Il diritto del cittadino nella scelta della scuola

Ogni diritto nasce dal fatto che gli corrisponde un dovere. Quando si parla di diritto del cittadino nella scelta della scuola si fa riferimento ad un dovere, ma di chi? Si parla del cittadino: il cittadino ha il dovere di crescere nella sua personalità, e per crescere ha anche bisogno della scuola; quindi il cittadino ha diritto a scegliersi la scuola perché ha il dovere di crescere. Evidentemente non penso che un bimbo di sei anni, ma neppure uno di dodici, possa capire la pregnanza di questo diritto del cittadino, ma ci sono coloro che hanno doveri precisi in ordine ai loro figlioli.

Vorrei sottolineare anzitutto qualche articolo della Costituzione, perché dovrebbe essere un testo che norma la nostra vita, prima ancora di quella di coloro che hanno la responsabilità di guidare il Paese (ma pare che tutti l’abbiano dimenticata in un cassetto). L’articolo secondo è l’articolo fondamentale della nostra Costituzione, quello che ne imposta, per così dire, tutta la struttura: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Allora se io parlo del diritto del cittadino nella scelta della scuola e posso dire (lo vedremo) che tale diritto è un diritto inviolabile, devo immediatamente dire che la Repubblica lo deve riconoscere ed è impegnata a garantirlo. E’ scritto! O queste sono parole sono da buttare via, o questa è la norma per i cittadini, ma anche per i governanti. L’articolo prosegue dicendo:  ” … sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e richiede “… l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”: ri­conosce e garantisce i diritti, ma richiede l’adempimento dei doveri.

E se il diritto, come dicevamo, è un diritto che ha come fondamento il dovere di crescere del cittadino nella sua personalità come è detto nell’articolo, il ché non si realizza senza una scuola, allora evidentemente fondamento di questo diritto è che egli adempia a questo dovere, che è un dovere sociale. Se poi questo diritto non lo rivolgo più al cittadino maturo, allora entra in gioco il diritto dei genitori alla scelta della scuola, fondato sul dovere sociale di provvedere all’educazione e all’istruzione dei propri figlioli.

C’è una precisa consonanza tra l’articolo due e gli articoli nel Titolo secondo, che riguardano i rapporti etico‑sociali. L’articolo 30 recita: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. Questo dovere‑diritto dei genitori ad istruire ed educare i figli evidentemente si concretizza nel diritto alla scelta della scuola.

Un genitore che intenda esattamente il suo servizio di autorità per la crescita dei figli ha il “dovere” di pensare a trovare la scuola che va bene per i figli. A questo dovere corrisponde però il diritto di poter scegliere liberamente la scuola. Recita infatti l’articolo 31 (sarebbe bene che la Costituzione venisse veramente letta, commentata, imparata, per darci forza di esigere il rispetto da parte di coloro che ci governano e che non hanno il diritto di governarci per strade diverse da quelle che noi ab­biamo voluto, “noi” dico come volontà popolare quale si è espressa nella Costituente): “…la Repubblica agevola l’adempimento dei compiti relativi alla vita della famiglia” e “… protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Favorire gli istituti necessari a tale scopo non vuol dire obbligare tutti a fare quello che lo Stato vuole, ma vuol dire: favori­re gli istituti che permettano a ciascuno di trovarsi la via migliore per adempiere al proprio dovere‑diritto di crescere come cittadino, ed ai genitori per adempiere al pro­prio dovere‑diritto di provvedere alla istruzione ed educazione dei figli. Mi pare dunque che ci sia tutta una connessione, per chi la sappia trovare e leggere, nella Costituzione, tra quelli che sono i doveri e i diritti, sia nei riguardi dei cittadino sia nei riguardi dei genitori, che provvedono al bene del cittadino finché da sé non può provvedere.

Sotto queste realtà che noi presentiamo un poco astrattamente, sotto queste voci di dovere e di diritto, ci stanno dei problemi molto concreti. Ci sta il problema della scuola cattolica: di una scuola la quale è un servizio, è un servizio pubblico, ma che di fatto non ha questo riconoscimento. Questo crea una situazione di discriminazione tra chi può permettersi il diritto di scelta e chi no, la cui responsabilità non ricade sulle spalle di coloro che fondano e gestiscono scuole cattoliche, ma ricade su chi non riconosce alla scuola cattolica quello che è il suo diritto come servizio pubblico, in uno Stato il quale voglia essere autenticamente democratico e non averne solamente l’aggettivo qualificante senza averne la sostanza.

Le premesse che abbiamo espresso partendo dalla Co­stituzione, possono ora essere riespresse dentro un quadro che va a cercare nel profondo della realtà dell’uomo e della società le ragioni di queste affermazioni fatte norma della Costituzione. E le ragioni furono i punti di partenza della Costituente, conquistati faticosamente attraver­so un dialogo aperto, qualche volta duro, sempre, almeno per quel che mi riguarda, sincero, con delle correnti culturali che certamente partivano da punti di vista diversi e talora radicalmente opposti al nostro.

