Il coraggio di essere Chiesa in Cecoslovacchia

Autori: Motal Josef

JOSEF MOTAL [1]

Vorrei iniziare la mia testimonianza parlando della Polonia, la cui Chiesa è il punto di riferimento dei cattolici dell’Europa centro-orientale. Ma la stessa realtà del cattolicesimo polacco non si capisce se non all’interno della storia comune dell’espansione del cristianesimo nei Paesi slavi. Nel 1983 sono passati mille anni da quando un grande santo di origine ceca, sant’Adalberto, è stato consacrato vescovo a Verona. Ritornato a Praga Adalberto diventa il primo vescovo della città, ma desideroso di svolgere il ministero episcopale anche presso nuove popolazioni, chiede al Papa di poter andare a fare il missionario in Polonia, dove converte con la sua amabile parola molte persone, predicando in lingua slava. In questo Adalberto ha fatto proprio l’insegnamento dei santi Cirillo e Metodio, copatroni d’Europa, che prima di partire per la Moravia, hanno voluto imparare la lingua slava e per prima cosa tradussero della Sacra Scrittura il Vangelo di San Giovanni. Oggi, a Mosca, in Ucraina, in Polonia, dovunque si insegna filologia slava, il professore deve dire che la letteratura slava comincia dal Vangelo di San Giovanni, il primo libro scritto in slavo. Sant’Adalberto va dunque in Polonia e fino ai confini della Lituania, dei Paesi baltici, cioè verso quei territori dove allora risiedevano i prussiani, un popolo baltico da non confondere con i prussiani tedeschi. E in quelle zone il grande annunciatore della fede è stato ucciso e ha subito il martirio. Era la prima volta che la parola di Dio arrivava a nord senza violenza, senza armi, e in questo senso sant’Adalberto si è presentato come vero vescovo missionario.
Ora però dobbiamo dire che non tutte le Chiese possono far sentire la loro voce come quella polacca, che è una Chiesa fortemente unita. Accanto a questa Chiesa ci sono comunità ecclesiali letteralmente calpestate. Uno dei giovani addestrati dalla polizia a scovare i cristiani ha riferito che anche prima di questo Natale, nel mio stesso Paese natio, la Moravia, alcuni giovani, riuniti in una casa privata per celebrare con la preghiera e il canto il mistero di Natale, sono stati sorpresi dalla polizia, portati in prigione, processati e condannati. Sono miei amici e vi potrei dire nome e cognome delle singole persone arrestate e il nome del luogo dove ciò è avvenuto quest’anno. Voi avete mai sentito parlare di queste cose? Eppure avvengono oggi a pochi chilometri da noi. La televisione ne parla poche volte e la stampa applica un silenzio pressoché totale.
Il giovane di cui vi ho parlato perseguitava i cristiani, esattamente così come faceva Saulo, che poi è diventato Paolo, quando si recava a Damasco. Lo stesso avviene oggi. La differenza grande però, fratelli e sorelle, è questa: mentre i cristiani delle origini non dimenticavano i loro fratelli testimoni, che allora chiamavano martiri, e per secoli i nomi di santa Cecilia, santa Perpetua, santa Felicita, san Paolo e san Pietro e così via si sono tramandati con profonda venerazione, noi dimentichiamo i nostri martiri di oggi. Credete che siamo a posto con la nostra coscienza e in sintonia con la Chiesa delle origini? E se non ci confrontiamo con quella Chiesa, rischiamo di non essere la vera Chiesa, quella che ha fondato il Signore, e che è stata costruita sul fondamento dei primi martiri. Provate a pensare che cosa sarebbe la Chiesa, qui in Italia, se noi volessimo cancellare improvvisamente tutti i martiri che hanno testimoniato la fede alle origini. Saremmo qui a pregare? Ho paura, fratelli e sorelle, di no.
Questo giovane, quando andava a catturare i suoi nemici, i cristiani credenti, vedeva sempre nell’assemblea una giovane di 18 anni. Kurnakov, questo era il suo nome, non scherzava: picchiava duro, i cristiani si rotolavano per terra dal dolore, e questa giovane che lui non osava toccare era lì pronta a lenire il dolore, le sofferenze e le ferite riportate. Ad un certo punto Kurnakov entra in crisi e pensa: “Perché non scappa quella ragazza? Non è una alienata nella religione perché appena può aiuta, si piega, si china, soccorre. Non è una fanatica, eppure non ha paura”. Lascia la polizia, si arruola in marina, e, quando la sua nave costeggia il Canada, si getta in mare per raggiungere la costa.
Quasi rimane morto e, quando lo ripescano, non appena può aprire la bocca, ancora ignaro del suo grande precursore dice: “Fratelli, non sono degno di parlarvi, perché io ho devastato la Chiesa”. Le parole “ho devastato la Chiesa” sono di san Paolo e Kurnakov, che non conosceva la Sacra Scrittura, sentiva il bisogno di dirle istintivamente. Kurnakov, quando ha cominciato a parlare ai cristiani, chiedeva sempre scusa e ha voluto scrivere e documentare tutto quello che ha visto e commesso, facendo una grande confessione della propria crudeltà, in un quaderno intitolato Perdonami Natascia (Natascia era la giovane che, impietrita dal dolore, non scappava di fronte alla sua violenza). La fine di Kurnakov è stata veramente incredibile: è stato assassinato qui in Occidente con un colpo di pistola sparato da ignoti.
Quando ho lasciato il mio Paese natio, esso era ancora abbastanza libero e quando poi ho chiesto di ritornare per vivere da sacerdote non me l’hanno permesso. E vi assicuro che tutte le volte che celebro la messa, ricordo con grande commozione tutti i sacerdoti miei confratelli che la messa non la possono dire, e penso a tante chiese dove il sacerdote è stato portato via, a padre Bàrta[2], un francescano che nell’anno tremendo del 1949 per coincidenza provvidenziale si è trovato fuori convento e perciò si è salvato dalla deportazione. Come vorrei farvi vedere qualche diapositiva per mostrarvi i luoghi dove hanno deportato tutti i religiosi e le religiose del mio Paese natio! Quando penso a tutti questi sacerdoti, mi sembra una grazia sempre nuova poter celebrare la messa e poter commentare il Vangelo.
Amici di Brescia, soprattutto voi giovani, dove la Chiesa è perseguitata, Gesù è amato veramente con il sangue, con la vita, non con le parole. Vi prego di non crederlo esagerato.
Che cosa ci chiedono i nostri fratelli che sono minacciati o che vivono l’esperienza della persecuzione? Quando è venuto a trovarmi un giovane studente di architettura di Praga, gli ho chiesto: “Che cosa vorresti che noi cristiani dell’Occidente facessimo per te?”. Mi ha risposto: “La cosa più importante è che i cristiani dell’Occidente, che hanno ricevuto con una generosità inaudita tanti doni, siano cristiani fino in fondo, perché se i cristiani dell’Occidente saranno così, allora i nostri persecutori staranno ben attenti. Ma se i cristiani ci dimenticano, i persecutori prendono forza e sopravvento”. Le stesse convinzioni sono state espresse dal card. Stefan Wyszynski nelle famose lettere scritte dalla prigione.
Padre Bàrta, quando è stato arrestato, non faceva che raccogliere i giovani e prepararli clandestinamente a diventare francescani. Molti di questi sono diventati sacerdoti, vivono in appartamenti privati, vanno a lavorare e fanno opere meravigliose. Vorrei parlarvene per ore e ore e non la finirei più, tanto mi sembra bella la Chiesa che vive in queste situazioni. I giovani in Cecoslovacchia, ve lo assicuro, dicono chiaramente: “Se Cesare ci chiede ciò che è suo, lo diamo”. E infatti molti di questi giovani, diventati sacerdoti e religiosi, lavorano in modo esemplare. Ma quando Cesare chiede loro ciò che è di Dio, allora hanno il coraggio di rispondere di no.
Termino il mio intervento raccontando un avvenimento della vita di padre Bàrta. Sentendosi solo, in una cella orribile, padre Bàrta espresse il desiderio di avere qualcuno come compagno. Gli affiancarono un delinquente comune, un criminale che si era macchiato di un delitto orrendo. Padre Bàrta quando vide arrivare l’uomo che gli era stato inviato per rendere più dura la sua condizione, prima spaventato indietreggiò, poi gli si fece avanti, lo abbracciò, lo strinse e gli disse: “Fratello, io e te siamo peccatori però la misericordia di nostro Signore è più grande dei nostri peccati”. Questo giovane prima si divincolò, poi si rilassò. Padre Bàrta è morto confessando, comunicando il dono della misericordia del Signore. E quel giovane sconta ancora la sua pena, ma con animo radicalmente mutato.
Fratelli, questi sono dei grandi testimoni! In nome di tutti questi miei amici, della mia gente, vi chiedo: non dimenticateci.

