I giovani incontro a Cristo

Ho preso il treno per venire da voi, immaginate che sul treno il controllore mi abbia chiesto il biglietto e io gli abbia risposto: “Non ce l’ho, sono qui sul treno”; -“Ma signore da dove siete partito?” -“Non lo so, sono qui sul treno.”
Sembra uno scherzo , ma ci sono molti uomini sulla terra che sono saliti sul treno della vita senza sapere da dove sono partiti e dove andranno e sono nella vita senza sapere perché. E’ terribilmente grave non sapere perché si vive, io ho cercato di capirlo da quando sono giovane e ora qui riferirò la mia testimonianza.
Ho perso mio padre quando ero molto giovane, ho dovuto mettermi a lavorare subito, sono stato allevato secondo la dottrina cristiana da mia madre, mio padre invece era ateo.
L’educazione cristiana che ricevetti scivolò via come acqua e, quando tornai a lavorare, cercai lì un senso per la mia vita. Tra di me pensavo come era impossibile che io potessi essere un fiume senza sorgente, guardavo gli uomini e cercavo di capire cosa li univa, qual era il filo conduttore, e alla fine giunsi alla conclusione che questo filo conduttore era la vita. Si è capaci di combattere solo per difendere la propria vita, ma questa vita deve venire da qualche parte. Guardavo la Senna che si gettava a Le Havre e dicevo tra me: il fiume ha una sorgente e un mare in cui va a sfociare, la mia vita viene da qualche parte, voglio trovare un senso per questa vita, altrimenti sarei capace di buttarla via. Mi sembrava impossibile poter vivere senza sapere perché si vive, così sono arrivato proprio all’idea di Dio; ma Dio lo trovavo troppo lontano, troppo alto. Un giorno passeggiavo su una strada che passa per Le Havre e vidi esposto un libro in una vetrina, il titolo era: “Voglio vedere Dio”. Io credevo che ci fosse un Dio, ma non volevo solo vederlo, volevo entrare in contatto con Lui, non volevo un Dio che mi guardi dall’alto del suo cielo, un Dio con cui non poter entrare in contatto, ma volevo un Dio che mi parlasse e a cui io potessi parlare, ma era troppo alto e non sapevo come incontrarlo. Così ho incontrato Gesù Cristo. L’ho incontrato per strada.
Tutte le mattine mi recavo al lavoro per la stessa via, sullo stesso marciapiede e tutte le mattine c’era un giovane che passava alla stessa ora sull’altro marciapiede. Era un ragazzo cristiano cui era stato detto di non guardare se stessi, ma gli altri e di annunciare Gesù Cristo al prossimo. Una mattina questo ragazzo mi ha fatto “Ciao”. Io mi sono detto: “Non lo conosco ma tra giovani ci si saluta”. Il giorno dopo mi salutò di nuovo ed io per gentilezza ed educazione feci lo stesso. Dopo tre o quattro giorni attraversò il marciapiede. Se Jean non avesse attraversato il marciapiede forse io non sarei qui questa sera.
Bisogna sempre attraversare per andare verso l’altro.