Il primo punto fermo è l’affermazione che “ogni uomo è persona”, e quando diciamo persona, diciamo realtà la qua le implica certamente una individualità che non può esse­re posta nell’ordine creato al di sotto di nulla se non del Creatore.

Dice San Tommaso: “Quod est perfectissimum in natura“, la persona è ciò che vi è di più perfetto nell’ordine della natura, ciò a cui tutta la realtà naturale è ordinata. Quando sottolineo l’individualità della persona, non ho finito di cogliere il significato della persona. In una certa tradizione questo è stato l’aspetto più sottolineato, forse perché nella famosa definizione boeziana l’aggettivo indivi­dua è quello che più ha colpito e da taluno è stato preso per erigerlo ad unico aspetto della persona, deviando verso l’individualismo. Boezio definisce la persona “rationalis naturae individua substantia”, cioè “sostanza individua di natura razionale”, ed  è successo che quel individua è balzato in primo piano, è venuto fuori l’individuo. Anche il mio cane è individuo, ma non ha la natura razionale ed è per questo che non è persona. Senonché quella natura razionale è qualche cosa che stabilisce “per quella sostanza l’individua” un’esigenza cui non può sottrarsi, è una realtà aperta, ed è una realtà la quale per sua natura cresce “in relazione con”: anzitutto in relazione con Dio, da cui trae origine, poi in relazione con gli altri uomini per cerchi che si allargano fino ad abbracciare, per così dire, l’umanità. E’ su questo principio che si fondano quegli articoli che abbiamo letto, è di qui che nasce quel pluralismo so­ciale che è garantito dalla norma costituzionale quando recita che lo Stato riconosce e garantisce le formazioni so­ciali ove si svolge la personalità del cittadino. Queste formazioni sociali si caratterizzano per la concezione dell’uomo che sottostà ad esse: la antropologia che le determina. Evidentemente se penso l’uomo fatto in un certo modo, per esempio penso l’uomo ad una sola dimensione, ebbene allora necessariamente in una sola dimensione quell’uomo troverà la pienezza della sua personalità; e se quella dimensione è la dimensione mate­riale, che viene regolata dalla politica, l’uomo rimane schiacciato nella politica, com’è per i marxisti autentici.

Oppure posso pensare l’uomo in due dimensioni (è già un bel passo avanti), la dimensione corporea e la dimensione spirituale. Ma non è ancora l’uomo nella sua pienezza. Perché io leggo nel Libro dove Chi mi ha creato mi ha det­to come sono stato fatto: “Facciamo l’uomo a nostra imma­gine e somiglianza”. L’uomo ha cioè tre dimensioni: la di­mensione corporea, la dimensione spirituale, che è il primo sigillo della somiglianza con Dio, e la partecipazione alla vita divina, che è la somiglianza portata fino all’autentica partecipazione dell’uomo alla vita divina, per cui il salmista, nel salmo ottavo, si domanda dell’uomo: “chi è l’uomo che ti ricordi di lui? l’hai fatto poco meno di un Dio”.

Dunque, l’uomo ha tre dimensioni. Allora è chiaro che ciascuna delle varie antropologie creerà, penserà delle formazioni sociali rispondenti a quelle, per cui il pluralismo sociale non deriva solo dal fatto di avere un determinato fine, ma dal fatto anche di organizzarsi in un modo piuttosto che in un altro, secondo l’antropologia che ci regge. Ed ecco nascere nel pluralismo sociale il plurali­smo culturale che, per sua natura, sfocia nel pluralismo scolastico.

Se uno vuole essere logico, non può non vedere che questi passaggi sono logicamente legati l’uno all’altro, E in questo pluralismo scolastico, che ha due aspetti: il pluralismo nelle istituzioni e il pluralismo delle istituzioni, si delinea la scuola cattolica.

Quel pluralismo ‑ ripeto ‑ ha due significati, non tutti sempre lo ricordano: altro è il pluralismo dell’insegnamento e altro è il pluralismo della scuola. Nella scuola di Stato ogni insegnante ha il diritto di esprimere quello che è il suo modo di pensare, nel rispetto degli ascoltatori e senza intenzione di imposizione, e questo è un diritto che non può essere negato perché appartiene al pluralismo dell’insegnamento. Ma c’è il pluralismo della scuola, che riguarda la possibilità di dare vita a scuole le quali si ispirano diversamente nell’insegnamento; ed è qui dentro che nasce precisamente la scuola cattolica.

