiazzati più di centocinquanta trattati bilaterali, con obbiettivo ovvio di semplificazione e attuazione di un sistema più trasparente ed efficace. Per quello che interessa Maastricht su questa strada, quella della semplificazione e dell’efficienza, si sono poste alcune Convenzioni tra gli Stati membri della Comunità europea:

  1. gli Accordi di San Sebastian, 1989, sulla semplificazione e sulla modernizzazione delle modalità di trasmissione delle domande di estradizione, ratificato con Legge del 1992;
  2. la Convenzione per la procedura semplificata di estradizione stipulata a Bruxelles nel 1995, meritevole di segnalazione per la nostra prospettiva in quanto nel preambolo si ricorda che è stata stabilita sulla base dell’articolo k3 del Trattato sull’Unione Europea;
  3. la Convenzione in materia di estradizione a portata ampia che conclude discussioni durate tre anni e le conclude proprio in forza dell’apporto particolare che è stato dato dalla Presidenza italiana, Convenzione sottoscritta a Dublino il 27 settembre 1996 sulla base, ancora una volta, dell’articolo k3. Interessante anche perché vengono trattati due temi scottanti come il terrorismo e l’associazione a delinquere, in particolare l’articolo 3 prevede che per gli Stati che non hanno la figura di reati associativi, che prescindono dalla commissione di reati particolari, una deroga al principio della doppia incriminazione.

Per concludere, il “terzo pilastro” sarà pure contorto, ma mi pare che ci sia e che si apra la possibilità di costruire qualcosa di buono o comunque qualcosa di utile. Del resto c’è una sorta di imperativo etico che vale almeno per chi lo sente e che suona così: “bisogna essere ottimisti se non altro – come diceva il poeta Prévert – per dare il buon esempio”.

Testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 13.1.1997 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.