Se credete in Gesù siate responsabili, Egli non ha più labbra per parlare, bisogna rimpiazzare queste labbra, dobbiamo prestare le nostre labbra a Gesù che non le ha più. Lui ha bisogno di noi. Aveva bisogno di Jean perché lo incontrassi però Jean non mi ha parlato subito di Gesù, mi ha chiesto: “Ci sono altri giovani come te che lavorano, tu sei contento?” Risposi di no e lui – “Fai qualcosa con i tuoi coetanei”, ed io gli chiesi cosa avrei dovuto fare, e lui ancora “Cosa fai durante i momenti liberi?” risposi che mi annoiavo: “ci sono altri ragazzi che come te si annoiano, organizza qualcosa con loro”. Non potevo, ero troppo occupato di me stesso! A poco a poco, mentre parlavo con Jean alzavo la testa per guardare verso gli altri, era come se una nebbia si alzasse nella valle, e vedevo più chiaramente nella mia vita e nella vita del mondo. Jean mi ha aiutato ad aiutare gli altri, ad impegnarmi, come si dice oggi. Un giorno mi disse: “Ci sono alcuni ragazzi come me che hanno deciso di fare qualcosa per gli altri e ci riuniamo regolarmente, vuoi venire con noi?” Gli dissi di sì per amicizia, mentre lui aggiungeva “devo essere del tutto sincero con te, noi siamo dei cristiani e paragoniamo la nostra vita con il Vangelo per vedere se combaciano e c’è anche un prete tra noi. Alla parola “prete” risposi repentinamente che avevo ancora tante cose da fare, ma subito Jean mi allettò aggiungendo che vi erano anche delle sigarette. Io non avevo molti soldi per comprarle, così andai un po’ per l’amicizia con Jean e un po’ per le sigarette. Trovai dei ragazzi che non erano come quelli che conoscevo abitualmente, avevano trovato un senso alla loro vita e cercavano di andare verso gli altri, di fare qualcosa, non si accontentavano di dire “il mondo va male”, cercavano di cambiarlo. Tutta questa sofferenza che vedevo nel mondo mi schiacciava e fino ad allora non avevo trovato il modo di cambiare nulla e tra me sentivo che quei ragazzi avevano ragione, si poteva fare qualcosa. Ho incominciato a dire con loro “lo faccio per Gesù Cristo”. Però non conoscevo Gesù se non per nome, dovevo fare la sua conoscenza. Una sera presi coraggio e chiesi a Jean, pregandolo di non prendermi in giro, chi fosse Gesù Cristo; lui mi rispose: “è un amico con cui parlo, credo che sia Dio venuto davanti a noi”. Per la prima volta prese il Vangelo che portava sempre in tasca e leggemmo un brano insieme. Era molto tardi, ma discutemmo a lungo su questo passo. Così tutte le volte che ci si incontrò, ed era sovente, si leggeva il Vangelo e si discuteva. Capii che Dio era venuto incontro a noi attraverso Gesù e non toccava a noi fare degli sforzi per arrivare fino a Lui, ma era Lui che faceva degli sforzi per raggiungerci, era Dio che aveva fatto il primo passo. Così , come il mio amico Jean, divenni amico di Gesù. Avevo sedici anni e molto in fretta divenni capo del movimento e a diciotto dirigente per tutta le regione; passavo tutte le mie sere con i ragazzi andando a trovare in bicicletta gli altri gruppi disseminati nel paese.
Una sera, discutendo animatamente con un prete il quale considerava il mio fare ed agire una perdita di tempo, esclamai che era necessario che i giovani agissero e si impegnassero. Il prete mi apostrofò bruscamente dicendo: “perché non ti fai prete allora”. Scoppiai a ridere “Prete io?!” “Perché no? ” esclamò lui, ed io “perché… perché…”. Non seppi rispondere e tornando a casa ad ogni giro di pedale mi chiedevo “perché no, perché no,…”. Arrivato a casa mi inginocchiai e pensai “se Tu vuoi, voglio anch’io”. Tutto fu regolato in quel modo, ma bisognava che lo dicessi a casa e sul lavoro, avevo paura che ridessero di me.
Mia madre fu contenta e stasera grazie anche al suo consenso sono qui. Ho incontrato Dio attraverso gli altri, l’ho incontrato nella vita. Tornando in seminario il superiore mi disse “il Signore è nel silenzio e nel deserto, solo lì lo si può incontrare”. Pensai che avesse torto e che per il momento avrei fatto ugualmente tutto ciò che mi ordinava, tuttavia non avrei perso l’occasione di dire a lui e agli uomini che Dio si può incontrare ovunque, ma luogo privilegiato di questo di quanto incontro, che lo stesso Dio ci aveva dato, era la nostra stessa vita. Avevo scoperto un’altra cosa più profonda e straordinaria della vita: l’amore. Se si è capaci di sacrificare la propria vita per un amore, allora esiste qualcosa di veramente profondo nel cuore dell’uomo, un’energia più grande, ed è l’energia dell’amore. Ma da dove viene questo amore che passa nel cuore degli uomini qualunque essi siano? Lavoravo ancora quando ho scoperto la risposta e l’ho scoperta con Jean mentre leggevamo la prima lettera di S. Giovanni. Qui si dice: “Dio è amore; ciò vuol dire che Dio non è colui che ama più di tutti gli altri, ma che il suo stesso essere è amore, che non c’è niente al di fuori della trinità che non sia amore. Gesù Cristo era l’amore infinito sceso in corpo d’uomo, in Parola d’uomo, in cuore d’uomo. L’amore aveva preso vita in Gesù, lo si poteva vedere e toccare, ma questo Gesù che si poteva vedere e toccare era morto. Io ero convinto che fosse vivo, ma come lo si poteva incontrare?