Note:

[1] JOSEF MOTAL è nato l’1 marzo 1925 a Skastice nella regione moravoslesiana in Cecoslovacchia. Inviato a Roma presso l’Università Lateranense, gli fu impedito di tornare in Cecoslovacchia dopo il 1948. Ordinato sacerdote nel 1950, ha ricoperto importanti incarichi nell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”.

[2] Nato nel 1921, Jàn Bàrta, padre francescano, era stato condannato nel 1952, durante uno dei famigerati processi dell’epoca staliniana, a vent’anni di lavori forzati per spionaggio e alto tradimento. Nel 1968, dopo aver trascorso 16 anni nelle carceri insieme ad altri numerosi esponenti della vita religiosa e culturale del Paese caduti sotto le condanne dei tribunali di regime, venne riabilitato a motivo della provata falsità delle accuse per cui era stato condannato. Si dedicò da quel momento con tutte le sue energie alla rigenerazione della vita religiosa, partecipando attivamente alla costituzione del DKO (Opera del rinnovamento conciliare) e in particolare alla restituzione dei diritti civili agli ordini e istituti religiosi, banditi e resi illegali in Cecoslovacchia dagli anni 50. Dopo la fine della “Primavera di Praga”, la sua attività a favore della vita religiosa divenne sempre più invisa al regime “normalizzato” di Husak, che lo colpì nuovamente, togliendogli prima il permesso statale per lo svolgimento dell’attività pastorale e poi, nell’aprile 1982, condannandolo a 18 mesi di reclusione senza la condizionale con questa motivazione: “dal gennaio 1977 al 18 novembre 1980 celebrò la messa e altri riti religiosi alla presenza di altre persone e dal 1971 organizzò e diresse, nel contesto di un convento francescano illegale, corsi di teologia che nel periodo 1977-1980 furono frequentati da almeno nove persone”. Un infarto lo ha colpito il 9 dicembre 1982. La polizia ha impedito che gli amici partecipassero ai suoi funerali a Liberec.

NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 13.1.1984 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.