Mi piacerebbe dire qualche parola sulla scuola cattolica. E’ la scuola la quale si propone di essere una di quelle formazioni sociali attraverso le quali il cittadino svolge la sua personalità, e più precisamente dentro la quale il cittadino cristiano svolge la sua personalità cristiana. Questo dovrebbe essere. La vera finalità è quella di sviluppare, di aiutare una personalità cristiana a crescere come tale. Ed è autentica personalità cristiana quella di chi sa fare unità, rispettando le distinzioni tra fede e ragione, tra fede e storia, tra fede, ragione ed istintività, e se vogliamo allora prendere quelle tre dimensioni: tra corpo, anima e vita divina. Ecco la personalità che cresce in unità, avendo il senso delle distinzioni e rispettando le distinzioni, L’educatore che abbia ben in mente questo quadro si rende conto di quanto sia arduo l’educare in questo modo, dando alla ragione tutto quello che le va dato, ma senza togliere nulla alla fede, dando alla fede tutto quello che le va dato, ma senza togliere nulla alla ragione; dando alla fede ed ai suoi immutabili contenuti quello che a loro va dato, ma senza togliere il senso della mutabilità che è proprio del divenire della storia. Con tutto quello che a ciò consegue quando si pensi che quegli immutabili principi fondamentali, vanno vissuti dentro la mutabilità della storia; sicché restano immutabili nella loro sostanza, ma nei loro atteggiamenti possono avere forme diverse da un tempo al l’altro. Ci siamo mai domandati perché il Vangelo ha raccontato abbastanza largamente dei tre anni della vita apostolica di Cristo, mentre dei trent’anni che li hanno preceduti ci presenta solo un avvenimento (l’andata al tem­pio a dodici anni), e la notazione che “cresceva”, cresceva in età e in grazia. Non si sa altro. Ma Cristo viveva a Nazareth, viveva in famiglia, viveva nella società, nella città coi suoi doveri che possiamo chiamare politici, re­ligiosi. Perché il Vangelo non ci dice nulla? La mia risposta è questa: non ci ha detto nulla per non ingannarci, per non farci credere che anche noi nel 1980 dovessimo vivere come viveva lui a Nazareth negli anni in cui ci viveva. E’ vero che noi dobbiamo vivere il Vangelo, ma dobbiamo vivere il Vangelo come lo si deve vivere nel 1980, partecipan­do a quella che è la vita di famiglia, di società, e via via di seguito, nelle varie articolazioni cosi come oggi siamo chiamati a vivere.

Allora si vede come questo rapporto tra fede e storia diventa concreto in questa capacità di conservare la unità senza dimenticare la distinzione. All’insegna di questo grande principio, l’educazione diventa qualche cosa di veramente stupendo da una parte e difficile, laborioso, faticoso, quale ge­stazione di una personalità umana, meglio, di una personalità cristiana piena, dall’altra.

Bene, a questo tende la scuola cattolica. Fine della scuola cattolica è precisamente di dare, di formare autentiche personalità cristiane; ed è per questo che la scuola cattolica ha bisogno di un proprio progetto educativo;  per questo non è giusto che la parità, per così dire, di un titolo che si consegue in una scuola sia determinato da un’identità di programma educativo: quello che mi fa fremere ogni giorno è che, per avere il riconoscimento dei titoli legali all’università cattolica, ci dobbiamo sottomettere rigidamente all’ordinamento statale. E questo è ingiusto, questo non rispetta la libertà; non la rispetta per nessuna università, ma tanto meno non lo rispetta per una università la quale, diciamo così, è concepita ed ispirata con quel titolo “cattolica”. Ad essa va il diritto di concepire un proprio piano nella sua capacità generatrice di personalità preparate ad assumere la responsabilità per la quale l’università le prepara nel campo del diritto, dell’economia, dell’insegnamento, della filosofia, della storia, della letteratura e via di seguito.

Questo schiacciare sotto una negazione di libertà la scuola, è dimenticare che la scuola nasce dalla libertà per la libertà. Uno Stato non può chiamarsi autenticamente de­mocratico se non rispetta questa legge fondamentale: la libertà della scuola; se non rispetta questo diritto fonda­mentale del cittadino alla scelta della scuola nella qua­le prevede di poter meglio sviluppare la propria persona­lità, di poter meglio crescere. Uno Stato che voglia veramente chiamarsi democratico dovrebbe avere come titolo che fonda questa sua ambizione, il fatto che la scelta dell’università venga fatto dallo studente non perché è vicina a casa, ma perché quella università ha quell’ordinamento e quell’altra, quest’altro ordinamento, entro un quadro che sarà uguale per tutti, per cui lo studente dovrebbe poter dire: “vado alla università cattolica perché l’università cattolica ha un suo piano educativo”. Invece non può esprimere una scelta perché lo Stato in cui viviamo non sa che cosa sia l’autonomia uni­versitaria e invece di favorirla sempre più la comprime, per cui non si muove un dito se il ministro non dice di sì. E’ chiaro che questo non è Stato democratico, ma è statalismo vero e proprio applicato in piano educativo.