Scoprii che Lui aveva molti modi per essere presente, ma non bastava, dovevo scoprirlo col mio cuore, con tutta la mia vita perché la conoscenza dell’intelligenza non è tutta la conoscenza. E’ stato più tardi, quando ero già prete. Avevo scritto molti libri e mi si chiedeva di andare a parlare per il mondo, tutte le volte che partivo salutavo mia madre e lei mi diceva: “Quali sono le città in cui parlerai? Dammi l’elenco e le date perché il mio ragazzino sarà sempre con me ed ogni bimbo sarà sempre il bimbo della sua mamma”. A quelle parole mi resi conto che erano le stesse frasi pronunciate da Gesù prima di morire: “Sarò con voi fino alla fine del mondo”. L’ultima volta doveva essere per la partenza in Giappone e mentre parlavo, pensavo a Tokio che mia madre era vicina non con una presenza fisica, ma con una presenza d’amore molto più profonda; fu la prima cosa che mi fece capire la presenza di Dio. Un secondo avvenimento mi convinse ancora di più della natura spirituale della vicinanza di Dio. Dopo la guerra avevo incontrato una coppia d’amici che stavano per divorziare e chiesi loro la soddisfazione di venirmi a trovare ancora una volta “insieme”. Vennero a trovarmi insieme ma ciò che doveva accadere purtroppo non avvenne. Si misero subito a litigare, si rimproveravano l’un l’altro ed era una cosa atroce vederli, finché la donna stringendo il braccio del marito disse: “Eravamo molto più uniti tre o quattro anni fa quando tu eri prigioniero in Polonia. La sera, ripensando a quelle parole, ritenni che aveva ragione, avevano un bell’essere vicini quella sera di toccarsi, stringersi, ma erano lontanissimi, una distanza enorme li divideva perché non esisteva più l’amore tra loro. Ho capito che Gesù è sempre con noi, con una presenza d’amore ci accompagna in tutti i nostri viaggi, quando si va a lavorare, o quando ci si reca nelle varie scuole, collegi, licei, quando torniamo a casa. Tutto ciò che ho imparato di Gesù l’ho imparato nella vita, l’ho trovato nella vita. Ho studiato moltissimo, anche a Parigi per erudirmi ancora di più, ma le cose veramente più importanti le ho sempre apprese dal grande libro della vita e dal Vangelo. Nel Vangelo ho conosciuto Gesù di Nazareth, ho cercato di conoscerlo in profondità, di capire la sua mentalità, il suo modo di agire per poi riconoscerlo nel mondo.
Nonostante ciò ho scoperto che Lui ci aveva dato degli indirizzi precisi in cui siamo sicuri di trovarlo.
Questi indirizzi sono quattro.
