Il mantello di Paolo

Autori: Ronchi Ermes

“Timoteo, amico mio, quando vieni portami il mantello che ho lasciato in casa di Carpo, i libri e specialmente le pergamene” (2Tim 4,13). Il mantello e le pergamene. Scelgo queste due immagini come sintesi visiva della vicenda di Paolo. Mi perdonerà questa libertà di raccontarlo per immagini, lui che al linguaggio immaginifico e poetico preferiva quello razionale e rigoroso.

– Il Mantello del viaggiatore, che si indossa quando si esce di casa, con cui coprirsi nelle notti all’aperto, con cui proteggersi nei giorni di freddo, di vento, di pioggia. Quel mantello perché è l’unico, non ne ha altri.
– Povero, quindi, come i discepoli (‘non portate due tuniche’) e sempre in viaggio, anzi in corsa (corro per afferrare Cristo): convertito durante il viaggio a Damasco, ucciso mentre dalla prigione progetta un viaggio in Spagna.
– Il primo a portare l’annuncio lontano, che come una fiaccola tra le stoppie incendia tutte le regioni in cui passa, in viaggio verso i confini del mondo.
– Il senso di libertà che trasmette quest’uomo, e con lui sentiamo che essere cristiani è appartenere ad un sistema aperto e in movimento, non a un progetto chiuso e finito.
– Portami il mantello e soprattutto le pergamene. La sua cosa più preziosa: lo strumento dell’uomo di cultura, dello studioso che ha voglia ancora di rimettersi sui libri (gli altri erano pescatori, lui è il pensatore), dello scriba che vuole consumarsi gli occhi sulla Parola di Dio, bere ancora alla sorgente.
– Le pergamene sono anche il simbolo della parola che deve annunciare alla gente, di quella cosa che urge e brucia: guai a me se non predicassi… Le pergamene che sono arrivate fino a noi, nelle sue tredici lettere, nei 2003 versetti che le compongono (e che sommati ai passi degli Atti in cui Luca racconta i suoi viaggi, raggiungono la metà dei 5621 versetti dell’intero Nuovo Testamento),
– Che pochi hanno letto integralmente, ma che conta prendere con noi, almeno in frammenti, come il pellegrino medievale che cuciva ai lembi del suo mantello brani del vangelo, che ‘indossava’ la Parola, per averla addosso, sempre. Anzi:
La mia lettera siete voi, scrive Paolo. Ognuno di noi, debitore poco o tanto di quel mantello e di quelle pergamene, deve trasportare Paolo nelle situazioni di oggi. Chiamati a compiere, a inventare la stessa straordinaria, fondamentale operazione compiuta da lui, uomo di tre culture giudaica, greca e romana: la trasposizione dell’Annuncio nella cultura del mio mondo e del mio tempo. Cosa direbbe oggi il giudeo sanguigno e instancabile? Cosa vedrebbe l’abbagliato di Damasco in queste notti? Il tessitore di tende? Il passionale torturatore di cristiani?
– Chiede dalla prigione l’amicizia e due cose: il mantello e le pergamene . Parola di Dio, e ripartire ancora. Quelle pergamene siamo noi. A noi la responsabilità di indossare oggi il mantello -la libertà del grande viaggiatore-, e le sue parole: cosa direbbe di un barcone naufragato a Malta o a Lampedusa? C’è una parola per le ferite del mondo d’oggi? Per i potenti e per il mio cuore fariseo?
– Dice padre Turoldo: gronda di luce ogni volto di uomo e vi condensi in sillabe il Verbo. Ognuno di noi passa in questa città, in queste vie, in questa piazza come condensazione di luce e di Verbo, come ‘sua lettera’, o sillaba almeno della Parola.
Chiudo con una citazione di Leonardo Sciascia: io mi aspetto che i cristiani ogni tanto accarezzino il mondo in contropelo. Come ha fatto Paolo, e milioni dopo di lui, auguro a me e a tutti questo coraggio e questa libertà: ci sono due mondi, due sistemi, i cristiani sono dell’altro. E la gioia di appartenere ad un sistema aperto, non chiuso. Non esecutori di ordini, ma inventori di strade, che ci portino gli uni verso gli altri e, insieme, verso Dio.

Paolo è il personaggio delle origini che conosciamo meglio e di cui abbiamo più notizie. Questo è merito di Luca, il suo biografo, il discepolo fedele, l’unico rimasto con Paolo durante la prigionia a Roma, il miglior scrittore del Nuovo Testamento. Per questo è Luca e non Paolo che il regista e attore Luciano Bertoli, mette in scena come narratore, lui che ha fatto arrivare fino a noi il mantello e le parole di Paolo e che ci aiuterà riprendere quello stesso viaggio interrotto.

Entriamo ora nello spazio magico del chiostro, bello da disarmare ogni resistenza e da aprire in ciascuno l’ascolto più profondo.

NOTA: testo scritto dall’Autore quale introduzione allo spettacolo “La mia lettera siete voi. Paolo scrive ai credenti di oggi”. tenutosi a Brescia il 17.9.2009 su iniziativa della CCDC.