Ciò contrasta dunque con il piano della Costituzione, che tra l’altro recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, e più avanti: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educa­zione”.

C’è poi quel “senza oneri per lo Stato” che in questi 35 anni di vita sotto la norma della Costituzione ha impe­dito che si attuasse la libertà della scuola. Più volte mi sono occupato del comma dell’articolo in questione: sono un testimone oculare, e come si dice auricolare, di quello che è avvenuto alla Costituente; ho in mente perfettamente come Corbino, liberale di sinistra, si alzò a proporre l’emendamento: “senza oneri per lo Stato”. Corbino e Codignola sottolinearono che con l’emenda­mento si voleva solo dire che non per il fatto di nascere una scuola ha diritto d’essere sovvenzionata dallo Stato, perché se una scuola è malfatta, non funziona o funziona male, se la scuola non ha una sua utenza, il diritto a sovvenzioni statali può anche non essere riconosciuto. Ma dal momento in cui quella scuola risponde ad una necessità, ed è documentata la ne­cessità dal fatto che c’è una parte, magari notevole, di cittadini, che ambiscono d’essere in quella scuola, lo Stato ha il dovere di sostenerla, se vuole rispettare quello che ha garantito nel secondo articolo: la pluralità delle formazioni sociali.

Noi votammo contro per l’osservazione: “Sì, questo lo dite qui, ma certamente l’interpretazione sarà poi un’al­tra”; e la storia, o la cronaca, ha dato ragione purtroppo a questa interpretazione: ancora oggi noi ci dibattiamo su questo termine.

Le affermazioni sempre rifacentesi all’emendamento Corbino, al fatto che lo Stato non può spendere i soldi per le università private (e scuole libere), camuffano l’intenzione autentica di impedire quella che è la libertà della scuola, della quale si ha paura.

La Costituzione aveva stabilito non solo il diritto a istituire scuole ed istituti di educazione, ma stabiliva quello che è il principio della parità. Cosa ha fatto il governo in 35 anni per realizzarlo? Vorrei rifarmi ai discorsi fatti in Costituente da Dossetti e da Moro sulla educazione. Cosi impostano il principio della parità; se si riconosce il servizio pubblico della scuola privata non solo va sovvenzionato, perché è a sgravio dello Stato, ma anche si deve riconoscere la capacità creativa di ogni scuola di darsi il proprio piano educativo, e la parità di valore dei titoli, con tutto quello che questo significa.

E non si dice che lo Stato non possa e debba controllare che le cose funzionino bene! Nessuno vuole sottrarsi a quello che è un senso profondo dello Stato, si domanda solo che siano riconosciuti quei diritti che sono scritti nella carta costituzionale.

Mi si permetta di concludere ritornando alla scuola cattolica. Ho detto qual è la sua sostanza: la scuola cattolica è tale nella misura in cui attraverso un piano educativo ben pensato arriva a generare, se così posso dire, autentiche personalità cristiane, ma non riesce a fare questo se non vivendo all’interno della scuola quello che è il significato profondo del­l’espressione progetto educativo, quel progetto educativo che sappia, nell’unità dei distinti, dare a ciascuna parte il suo: alla fede ciò che è fede, alla ragione ciò che è ragione, non certo separando illuministicamente, che vuol dire fare morire una parte, ma costruendo unitariamente questo edificio della personalità umana che di ciascun elemento che la compone ha bisogno e che, tanto più s’afferma nella sua misura piena, quanto più ciascuno di questi elementi resta se stesso nell’unità con gli altri. C’è da domandarsi se sempre le nostre scuole rispondono a questa intenzione. Forse l’esame di coscienza va fatto con una certa severità, proprio per riuscire, come la Chiesa ci ha chiesto, a fare della scuola cattolica quello che essa deve essere: questa generatrice di uomini, di cristiani che siano autenticamente liberi. “La verità vi farà li­beri”. Avere questa passione, operare perché questa passione sia capace di creare piani educativi rispondenti oggi alle esigenze dei giovani che crescono attorno a noi, fare in modo che questa passione regali al Paese schiere di uomini liberi, capaci in forza di questa libertà di essere diffusori dei senso autentico della libertà e costruttori di una città dell’uomo, fatta a misura d’uomo, in cui ogni uomo possa riconoscere che quella è la sua casa nella quale cresce la sua personalità, si sviluppa fino alla pienezza della sua statura. Ecco il grande impegno che come cittadini abbiamo: Fare in modo che nel Paese sia rispettatala norma costituzionale, e quindi siano rispettati i diritti dei cittadino nella scelta della scuola e, come cattolici, far sì che quella scuola che vuol chiamarsi e si chiama cattolica, risponda al suo grande disegno e riesca ad essere, nel contesto delle scuole italiane, la fucina vera degli uomini liberi.