Il primo indirizzo è la “comunità”: “Quando due o tre si riuniranno nel mio nome io sarò li”. Allora o si crede in Gesù o non ci si crede, se si ha fiducia in Lui, si ha fiducia nella sua parola. Ora che siamo qui riuniti in più di due o tre, Lui è qui ed io sono felice di prestare a Lui le mie parole. Lui ha bisogno delle nostre parole e soprattutto dei nostri gesti, delle nostre azioni. “Due o tre persone”, quando ci siamo autenticamente Lui è lì e quando si ha la fortuna di riconoscere questa presenza in mezzo a noi dobbiamo avere il coraggio di dirlo, di celebrarlo nella comunità dei fedeli perché anche se sappiamo che è già presente nel nostro cuore, dobbiamo dirlo a tutti, dobbiamo impegnarci davanti a tutti e chiedere anche a Lui se vuole impegnarsi con noi. Se ci si presenta a Lui liberamente e sinceramente, Lui sicuramente risponde di sì, ma dice sì per sempre e non si rimangia più la sua parola. Due o tre persone sono anche il piccolo gruppo di cristiani che si riunisce e anche se non si pensa di andare ad un incontro con Lui tuttavia Egli è là ad attenderci. Lui c’è sempre dalla più piccola comunità alla più grande chiesa.
Il secondo indirizzo è “il cuore di ama i propri fratelli”. Quando Gesù ha dato il comandamento dell’amore ha detto: “Se voi osservate i miei comandamenti mio padre vi amerà, io vi amerò e verremo in mezzo a voi per mostrarvi la vostra strada”. Se cerchiamo di amare autenticamente i nostri fratelli, allora Dio viene in noi. Tutto ciò l’ho scoperto all’inizio , quando andavo ancora a lavorare. Mi dicevo: “Se cerco di amare i miei compagni di lavoro non solo Dio è vicino a me, ma è dentro di me ed è l’unica vera testimonianza permettere a Dio di entrare in noi ed è anche molto chiara, visibile, perché Lui per entrare in noi si fa un po’ più sensibile, quasi toccabile”.
Il terzo indirizzo è rappresentato dai segni e dai gesti che Lui ha lasciato; nella Chiesa questi gesti si chiamano “sacramenti”. Anche noi abbiamo inventato dei gesti per trasmetterci un sentimento, uno stato d’animo, ma spesso non mettiamo tutti noi stessi in essi.
Abbiamo inventato il bacio; il bacio degli innamorati é qualcosa di davvero meraviglioso. Tutte le volte che parto per un viaggio, arrivo all’aeroporto o alla stazione molto presto e invece di prendere un libro e leggere durante l’attesa mi guardo intorno, ci sono sempre degli innamorati che si stanno per lasciare, li guardo, qualche volta li invidio anche, ma è meraviglioso quello che succede. Vorrebbero dirsi tante cose, ma non escono dalle loro labbra se non pochissime parole, vorrebbero che ci fosse tanto tempo e nello stesso tempo che tutto questo finisse il più presto possibile. Quando viene dato il segnale che il terno sta per partire si precipitano nelle braccia l’uno dell’altro, come solo gli innamorati sanno fare, e quell’abbraccio significa “io sono con te ovunque tu vada, vai pure caro io vengo con te”.
Gesù ha trovato il modo di stare con noi attraverso un gesto molto semplice: la spartizione del pane e del vino: “Quando farete questo insieme in comunità, nella Chiesa io sarò là. Ci sarò con tutta la mia vita, con tutto il mio amore e se voi vorrete partecipare di tutta la mia vita, di tutto il mio amore venite a me sinceramente e apertamente”. Così come noi mettiamo volentieri tutti noi stessi nei nostri baci, così Lui si mette interamente nei gesti che ci ha lasciato.
L’ultimo indirizzo è il “cuore dei più poveri”, dei piccoli. Il Vangelo dell’ultimo giudizio, del giudizio universale dice: “Un giorno il Signore ci dirà: ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e non mi hai dato da bere, ero straniero e non mi hai accolto, nudo e non mi ha vestito, malato e non mi hai visitato, prigioniero e non sei venuto a incontrarmi, ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, nudo e mi hai vestito, ecc.”. Ogni volta che qualcuno sarà condannato dirà: “Ma quando mai Gesù ti abbiamo visto assetato e affamato?”, per questo bisogna capire che Gesù è l’altro, il piccolo; ciò significa che noi saremo giudicati in base al nostro comportamento nei confronti degli altri e soprattutto dei meschini. Si potrebbe dire che qui a Brescia si sta tranquilli perché non si vede gente morire di fame per la strada, mentre a Calcutta Madre Teresa è fortunata: lei si che incontra Gesù ad ogni passo, lei stessa lo dichiara: “Io incontro Gesù Cristo e lo raccolgo perché muore fra le mie braccia”.
