La Costituzione al traguardo dei 60 anni

Si celebrano quest’anni i 60 anni di vita della nostra Carta fondamentale.
Il 1° gennaio 1948 entrava infatti in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, approvata dall’Assemblea Costituente nella seduta pomeridiana del 22 dicembre 1947 con una larghissima maggioranza: su 515 presenti e votanti, 453 deputati si espressero a favore, e soltanto 62 furono i contrari.
Si registrò così un’ampia convergenza delle forze politiche, sia nella fase dell’approvazione finale, sia nel corso dei lavori della Costituente; ed è probabilmente questa una delle ragioni della longevità e della stabilità che la Costituzione ha mostrato nei decenni successivi, e che mostra tuttora.
I lavori dell’Assemblea costituente furono caratterizzati da tre grandi correnti ideali e filosofiche: l’ispirazione liberal-democratica, quella cattolica e quella marxista. Ognuna diede il suo contributo alla stesura della Costituzione, ognuna cercò di guadagnare alla propria visione il massimo spazio possibile.
Il risultato fu un compromesso, reso possibile dal fatto che forze politiche e correnti ideali diverse e anche profondamente divise tra loro trovarono una ragione unificante anzitutto nell’intento di superare definitivamente, con la nuova Costituzione, ciò che il fascismo aveva rappresentato sul terreno istituzionale: la compressione delle libertà civili e politiche, l’abolizione del pluralismo politico, il controllo autoritario del pluralismo sociale, il totalitarismo statale, la concentrazione del potere in un unico vertice, l’autarchia ed il bellicismo nei rapporti con gli altri Stati.
La “polemica” con l’esperienza fascista, il desiderio condiviso di mettere alle spalle un periodo storico così drammatico per l’Italia, specialmente nel suo epilogo di guerra, guidarono l’azione dei costituenti, e riuscirono ad esprimere un compromesso alto e nobile, non rinunciatario e mediocre, che non a caso ha saputo garantire all’Italia un periodo così duraturo di stabilità politica e crescita economica e civile.
La Costituzione fu frutto del travaglio e della voglia di reazione dell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, ma è durata perché le ragioni e i principi ispiratori di quel travaglio si sono solidificati e sono diventati patrimonio stabile della nostra collettività.
Principi che sono tutt’oggi condivisi, e che iscrivono la nostra Costituzione nella tradizione e nell’evoluzione del costituzionalismo liberale, democratico e sociale dell’Europa occidentale (e degli Stati Uniti), che nell’arco di oltre due secoli ha fatto propri i principi delle rivoluzioni liberali della fine del ‘700, le regole istituzionali delle monarchie parlamentari sorte tra la fine ‘700 e la metà dell’800, i concetti ed i principi dello Stato democratico-sociale quali si formarono tra la metà dell’800 e l’inizio del ‘900, le forme di pluralismo sociale ed istituzionale, il garantismo, l’apertura verso il superamento dei limiti dello Stato nazionale, maturate nell’Europa tra il primo ed il secondo dopoguerra.
Si tratta di una tradizione ricchissima, frutto di conquiste e lotte sociali successive, diventata nucleo essenziale e fondante della nostra cultura politica, istituzionale e sociale, recepita ed arricchita dalla Costituzione italiana del 1948.
In questa troviamo infatti la riaffermazione dei principi liberali circa i diritti inviolabili dell’uomo, le liberà civili, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la supremazia della legge nel sistema delle fonti, il principio rappresentativo con la conseguente attribuzione al Parlamento di funzioni fondamentali di indirizzo politico, il principio di legalità dell’azione amministrativa, le classiche forme liberali di divisione e di coordinamento tra poteri ed il principio di indipendenza della magistratura
Ma troviamo anche la consacrazione dei nuovi principi dello Stato sociale, con il riconoscimento dei relativi diritti e dell’uguaglianza sostanziale, nonché dei compiti di giustizia sociale attribuiti ai poteri pubblici.
Troviamo infine le garanzie delle diverse forme del pluralismo sociale, l’estensione ed il rafforzamento delle autonomie locali, i nuovi istituti di garanzia della rigidità della Costituzione, l’apertura verso organismi sopranazionali finalizzati ad assicurare la pace tra le Nazioni.

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La straordinaria ricchezza del bagaglio ideale e spirituale codificato nella nostra Costituzione ne fanno un documento di grande attualità, anche se oggi va incontro a nuove sfide di portata storica.
Innanzitutto, ci si interroga sull’efficacia e validità dei meccanismi di governo del Paese: è noto infatti che i costituenti, reduci dall’esperienza del totalitarismo e dell’autoritarismo della dittatura fascista, preferirono esaltare il ruolo del Parlamento, garantendo mediante un sistema elettorale proporzionale la massima espressione del pluralismo politico, e delinearono al contempo un Esecutivo debole, privo di strumenti per un’incisiva azione di governo. Da qui la scelta di un bicameralismo perfetto, l’assenza di strumenti di razionalizzazione del rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, l’abbondanza di istituti di garanzia e di limitazione dei poteri. Oggi, di fronte alla sempre crescente difficoltà di governare la società italiana, pare giunto il tempo di rivedere, almeno in parte, quei meccanismi, rafforzando la responsabilità dell’Esecutivo e dotandolo di strumenti idonei a guidare la sua maggioranza parlamentare.
In secondo luogo, l’Italia sta conoscendo, negli ultimi anni, un fenomeno di riscoperta delle autonomie regionali e locali, che sta però procedendo in modo disorganico e che attende ancora una compiuta definizione. Temi come il federalismo fiscale, il Senato delle Regioni, la corretta assegnazione delle funzioni amministrative agli enti locali, la razionalizzazione dell’assetto dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, devono essere affrontati una volta per tutte, per venire incontro alla legittima aspirazione delle comunità locali di decidere democraticamente del loro destino, ma anche per inserire il loro ruolo in un quadro unitario saldo di valori costituzionali condivisi. Federalismo ed autonomia non possono infatti significare disgregazione dello Stato né possono contraddire il fondamentale patto di solidarietà che deve unire le diverse parti del territorio italiano.
Infine, i fenomeni migratori di dimensioni epocali, il tema della sicurezza e della pace tra le Nazioni, il ruolo delle organizzazioni sopranazionali (Unione Europea e Onu), sono problematiche che la Costituzione ha soltanto “intravisto”, ma che oggi impongono un ripensamento profondo dei concetti di cittadinanza e di sovranità nazionale.

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In altre parole, il tema della riforma costituzionale non può e non deve essere un tabù, quasi che la Carta fondamentale fosse un feticcio da venerare, immutabile ed inavvicinabile.
Al contrario, che si parli di riforma e di aggiornamento di alcune parti della Costituzione, nel rispetto dei principi e dei valori che l’hanno ispirata, le conferisce carattere di stabilità e insieme di elasticità, come avviene per tutte le Carte più longeve, consentendole di manifestare la propria idoneità a sorreggere l’evoluzione dell’ordinamento, assicurando insieme la saldezza dei riferimenti fondamentali e gli spazi per i mutamenti necessari.
Come a dire che la nostra Costituzione, dopo 60 anni di vita, è più viva che mai: ci ha condotti per mano nell’educazione alla democrazia ed alla libertà, è penetrata nella nostra società come una conquista acquisita ed irrinunciabile, ed è ora pronta ad affrontare le sfide del futuro.

NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 24.4.2008 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.