E questo è l’impegno particolare per noi uomini di scuola.

Ogni diritto nasce dal fatto che gli corrisponde un dovere. Quando si parla di diritto del cittadino nella scelta della scuola si fa riferimento ad un dovere, ma di chi? Si parla del cittadino: il cittadino ha il dovere di crescere nella sua personalità, e per crescere ha anche bisogno della scuola; quindi il cittadino ha diritto a scegliersi la scuola perché ha il dovere di crescere. Evidentemente non penso che un bimbo di sei anni, ma neppure uno di dodici, possa capire la pregnanza di questo diritto del cittadino, ma ci sono coloro che hanno doveri precisi in ordine ai loro figlioli.
Vorrei sottolineare anzitutto qualche articolo della Costituzione, perché dovrebbe essere un testo che norma la nostra vita, prima ancora di quella di coloro che hanno la responsabilità di guidare il Paese (ma pare che tutti l’abbiano dimenticata in un cassetto). L’articolo secondo è l’articolo fondamentale della nostra Costituzione, quello che ne imposta, per così dire, tutta la struttura: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Allora se io parlo del diritto del cittadino nella scelta della scuola e posso dire (lo vedremo) che tale diritto è un diritto inviolabile, devo immediatamente dire che la Repubblica lo deve riconoscere ed è impegnata a garantirlo. E’ scritto! O queste sono parole sono da buttare via, o questa è la norma per i cittadini, ma anche per i governanti. L’articolo prosegue dicendo: ” … sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e richiede “… l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”: riconosce e garantisce i diritti, ma richiede l’adempimento dei doveri.
E se il diritto, come dicevamo, è un diritto che ha come fondamento il dovere di crescere del cittadino nella sua personalità come è detto nell’articolo, il ché non si realizza senza una scuola, allora evidentemente fondamento di questo diritto è che egli adempia a questo dovere, che è un dovere sociale. Se poi questo diritto non lo rivolgo più al cittadino maturo, allora entra in gioco il diritto dei genitori alla scelta della scuola, fondato sul dovere sociale di provvedere all’educazione e all’istruzione dei propri figlioli.
C’è una precisa consonanza tra l’articolo due e gli articoli nel Titolo secondo, che riguardano i rapporti etico sociali. L’articolo 30 recita: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. Questo dovere diritto dei genitori ad istruire ed educare i figli evidentemente si concretizza nel diritto alla scelta della scuola.
Un genitore che intenda esattamente il suo servizio di autorità per la crescita dei figli ha il “dovere” di pensare a trovare la scuola che va bene per i figli. A questo dovere corrisponde però il diritto di poter scegliere liberamente la scuola. Recita infatti l’articolo 31 (sarebbe bene che la Costituzione venisse veramente letta, commentata, imparata, per darci forza di esigere il rispetto da parte di coloro che ci governano e che non hanno il diritto di governarci per strade diverse da quelle che noi abbiamo voluto, “noi” dico come volontà popolare quale si è espressa nella Costituente): “…la Repubblica agevola l’adempimento dei compiti relativi alla vita della famiglia” e “… protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Favorire gli istituti necessari a tale scopo non vuol dire obbligare tutti a fare quello che lo Stato vuole, ma vuol dire: favorire gli istituti che permettano a ciascuno di trovarsi la via migliore per adempiere al proprio dovere diritto di crescere come cittadino, ed ai genitori per adempiere al proprio dovere diritto di provvedere alla istruzione ed educazione dei figli. Mi pare dunque che ci sia tutta una connessione, per chi la sappia trovare e leggere, nella Costituzione, tra quelli che sono i doveri e i diritti, sia nei riguardi dei cittadino sia nei riguardi dei genitori, che provvedono al bene del cittadino finché da sé non può provvedere.
Sotto queste realtà che noi presentiamo un poco astrattamente, sotto queste voci di dovere e di diritto, ci stanno dei problemi molto concreti. Ci sta il problema della scuola cattolica: di una scuola la quale è un servizio, è un servizio pubblico, ma che di fatto non ha questo riconoscimento. Questo crea una situazione di discriminazione tra chi può permettersi il diritto di scelta e chi no, la cui responsabilità non ricade sulle spalle di coloro che fondano e gestiscono scuole cattoliche, ma ricade su chi non riconosce alla scuola cattolica quello che è il suo diritto come servizio pubblico, in uno Stato il quale voglia essere autenticamente democratico e non averne solamente l’aggettivo qualificante senza averne la sostanza.