Però bisogna leggere il Vangelo con i nostri occhi d’oggi: aver fame significa aver fame di pane e c’è tanta gente che ancora oggi nel mondo muore di fame.
Un cristiano non deve e non può accettare una tale situazione perché è Gesù che soffre e muore. Noi non eravamo là quando moriva sulla croce, ma oggi siamo ai piedi della croce dell’uomo che soffre e se stiamo a guardare senza far nulla siamo responsabili. Dio è venuto da noi e ha talmente amato gli uomini da identificarsi con loro, così tutte le volte che si fa qualcosa agli altri è a Lui che lo si fa, tutte le volte che si vede soffrire e morire è Lui che soffre e muore. Non basta pregare “O Signore, vorrei che il mondo fosse nella pace”, se noi preghiamo così senza fare qualcosa siamo dei bugiardi. Ecco che allora ci sono uomini che hanno fame di pane, ma ci sono altre “fami” intorno a noi: ci sono persone che hanno fame di amicizia, isolate, sole nelle case vicine e nelle nostre stesse classi, ragazzi che si rifugiano in un angolo perché nessuno li ha mai invitati. Tutti questi hanno fame a loro modo, e un giorno il Signore ci dirà: Avevo fame, ma tu non mi hai dato la tua amicizia”. Anche essere prigioniero può avere mille significati, certo i carcerati avrebbero piacere che qualcuno li venisse a trovare, ma essere prigioniero può anche riferirsi a un uomo che per tutta la vita è costretto a fare un lavoro che non ha scelto. Essere prigioniero può voler semplicemente dire “essere timidi”, non osar parlare (nel gruppo) , non avere coraggio, stare nel proprio angolo avere il desiderio di dire tante cose, ma non riuscirci, e non aver nessuno che viene ad aiutarti per uscire da se stessi. Così un giorno il Signore potrà dire: “Ero timido e tu non mi hai aiutato”. Nel Vangelo Gesù si è identificato solo due volte, una volta nel pane e nel vino, ed una seconda volta nei poveri e negli oppressi, in tutti e due i casi, anche se apparentemente diversi, la presenza di Dio è autentica. Questi quattro indirizzi si completano l’un l’altro e non si debbono dimenticare perché indicano come realmente si poteva trovare Gesù Cristo nella vita di tutti i giorni.
Che cosa significa voler bene ad una persona?
Amore è tutto nella vita. Siamo fatti dall’amore, per amore, per amare e saremo felici se seguiremo la qualità del nostro amore sulla terra. Il cielo non è certo passeggiare sulle nuvole con un paio di ali d’angelo, il cielo è amore come si ama nella Trinità, cioè in maniera infinità; è per questo che tutti desideriamo amare e per questo la più grande idea dei ragazzi è arrivare ad amare. La vocazione di tutti gli uomini è l’amore, non si può vivere senza di lui, i bambini hanno più bisogno di amore che di pane. Per spiegare cosa vuol dire amare, bisogna partire col dire cosa non significa.
Innanzitutto amare non significa sentire qualcosa, avere dei sentimenti nel proprio cuore se fosse solo questo sarebbe impossibile amare i nostri nemici come Dio ci ha chiesto. Quando si incontra il ragazzo o la ragazza della propria vita qualcosa bussa nel cuore e non ci si sposerà mai con qualcuno che non attira poi tanto.
In secondo luogo amare non vuol dire prendere per sé. Quando si ama la marmellata la si prende e la si mangia, ma questo non è amare la marmellata, ma se stessi. Mi amo a tal punto che mi regalo la marmellata, mi amo a tal punto che mi offro una sigaretta; se avessi amato davvero la marmellata o la sigaretta non le avrei sciupate, ma le avrei lasciate stare. Ebbene c’è qualche ragazzo che ama le donne come si ama la marmellata e viceversa. Prendono il loro corpo, il loro cuore, il loro spirito: “Mi amo a tal punto che prendo una ragazza o un ragazzo per me”. Amore è proprio il contrario ed è “DONARE, NON PRENDERE”.
