Il cammino comune del popolo di Dio

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La prossima Settimana per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) sarà l’ultima del Ventesimo secolo e del Secondo millennio. Tale circostanza autorizza un rapido sguardo retrospettivo.
Il millennio che sta per finire ha visto aprirsi le grandi, durevoli scissioni del mondo cristiano: quella del 1054 fra Costantinopoli e Roma; quella del 1520 con la scomunica di M. Lutero da parte di Leone X; quella del 1534, con l’atto di supremazia che diede origine alla Chiesa anglicana di Enrico VIII. I motivi, teologici e storici, di tali dolorose scissioni sono molto complessi e sono stati già più volte analizzati.
Ci limitiamo qui al curioso giudizio che su M. Lutero ebbe a esprimere F. Nietzsche nel suo Anticristo. M. Lutero, dice il filosofo del superuomo, non capì nulla di quanto stava avvenendo e così, da buon tedesco, rovinò tutto. Il paganesimo stava rientrando da vincitore all’interno della Chiesa che l’aveva indebitamente umiliato. Con la sua veemente protesta, M. Lutero interruppe questo straordinario processo storico e indusse la Chiesa a riformarsi…
Le grandi spaccature del secondo millennio rimangono ancora aperte. Tuttavia, nel secolo che sta per finire, si è andata affermando, in seno al mondo cristiano, una controtendenza verso la ricomposizione delle parti. Si tratta del movimento ecumenico.
L’origine di tale movimento viene generalmente assegnata a una conferenza missionaria tenuta ad Edimburgo, nell’ambito delle Chiese protestanti. Il rappresentante di una Chiesa orientale alzò un grido di allarme: le divisioni fra cristiani ostacolavano gravemente l’annuncio evangelico. Fu la scintilla di un movimento di revisione, che arrivò, nel 1948, alla nascita del Cec (Consiglio ecumenico delle Chiese). Il Cec, che ha la sua sede a Ginevra, si autodefinisce un’ “associazione fraterna di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore, secondo le Scritture, e si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria del solo Dio, Padre Figlio e Spirito Santo” (Nuova Delhi 1961). Dopo Amsterdam (dove ricevette la forte impronta del teologo riformato K. Barth) il Cec continuò a riunirsi in assemblee generali in varie parti del mondo: Evanston (1954); Nuova Delhi (1961); Upssala (1968); Nairobi (1975); Vancouver (1983); Canberra (1991); Harrare (1998), sempre su precise tematiche teologiche riferite all’attualità.
Fanno oggi parte del Cec 339 Chiese fra riformate, luterane, anglicane e ortodosse. Svolgono un dialogo ecumenico fra di loro e con la Chiesa cattolica romana, la quale, pur non partecipando direttamente, manda propri osservatori e prende parte attiva a varie commissioni di studio, fra le quali quella denominata “Fede e costituzione”.
Quest’ultima commissione, con la partecipazione del compianto teologo Max Thurian di Taizé, è arrivata a produrre il documento di Lima (1982) denominato BEM (Battesimo Eucarestia Ministeri), un documento di grande rilevanza ecumenica, offerto all’esame delle varie Chiese.
A questo punto dobbiamo chiederci come si sia mossa la Chiesa cattolica in questo campo così decisivo per l’evangelizzazione. Inizialmente, dobbiamo dirlo, con una certa diffidenza.
C’erano bensì stati lungimiranti teologi che avevano fatto da apripista, quale il validissimo Yves Congar (Chrétiens désunis 1937), ma il clima generale restava quello determinato dall’enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), diretta contro il “pancristianesimo”, e per la quale la riunificazione non poteva avvenire che mediante il ritorno di chi dalla Chiesa si era comunque allontanato.
La grande svolta avvenne col Concilio Vaticano II (1962-65), il concilio “inventato” da Papa Giovanni XXIII come valida occasione per risolvere il problema ecumenico. Al problema ecumenico, infatti, il Concilio dedicò un’attenzione convinta e coerente anche dopo la pia morte del Papa buono. Guidato da un pontefice, Paolo VI, che ne era intimamente persuaso, il Concilio si espresse in merito col Decreto Unitatis reintegratio e con la Costituzione Dei Verbum, a sottolineare l’assoluto primato della Parola di Dio sulla stessa Chiesa.
Ma fu l’intero discorso conciliare a tenere fede all’ispirazione originale, accompagnato in questo dalla convinta partecipazione personale di Paolo VI. Ricordiamo qui il suo storico abbraccio con Atenagora I, patriarca di Costantinopoli, nel ’64 a Gerusalemme, gesto seguito, l’anno dopo, dalla levata delle reciproche scomuniche; la visita a Ginevra (1969); l’improvviso suo chinarsi nel bacio del piede di un delegato di Demetrio I nella Cappella Sistina (1975) e, soprattutto, il suo insegnamento costante, la cordialissima accoglienza sempre riservata agli esponenti del cristianesimo acattolico. Sì, l’ecumenismo faceva parte dell’interiorità più autentica del Papa bresciano.
Il movimento ecumenico ha portato i cristiani a risultati insperati. Ha creato fra di loro un clima nuovo, di comprensione e di dialogo; ha suscitato in tutti l’umiltà necessaria a farli convergere verso l’unico Signore Gesù Cristo. “Non siamo più separati, non siamo ancora uniti, siamo insieme” (P. Ricca). Con gioia e riconoscenza a Dio, si è scoperto che non è venuta meno una forte base comune di fede, il solo battesimo, l’unica parola di Dio, i primi concili ecumenici, la vocazione a operare insieme nei vari campi della solidarietà umana. La Bibbia è stata tradotta a livello interconfessionale e in questa veste è molto usata negli incontri comuni di riflessione e preghiera. La promessa di Gesù di essere presente fra coloro che si riuniscono nel suo nome (cfr. Matteo 18,20) va conducendo le Chiese a un reciproco, gioioso riconoscimento del significato cristiano delle loro assemblee liturgiche e di culto, centrate sulla Pasqua.
Innegabilmente, però, l’ecumenismo, in questi ultimissimi anni, sembra aver perso un po’ della sua vivacità; gli si sono sovrapposti dei problemi, marginali ma fastidiosi. Si avverte il bisogno di una ripresa. L’ecumenismo è un movimento, un cammino che ha bisogno di tanti passi, magari piccoli, ma continui e coerenti. Le dichiarazioni di principio devono essere suffragate da fatti concreti, alcuni dei quali sono oggi sicuramente possibili.
E’ in questo contesto che si apre l’ultima Settimana ecumenica del millennio. Il tema è stato scelto dall’Apocalisse e invita a guardare avanti, verso il futuro regno escatologico, verso la “comunione dei santi”: “Essi saranno il suo popolo ed Egli sarà Dio con loro” (Ap. 21,1). I cristiani sono chiamati ad anticipare al massimo, nel presente, ciò che vedono nel futuro e quindi a lavorare per una sempre più ampia comunione fra di loro, una comunione in Cristo che li renda sempre più aperti anche al dialogo interreligioso.
L’ecumenismo è un’utopia, e cioè una speranza forte di cui non possiamo fare a meno, perché questo costituirebbe un gravissimo danno per l’intera famiglia umana e il suo futuro.

Giornale di Brescia, 17.1.1999.