Le premesse che abbiamo espresso partendo dalla Costituzione, possono ora essere riespresse dentro un quadro che va a cercare nel profondo della realtà dell’uomo e della società le ragioni di queste affermazioni fatte norma della Costituzione. E le ragioni furono i punti di partenza della Costituente, conquistati faticosamente attraverso un dialogo aperto, qualche volta duro, sempre, almeno per quel che mi riguarda, sincero, con delle correnti culturali che certamente partivano da punti di vista diversi e talora radicalmente opposti al nostro.
Il primo punto fermo è l’affermazione che “ogni uomo è persona”, e quando diciamo persona, diciamo realtà la qua le implica certamente una individualità che non può essere posta nell’ordine creato al di sotto di nulla se non del Creatore.
Dice San Tommaso: “Quod est perfectissimum in natura”, la persona è ciò che vi è di più perfetto nell’ordine della natura, ciò a cui tutta la realtà naturale è ordinata. Quando sottolineo l’individualità della persona, non ho finito di cogliere il significato della persona. In una certa tradizione questo è stato l’aspetto più sottolineato, forse perché nella famosa definizione boeziana l’aggettivo individua è quello che più ha colpito e da taluno è stato preso per erigerlo ad unico aspetto della persona, deviando verso l’individualismo. Boezio definisce la persona “rationalis naturae individua substantia”, cioè “sostanza individua di natura razionale”, ed è successo che quel individua è balzato in primo piano, è venuto fuori l’individuo. Anche il mio cane è individuo, ma non ha la natura razionale ed è per questo che non è persona. Senonché quella natura razionale è qualche cosa che stabilisce “per quella sostanza l’individua” un’esigenza cui non può sottrarsi, è una realtà aperta, ed è una realtà la quale per sua natura cresce “in relazione con”: anzitutto in relazione con Dio, da cui trae origine, poi in relazione con gli altri uomini per cerchi che si allargano fino ad abbracciare, per così dire, l’umanità. E’ su questo principio che si fondano quegli articoli che abbiamo letto, è di qui che nasce quel pluralismo sociale che è garantito dalla norma costituzionale quando recita che lo Stato riconosce e garantisce le formazioni sociali ove si svolge la personalità del cittadino. Queste formazioni sociali si caratterizzano per la concezione dell’uomo che sottostà ad esse: la antropologia che le determina. Evidentemente se penso l’uomo fatto in un certo modo, per esempio penso l’uomo ad una sola dimensione, ebbene allora necessariamente in una sola dimensione quell’uomo troverà la pienezza della sua personalità; e se quella dimensione è la dimensione materiale, che viene regolata dalla politica, l’uomo rimane schiacciato nella politica, com’è per i marxisti autentici.
Oppure posso pensare l’uomo in due dimensioni (è già un bel passo avanti), la dimensione corporea e la dimensione spirituale. Ma non è ancora l’uomo nella sua pienezza. Perché io leggo nel Libro dove Chi mi ha creato mi ha detto come sono stato fatto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. L’uomo ha cioè tre dimensioni: la dimensione corporea, la dimensione spirituale, che è il primo sigillo della somiglianza con Dio, e la partecipazione alla vita divina, che è la somiglianza portata fino all’autentica partecipazione dell’uomo alla vita divina, per cui il salmista, nel salmo ottavo, si domanda dell’uomo: “chi è l’uomo che ti ricordi di lui? l’hai fatto poco meno di un Dio”.
Dunque, l’uomo ha tre dimensioni. Allora è chiaro che ciascuna delle varie antropologie creerà, penserà delle formazioni sociali rispondenti a quelle, per cui il pluralismo sociale non deriva solo dal fatto di avere un determinato fine, ma dal fatto anche di organizzarsi in un modo piuttosto che in un altro, secondo l’antropologia che ci regge. Ed ecco nascere nel pluralismo sociale il pluralismo culturale che, per sua natura, sfocia nel pluralismo scolastico.
Se uno vuole essere logico, non può non vedere che questi passaggi sono logicamente legati l’uno all’altro, E in questo pluralismo scolastico, che ha due aspetti: il pluralismo nelle istituzioni e il pluralismo delle istituzioni, si delinea la scuola cattolica.
Quel pluralismo ripeto ha due significati, non tutti sempre lo ricordano: altro è il pluralismo dell’insegnamento e altro è il pluralismo della scuola. Nella scuola di Stato ogni insegnante ha il diritto di esprimere quello che è il suo modo di pensare, nel rispetto degli ascoltatori e senza intenzione di imposizione, e questo è un diritto che non può essere negato perché appartiene al pluralismo dell’insegnamento. Ma c’è il pluralismo della scuola, che riguarda la possibilità di dare vita a scuole le quali si ispirano diversamente nell’insegnamento; ed è qui dentro che nasce precisamente la scuola cattolica.