Nel caso di una coppia vuol dire donare tutto il proprio corpo, il proprio cuore, il proprio spirito all’altro e nel caso del matrimonio anche l’altro è d’accordo nel donare tutto se stesso a sua volta.
Amore significa essere capaci di dare tutto e di ricevere tutto.
Impegnarsi nell’amore significa arricchirsi per arricchire l’altro, cercare di diventare pienamente se stessi, prendere tutta la propria vita fisica e spirituale nelle mani senza lasciarla scappare in tutti i sensi, senza lasciarla disperdere, ma al contrario diventare ricchi di tutti i propri sforzi, di tutta la propria vitalità e svilupparla al massimo questa vita per poter un giorno dire a un ragazzo o ad una ragazza -“Ti do tutto”. Ci saranno alcune persone che diranno “Ti do tutto”. ma non ci sarà un granché nel palmo della mano e si scuseranno “abbi pazienza, ma c’è un sacco di vita che se n’è andata a destra e a sinistra, quello che ti offro non è una novità, è già servito”.
Sarebbe tanto bello poter dire a una ragazza o ad un ragazzo “Ti do tutto” e che questo sia proprio vero e tutto per sempre; se si dice ti do tutto per due anni questo non è amore, è una condizione, amare, ma non completamente. L’uomo invece deve essere capace di rischiare la propria vita per un altro e sta qui la grandezza dell’uomo nell’amore, ma deve essere un rischio ragionevole, riflettendo a lungo, aver fiducia nell’altro e dargli tutto se l’altro fa lo stesso.
Quindi è possibile provare ad amare per arricchirsi l’un l’altro. Si può soprattutto imparare ad amare cercando di dare piuttosto che di prendere. Se si è stati abituati ad avere sempre, a non dare mai certo non si può cambiare in due giorni, ma chi è stato abituato a dare soprattutto sarà in grado di amare veramente.
Un altro modo per imparare ad amare e aprirsi a colui che è l’amore; questo l’ho imparato quando ero ancora molto giovane. Volevo amare e in quel momento volevo amare una donna, volevo che questo amore fosse qualcosa di serio e mi chiedevo come avrei potuto amare intensamente, così un giorno mi son detto che avrei potuto raggiungere l’amore vero solo se mi fossi aperto all’amore, solo se l’avessi lasciato penetrare nel mio cuore permettendogli di ingrandire e accrescere il mio sentimento fino all’infinito, perché il mio amore fosse un po’ dell’amore di Dio. Più ci si apre a Dio che è l’amore venuto nel cuore del mondo, più si è capaci di amare.
Il frutto più bello che l’amore regala sono i bambini.
E’ meraviglioso, in quell’attimo si e più vicini a Dio. Si è creatori con Lui e se non si vuole, Dio non può far nulla, Lui passa attraverso la libertà dell’uomo, siamo noi che decidiamo della nostra vita. Un bambino è il padre e la madre uniti insieme, non si può dividere in noi ciò che è il padre e ciò che è la madre, siamo entrambi in uno solo. Allora il padre e la madre sono uniti in uno lassù in alto, se la madre e il padre si separano ecco che lassù il bambino viene lacerato, strappato. Si può inventare tutto il possibile e l’immaginabile, non si potrà mai fare del bambino qualcosa che non sia padre e madre uniti, e dopo una separazione il bimbo soffrirà inevitabilmente.
A tutti coloro che hanno il padre e la madre divisi, io dico: “Soffrite certo, ma voi potete salvare papà e mamma, voi siete papà e mamma uniti e se voi riuscirete nella vita i farete riuscire la vita di padre e di madre, e quando vi presenterete al Padre del cielo potrete dire: “Vedi Signore, mio padre e mia madre hanno fallito, ma io, il frutto della loro unione ho realizzato la loro vita”. Allora sarete voi che avrete dato la vita ai vostri genitori.

Testo, non rivisto dell’Autore, dell’incontro tenuto il 20.5.1993 a Brescia su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.