Jaspers, la fede dove non arriva la scienza

Giornale di Brescia, 11.4.2013.

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Karl Jaspers (1883-1969) “passò” dalla psichiatria alla filosofia, suscitando l’avversione dell’ambiente accademico, all’epoca poco incline ad accettare tra le sue fila un esponente che venisse dal mondo delle scienze positive. Ma la decisione del filosofo tedesco fu dettata dalla consapevolezza, maturata nelle sue indagini, che permangono per l’uomo domande cui la scienza non riesce mai a rispondere pienamente. Un “quid” che sfugge, che rimanda ad una insopprimibile ricerca di senso.
La filosofia di Jaspers rappresenta, nel panorama del pensiero novecentesco, un riferimento “particolarmente fecondo ai fini di una riflessione sulla ricerca di Dio da parte dell’uomo contemporaneo”. Lo rileva Francesco Miano, ordinario di Filosofia morale all’Università di Roma Tor Vergata, che è intervenuto alla seconda delle “Lezioni di filosofia” organizzate dalla Ccdc al salone Bevilacqua, focalizzando l’attenzione sul binomio esistenza-trascendenza, che connota la visione di Jaspers, autore di una “Filosofia” in tre volumi, comprendenti anche una “Chiarificazione dell’esistenza”.
“La filosofia – spiega il prof. Miano – non è per Jaspers pura osservazione della realtà, né semplicemente teoria della conoscenza. Gli interessa invece primariamente la riproposizione degli interrogativi fondamentali dell’umano, che hanno origine dalla capacità dell’uomo di meravigliarsi di fronte alla vita in tutti i suoi aspetti e di lasciarsi interpellare da essa”. Jaspers individua un nesso costitutivo tra esistenza e trascendenza, allontanandosi così anche dalla concezione del “dasein” heideggeriano: l’esistenza è “qualcosa di possibile”, non è un “dato scontato”. L’esserci qui ed ora non implica, ipso facto, la capacità di vivere nella dimensione della libertà autentica e della comunicazione con gli altri. Il rapportarsi alla trascendenza avviene in una multiformità di situazioni, che variano dall’esperienza dell’amore ai momenti più drammatici delle “situazioni-limite”. “Davanti alla trascendenza – afferma Jaspers – l’io, invece di dissolversi, approfondisce se stesso e la propria finitezza”. La “dottrina della cifra”, che è il “linguaggio della trascendenza” costituisce uno dei temi più suggestivi, e sicuramente il “topos” per eccellenza, della metafisica jaspersiana.
Se è vero che l’incontro con la trascendenza è prima di tutto un fatto “personale”, è altresì evidente che la trascendenza rimane fondamentalmente “nascosta, impenetrabile”. “L’uomo cerca di avvicinarsi alla divinità, di sapere cosa è – nota il relatore -, ma essa si sottrae ad ogni tentativo di questo genere, e alla fine c’è il naufragio”. Ovvero, la presa di coscienza del limite, ma anche, nel contempo, lo stimolo per la ricerca di un’ulteriorità mai raggiungibile in senso definitivo. La fede, assieme alla fantasia (che può essere di natura immaginativa o di ordine speculativo), manifesta però una “insospettata portata conoscitiva, sia pure dal carattere peculiare, in quanto è in grado di dire qualcosa su un mondo, il mondo dell’essere, che rimane precluso alla scienza”. “Siamo di fronte – conclude Miano – alla ricerca di una nuova e adeguata formulazione dell’universale metafisico”. Jaspers apre alla fede come dimensione centrale nel tessuto antropologico-esistenziale. Il “naufragare”, in questo caso, non è deriva pessimistica; piuttosto “necessità di una vigilanza critica che sappia essere lotta e opposizione verso ogni ipotetica caduta idolatrica”.