Mi piacerebbe dire qualche parola sulla scuola cattolica. E’ la scuola la quale si propone di essere una di quelle formazioni sociali attraverso le quali il cittadino svolge la sua personalità, e più precisamente dentro la quale il cittadino cristiano svolge la sua personalità cristiana. Questo dovrebbe essere. La vera finalità è quella di sviluppare, di aiutare una personalità cristiana a crescere come tale. Ed è autentica personalità cristiana quella di chi sa fare unità, rispettando le distinzioni tra fede e ragione, tra fede e storia, tra fede, ragione ed istintività, e se vogliamo allora prendere quelle tre dimensioni: tra corpo, anima e vita divina. Ecco la personalità che cresce in unità, avendo il senso delle distinzioni e rispettando le distinzioni, L’educatore che abbia ben in mente questo quadro si rende conto di quanto sia arduo l’educare in questo modo, dando alla ragione tutto quello che le va dato, ma senza togliere nulla alla fede, dando alla fede tutto quello che le va dato, ma senza togliere nulla alla ragione; dando alla fede ed ai suoi immutabili contenuti quello che a loro va dato, ma senza togliere il senso della mutabilità che è proprio del divenire della storia. Con tutto quello che a ciò consegue quando si pensi che quegli immutabili principi fondamentali, vanno vissuti dentro la mutabilità della storia; sicché restano immutabili nella loro sostanza, ma nei loro atteggiamenti possono avere forme diverse da un tempo al l’altro. Ci siamo mai domandati perché il Vangelo ha raccontato abbastanza largamente dei tre anni della vita apostolica di Cristo, mentre dei trent’anni che li hanno preceduti ci presenta solo un avvenimento (l’andata al tempio a dodici anni), e la notazione che “cresceva”, cresceva in età e in grazia. Non si sa altro. Ma Cristo viveva a Nazareth, viveva in famiglia, viveva nella società, nella città coi suoi doveri che possiamo chiamare politici, religiosi. Perché il Vangelo non ci dice nulla? La mia risposta è questa: non ci ha detto nulla per non ingannarci, per non farci credere che anche noi nel 1980 dovessimo vivere come viveva lui a Nazareth negli anni in cui ci viveva. E’ vero che noi dobbiamo vivere il Vangelo, ma dobbiamo vivere il Vangelo come lo si deve vivere nel 1980, partecipando a quella che è la vita di famiglia, di società, e via via di seguito, nelle varie articolazioni cosi come oggi siamo chiamati a vivere.
Allora si vede come questo rapporto tra fede e storia diventa concreto in questa capacità di conservare la unità senza dimenticare la distinzione. All’insegna di questo grande principio, l’educazione diventa qualche cosa di veramente stupendo da una parte e difficile, laborioso, faticoso, quale gestazione di una personalità umana, meglio, di una personalità cristiana piena, dall’altra.
Bene, a questo tende la scuola cattolica. Fine della scuola cattolica è precisamente di dare, di formare autentiche personalità cristiane; ed è per questo che la scuola cattolica ha bisogno di un proprio progetto educativo; per questo non è giusto che la parità, per così dire, di un titolo che si consegue in una scuola sia determinato da un’identità di programma educativo: quello che mi fa fremere ogni giorno è che, per avere il riconoscimento dei titoli legali all’università cattolica, ci dobbiamo sottomettere rigidamente all’ordinamento statale. E questo è ingiusto, questo non rispetta la libertà; non la rispetta per nessuna università, ma tanto meno non lo rispetta per una università la quale, diciamo così, è concepita ed ispirata con quel titolo “cattolica”. Ad essa va il diritto di concepire un proprio piano nella sua capacità generatrice di personalità preparate ad assumere la responsabilità per la quale l’università le prepara nel campo del diritto, dell’economia, dell’insegnamento, della filosofia, della storia, della letteratura e via di seguito.
Questo schiacciare sotto una negazione di libertà la scuola, è dimenticare che la scuola nasce dalla libertà per la libertà. Uno Stato non può chiamarsi autenticamente democratico se non rispetta questa legge fondamentale: la libertà della scuola; se non rispetta questo diritto fondamentale del cittadino alla scelta della scuola nella quale prevede di poter meglio sviluppare la propria personalità, di poter meglio crescere. Uno Stato che voglia veramente chiamarsi democratico dovrebbe avere come titolo che fonda questa sua ambizione, il fatto che la scelta dell’università venga fatto dallo studente non perché è vicina a casa, ma perché quella università ha quell’ordinamento e quell’altra, quest’altro ordinamento, entro un quadro che sarà uguale per tutti, per cui lo studente dovrebbe poter dire: “vado alla università cattolica perché l’università cattolica ha un suo piano educativo”. Invece non può esprimere una scelta perché lo Stato in cui viviamo non sa che cosa sia l’autonomia universitaria e invece di favorirla sempre più la comprime, per cui non si muove un dito se il ministro non dice di sì. E’ chiaro che questo non è Stato democratico, ma è statalismo vero e proprio applicato in piano educativo.
Ciò contrasta dunque con il piano della Costituzione, che tra l’altro recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, e più avanti: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione”.
C’è poi quel “senza oneri per lo Stato” che in questi 35 anni di vita sotto la norma della Costituzione ha impedito che si attuasse la libertà della scuola. Più volte mi sono occupato del comma dell’articolo in questione: sono un testimone oculare, e come si dice auricolare, di quello che è avvenuto alla Costituente; ho in mente perfettamente come Corbino, liberale di sinistra, si alzò a proporre l’emendamento: “senza oneri per lo Stato”. Corbino e Codignola sottolinearono che con l’emendamento si voleva solo dire che non per il fatto di nascere una scuola ha diritto d’essere sovvenzionata dallo Stato, perché se una scuola è malfatta, non funziona o funziona male, se la scuola non ha una sua utenza, il diritto a sovvenzioni statali può anche non essere riconosciuto. Ma dal momento in cui quella scuola risponde ad una necessità, ed è documentata la necessità dal fatto che c’è una parte, magari notevole, di cittadini, che ambiscono d’essere in quella scuola, lo Stato ha il dovere di sostenerla, se vuole rispettare quello che ha garantito nel secondo articolo: la pluralità delle formazioni sociali.
Noi votammo contro per l’osservazione: “Sì, questo lo dite qui, ma certamente l’interpretazione sarà poi un’altra”; e la storia, o la cronaca, ha dato ragione purtroppo a questa interpretazione: ancora oggi noi ci dibattiamo su questo termine.
Le affermazioni sempre rifacentesi all’emendamento Corbino, al fatto che lo Stato non può spendere i soldi per le università private (e scuole libere), camuffano l’intenzione autentica di impedire quella che è la libertà della scuola, della quale si ha paura.
La Costituzione aveva stabilito non solo il diritto a istituire scuole ed istituti di educazione, ma stabiliva quello che è il principio della parità. Cosa ha fatto il governo in 35 anni per realizzarlo? Vorrei rifarmi ai discorsi fatti in Costituente da Dossetti e da Moro sulla educazione. Cosi impostano il principio della parità; se si riconosce il servizio pubblico della scuola privata non solo va sovvenzionato, perché è a sgravio dello Stato, ma anche si deve riconoscere la capacità creativa di ogni scuola di darsi il proprio piano educativo, e la parità di valore dei titoli, con tutto quello che questo significa.
E non si dice che lo Stato non possa e debba controllare che le cose funzionino bene! Nessuno vuole sottrarsi a quello che è un senso profondo dello Stato, si domanda solo che siano riconosciuti quei diritti che sono scritti nella carta costituzionale.
Mi si permetta di concludere ritornando alla scuola cattolica. Ho detto qual è la sua sostanza: la scuola cattolica è tale nella misura in cui attraverso un piano educativo ben pensato arriva a generare, se così posso dire, autentiche personalità cristiane, ma non riesce a fare questo se non vivendo all’interno della scuola quello che è il significato profondo dell’espressione progetto educativo, quel progetto educativo che sappia, nell’unità dei distinti, dare a ciascuna parte il suo: alla fede ciò che è fede, alla ragione ciò che è ragione, non certo separando illuministicamente, che vuol dire fare morire una parte, ma costruendo unitariamente questo edificio della personalità umana che di ciascun elemento che la compone ha bisogno e che, tanto più s’afferma nella sua misura piena, quanto più ciascuno di questi elementi resta se stesso nell’unità con gli altri. C’è da domandarsi se sempre le nostre scuole rispondono a questa intenzione. Forse l’esame di coscienza va fatto con una certa severità, proprio per riuscire, come la Chiesa ci ha chiesto, a fare della scuola cattolica quello che essa deve essere: questa generatrice di uomini, di cristiani che siano autenticamente liberi. “La verità vi farà liberi”. Avere questa passione, operare perché questa passione sia capace di creare piani educativi rispondenti oggi alle esigenze dei giovani che crescono attorno a noi, fare in modo che questa passione regali al Paese schiere di uomini liberi, capaci in forza di questa libertà di essere diffusori dei senso autentico della libertà e costruttori di una città dell’uomo, fatta a misura d’uomo, in cui ogni uomo possa riconoscere che quella è la sua casa nella quale cresce la sua personalità, si sviluppa fino alla pienezza della sua statura. Ecco il grande impegno che come cittadini abbiamo: Fare in modo che nel Paese sia rispettatala norma costituzionale, e quindi siano rispettati i diritti dei cittadino nella scelta della scuola e, come cattolici, far sì che quella scuola che vuol chiamarsi e si chiama cattolica, risponda al suo grande disegno e riesca ad essere, nel contesto delle scuole italiane, la fucina vera degli uomini liberi.
E questo è l’impegno particolare per noi uomini di scuola.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 3.4.1981 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.